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Routine

Un racconto della serie di ZERO 'Propagine. Storie del contagio'

Scritto da Simone Marchisano il 17 marzo 2020
Aggiornato il 3 aprile 2020

Illustrazione di Roberto Alfano

Quando lavori da casa, devi rispettare delle regole. Non lavorare in pigiama, datti degli orari, lavati, cura il tuo corpo. Cose così, cose banali. Una routine, dicono. Sane abitudini. Pensieri positivi. Non mangiare al “desk”. Anche se ormai il tuo “desk” è il tavolo della cucina abitabile / sala da pranzo / salotto del bilocale in affitto di 40 metri quadri calpestabili che puoi permetterti col tuo lavoro. E per fortuna che ce l’hai, un lavoro intendo. Ma anche il bilocale in affitto in pieno centro vicinanze stazione è una fortuna.

Routine. Sveglia presto, attività fisica (in casa), doccia, mettere a posto il letto, colazione. Attacchi a lavorare. No. Non puoi lavorare subito. “Datti degli orari”. Ok, leggo un po’ prima. Bene. Da quant’è che volevi studiare per quell’esame all’università per prendere la seconda Laurea? Bene, hai tempo. Un’ora. Poi lavoro. Jeans comodi e maglione, fa ancora freddo. Ok, bene. Regole, routine.

Lavoro. Per fortuna non devi uscire. Smart working. È stata necessaria un’epidemia per capirlo. Non sono bastati i continui ritardi a causa dei treni, gli scioperi, gli incidenti ferroviari. No, sei pendolare. Cazzi tuoi. Basta. Non ti arrabbiare, sei a casa. Lavori da casa. Bello. Pensieri positivi.

Otto ore, non di più. Non. Di. Più.

WhatsApp. Chat dei colleghi. Sessantadue messaggi non letti. “Sarà solo per comunicazioni di lavoro”, dicevano. Saluti. “Buongiorno”. Faccina sorridente. Li ami tutti. La distanza fa miracoli, a volte. Leggi i messaggi importanti, ignori il gossip da ufficio. Cazzo, anche qui. Pensieri positivi. Sfogano così le frustrazioni, lasci stare. Conference call. Ora. O è “call conference”? Per fortuna non indossi il pigiama. Altrimenti chi li sente quelli. Un’ora e quattordici minuti. Totale di volte in cui ti danno la parola: zero. Pensieri positivi. Meglio così, tanto tu devi lavorare.

Stacchi per pranzo. Perché devi staccare, ricordi? Non si mangia al “desk”. Sei a casa. Cura il tuo corpo. Mangi bene, perché finalmente non devi portarti il pranzo in ufficio per risparmiare. Che poi riscaldato nel microonde fa schifo e lo sai. Ma tu vuoi risparmiare. Sei bravo. Ora però puoi mangiare quello che vuoi. Decidi tu.

Riprendi il lavoro. Finisci il lavoro. Leggi. Tanto non puoi uscire.

È la tua occasione. È da tanto che dici di voler leggere quel romanzone di più di mille pagine. Ora puoi. Inizia a leggere. Bravo. Ora dormi. Domani lavori.

Sveglia presto, attività fisica (in casa), mettere a posto il letto, colazione. Studi un po’ per quell’esame. Molto bene. Hai cambiato maglione, metti che poi c’è un’altra “call” e ti vedono con lo stesso maglione. Che figura. Non hai fatto la doccia. Pazienza, la farai stasera. Non cambia niente. Non puoi uscire.

Chat di lavoro. “Ehi, come va?”. Sempre faccina sorridente. Li ami. Soliti messaggi, ignori, comprendi. Pensieri positivi. Lavoro. Altra riunione di un’ora e quarantasette minuti. Non intervieni. Giusto così. Tanto non hai niente di interessante da dire. Stacchi per pranzo. spegni il pc, non si mangia al “desk”. Chiamalo “desk”, così ti fa schifo e non ci mangi. Altri venti minuti di pausa pranzo. Leggi un po’ il romanzone. Vai avanti di otto pagine. Riattacchi a lavorare e continui fino alle venti. Dieci ore di lavoro. Male. Domani otto. Però queste le metti nel conto delle ore come straordinari e te le fai pagare. Mangi, leggi, dormi.

Sveglia tardi. Dormi male da giorni e lo sai. Dovevi dormire di più. Accendi lo smartphone e arrivano le notifiche del cazzo. Fanculo. Pornhub, mettere a posto il letto, colazione. Leggi un po’ il libro per quell’esame. Però a che cazzo serve un’altra laurea? Ne hai due, ti pagano da schifo, ci hai messo tre anni per avere un contratto decente. Stai tranquillo. Pensieri positivi. Studi un po’. Routine.

Inizi a lavorare. Stacchi per la pausa pranzo. Non puoi, cazzo. Devi finire quella presentazione e finisce che mangi al “desk”. Il caffè sulla tastiera. Ottimo, cazzo. Pensieri positivi. Sembra funzionare, per fortuna. Finisci di lavorare. Dieci ore, ma dovevi finire tu quella presentazione. Non metterle nel conto delle ore da farti pagare. Vai avanti così.

Giorno diciassette. Sveglia tardi. Pornhub. Quand’è l’ultima volta che hai fatto la doccia? Non ricordi. Fa niente. E poi sei in ritardo. Colazione in fretta. Ti eri dimenticato della chiamata con i colleghi. Sei in ritardo, anche se lavori da casa.

Ricordati di accedere alla chat di lavoro e salutare. Ricordati di mettere una faccina sorridente dopo il “buongiorno”. Ricordati che li ami, a distanza. Ricordati di guardare solo i messaggi utili al lavoro. Ricordati che anche loro sono soli e si divertono anche nella chat di lavoro. Ricordati di controllare la mail e rispondere al tipo dell’amministrazione.

Trentasette mail non lette. Nessuna utile a te. Nessuno che ti chiede un parere. Ricordati, pensieri positivi. Accedi alla riunione. Indossi i pantaloni del pigiama. Sporchi. Macchiati. Cazzo. L’ultima visita a Pornhub. I fazzoletti erano troppo lontani e tu eri troppo pigro. Per fortuna hai il maglione, di ieri. Inizia la riunione.

Ricordati di non alzarti per nessun motivo, ricordati di non alzarti per nessun motivo, ricordati di non alzarti per nessun motivo. Sta parlando il capo. Sorridi e annuisci, sorridi e annuisci. Battuta spiritosa. Non fa ridere ma tu lo fai lo stesso. Controlli il ritmo, l’intensità, non vuoi apparire leccaculo, non vuoi apparire scopainculo, non vuoi apparire. Stanno ancora parlando, non li segui più. Vanno avanti da un’ora e diciannove minuti. Non ti chiedono nulla, non intervieni su nulla. Squilla il telefono nell’altra stanza. Ti alzi dalla sedia. I pantaloni sporchi. Cazzo. Domani sarai meno pigro. Ti risiedi. Aspetti. Guardi i tuoi colleghi.

Stanno ancora parlando. Nessuno si è accorto di nulla. Nessuno si è accorto di te. Routine.

Lodi, 17 marzo 2020