Le disposizioni del Ministero della salute relative al Coronavirus hanno fatto chiudere palestre, piscine, centri sportivi: meglio non rischiare di mischiarsi i microbi nello spogliatoio e sugli attrezzi, di starnutirsi addosso dopo uno scontro di gioco, di stringersi la mano prima e dopo il fischio di inizio, mentre a dir la verità con la quantità di cloro che c’è nell’acqua delle vasche non si diffonderebbe manco la peste bubbonica, suppongo.
Don’t panic: lo sportivo non si ferma certo di fronte alla chiusura degli impianti, e fare dello sport all’aperto – nonostante la persistente aria pessima che si respira in città anche con la diminuzione del traffico automobilistico – fa bene al fisico e alla testa ancor di più in giornate in cui si è costretti a limitare le uscite, vuoi per la chiusura di scuole, cinema, musei, teatri, bar e discoteche, vuoi per lo smart working.
L’occasione è propizia anche per chi ha sempre voluto fare sport ma proprio non ci riesce, rimandando a oltranza quello che medici e scienziati, dai tempi dei romani se non prima, sostengono sia il segreto di una vita sana, felice e lunga il giusto: mens sana in corpore sano.
Proprio a quest’ultimi e a quelli che sono abituati ad altre attività fisiche è dedicata questa prima uscita sugli sport da fare all’aperto durante l’emergenza Coronavirus, con la speranza che finisca presto (il virus) e che continuino anche dopo (gli atleti). Agli scettici posso assicurare che camminando prima e correndo poi, in undici e passa anni da quando ho ricominciato a muovermi, ho preso solo due influenze brevi; ho smesso di alzarmi stanco; ho un metabolismo che mi permette di sgarrare a tavola e al bar ben più di una volta alla settimana; non mi sono mai fatto male; sopporto lo stress e gli stronzi molto di più; ho perso circa dieci kg; le persone che non mi conoscono mi danno spesso dai cinque ai dieci anni in meno (qualcuno anche di più, ma aveva interessi specifici); ma soprattutto ho imparato che correre e camminare sono due modi meravigliosi di godersi il mondo, a cominciare dalla città in cui vivo fino a tutti i luoghi che ho visitato in vacanza.
“Quando corri, da cosa scappi?” mi ha chiesto una volta un collega scherzando, ma la domanda mi è sembrata subito cruciale. Penso di averci rimuginato parecchio in questo decennio, soprattutto in quelle ore in cui superi la soglia della fatica e la mente vola da sola, non sei più consapevole di essere lì e ora, è una sensazione meravigliosa che ti potrebbe indurre a pensare alla risposta “scappo da me stesso”, eppure allo stesso tempo non ti sei mai sentito così vivo, e dunque proprio te stesso.
Ha scritto Haruki Murakami ne “L’arte di correre”, un libro da leggere e avere spesso a portata di mano:
“Proprio nello sforzo enorme e coraggioso di vincere la fatica riusciamo a provare, almeno per un istante, la sensazione autentica di vivere. Raggiungiamo la consapevolezza che la qualità del vivere non si trova in valori misurabili in voti, numeri e gradi, ma è insita nell’azione stessa, vi scorre dentro”
E anche:
“Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello”
Ok, c’è chi scrive molto meglio di me, e pure chi corre molto più veloce e macina più chilometri, ma chi se ne importa? Questa mattina sono uscito a fare jogging alle 7:30, ho incontrato i conigli selvatici, l’airone e qualche runner solitario, sono di buonumore.
Tutto questo per dirti che: non importa quanta strada farai la prima volta, e nemmeno l’ultima; non importa neanche se camminerai o correrai, o a quale velocità. Ci sono solo due cose fondamentali per iniziare questa attività e andare avanti senza problemi:
1) La gradualità: bisogna dare tempo al corpo e alla mente di abituarsi; ammazzarsi subito di fatica è irrazionale quanto deleterio. Il mio consiglio è quello di iniziare con cinque/dieci minuti e aumentare di pochissimo ogni settimana, e quando dico pochissimi dico anche solo trenta secondi, che moltiplicato per 52 settimane fa 1560, ovvero 26 minuti ogni anno (e scusa se è poco).
2) La costanza: non bisogna fermarsi mai salvo che per malattia, non ci sono scuse di lavoro, amici, fidanzati, vacanze, freddo, caldo, neve, pioggia, alcol o altro. Si esce un giorno sì e uno no tre volte alla settimana, punto.
Ci vediamo in strada, sui sentieri, in pista: sono quello senza cuffie e smartphone che saluta sempre per primo.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2020-03-01