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Qui, Performatorio

La performance nasce dove l’acqua scorre

Scritto da Annika Pettini il 13 marzo 2025

Hyenaz "Automine" ph © Axel Crettenand

Le esistenze sono flussi di energie che scorrono e si muovono nel mondo. Che affrontano bivi, rapide e secche, che si intrecciano costantemente con quelle altrui. Siamo un reticolato di esperienze che nascono e si dissolvono e che nei punti di contatto, spesso, si addensano e nidificano.
Da un intreccio non previsto di vite inizia la storia di Performatorio, un centro per le arti e le pratiche performative dove il corpo diventa linguaggio. Questo statement conciso prende forma a Bergamo, in un ex-lavatoio, sotto cui scorre ancora il fiume, che non cede al tempo e si rimette al servizio del presente accogliendo nuovi bisogni. Per capire a fondo tutta la storia ho parlato con chi Performatorio l’ha fondato e lo porta avanti, a partire da improbabili scelte del  2019 fino al primo evento, il 25 gennaio del 2024. Sto parlando di Laura Nozza, Fiorenzo Terenghi e Stefano Scandella, un triumvirato che, nel ritrovarsi, ha nidificato.

Una programmazione variegata ma coesa, inclusiva e interessante, inteso come inatteso.

Laura, amica di Fiorenzo che le ha presentato Stefano, è, nel bene e nel male, una “garuttina” con una lunga carriera alle spalle in agenzie e redazioni, con un focus sul linguaggio nella sua forma di arte e nella sua deriva performativa, soprattutto nell’ambito delle tematiche sociali.
Stefano, che conosceva Fiorenzo e che l’ha presentato a Laura, è professore di discipline plastiche e performer con un forte legame con la danza, il movimento  e le arti performative degli anni novanta – duemila. Si occupa della performance come coreografia e manifestazione del corpo o, a dirla meglio, di sangue e merda.
E poi Fiorenzo, amico di Laura e di Stefano che li ha presentati vicendevolmente, nella vita fa il tipografo ed è il direttore artistico di Invisible°Show (organizzazione informale che dal 2011 si occupa di ricerca legata al suono) e ha quindi un focus sul legame tra arti performative e ricerca sonora.

Da questo intreccio nascono dei focus di interessi specifici che danno vita alla visione di Performatorio e alla sua programmazione variegata ma coesa, inclusiva e interessante, inteso come inatteso: «abbiamo posizioni diverse ma quello che ci unisce è essere eterogenei, cerchiamo un compromesso tra tutti dove la giustezza è il punto comune».

Parlando con loro infatti mi hanno spiegato il bisogno a cui risponde Performatorio: nasce a Bergamo per logistica della loro vita ma coglie un vuoto che è più ampio di quella città, risponde a una fame di costanza nella ricerca, nella voglia di creare una comunità artistica ampia e sensibile che si alterna con fluidità e in modo informale.
«Quando è nato il progetto ci siamo trovati per mettere a fuoco l’identità di Performatorio.
Non è una galleria.
Non è un museo.
Non è un club.
È un luogo in cui accade un’esperienza sempre unica che coinvolge artisti e pubblico avvicinandoli. Abbiamo capito cosa non volevamo e abbiamo trovato chi siamo».

Hanno creato un luogo da frequentare spesso, da sentire un po’ casa e dove stupirsi, dove farsi un’idea della forma che le visioni stanno prendendo e poterne parlare insieme, «non c’è un palco (“Space is the Stage” semicit.), non ci sono quinte o separazione tra performer e pubblico, sono sempre sullo stesso piano. Uno spazio come il nostro può sembrare un limite ma non per noi. Dopo le performance cerchiamo di avere un incontro pubblico informale con l’artista, di innescare uno scambio che sia motore per tuttə. Non abbiamo ansia di produzione ma rispondiamo a necessità».

In questo luogo non conforme, troppo piccolo e dal modello di business consapevolmente fallimentare, hanno deciso di investire le loro energie per dare forma al possibile.
Una programmazione, ad oggi, con una cadenza mensile che però puntano a infittire e con la voglia di infittire gli intrecci che li hanno portati a nidificare, così da poter aprire il dialogo con sempre più realtà e artistə e alimentare questo modello di sperimentazione e ricerca destrutturato. In questo anno e poco più hanno coinvolto da Matteo Rubbi a Jacopo Benassi, da Alos a Jacopo Miliani, ma anche Ryosuke Kiyasu e Violaine Lochu. Un panorama di ricerca che si fa programmazione e allarga gli orizzonti di possibilità dei linguaggi performativi e  sonori senza imporsi ma includendo. Nei prossimi mesi ci aspettano nuove collaborazioni come quella con ALMARE (organizzazione di base a Torino, la cui ricerca si dedica alle pratiche contemporanee che utilizzano il suono come mezzo espressivo).

All’inizio, e per tanto tempo, è sempre questione di resistere: alle difficoltà e alle fragilità. Ma sotto di loro, sotto Performatorio, scorre l’energia dell’acqua, sono strutturalmente portati a fluire. Parlando mi hanno fatto rendere conto che molti luoghi che ad oggi accolgono i linguaggi performativi nascono in strettissima connessione con l’acqua. Vi germogliano sopra o accanto, spalancando legami con il paesaggio e il suo esistere più ampio.