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Troll

Un racconto della serie di ZERO 'Propagine. Storie del contagio'

Scritto da Andrea Maffi il 17 marzo 2020
Aggiornato il 27 marzo 2020

Illustrazione di Roberto Alfano

Blocco dello scrittore, vero campione?

Non farti troppi problemi: su questa roba di certo il tuo nome non appare.
Come dici? Vuoi un consiglio nudo e crudo? Non basterebbe.
Se non sai come muoverti qui dentro finisci in pasto agli squali.
Prima di mangiare plancton è meglio capire come muoversi nell’oceano, no?
Quando avrai una visione d’insieme comincerai a buttare fuori roba con un certo ritmo. Arriverai a un certo punto che manderai roba online a non finire: pam pam, una dietro l’altra, tipo Rocky Balboa sul ring coi pugni; destro, sinistro e montanti a non finire!
Sai, ho letto quella ucronia interessante sull’11 settembre che hai pubblicato in selfpublishing su Amazon e voglio farti i complimenti: davvero notevole.
Il leak al New York Times da una fonte CIA ultra segretata che svela il complotto statunitense era un po’ cliché, ma le ripercussioni sul piano geopolitico della notizia erano davvero ben pensate.
Colgo la palla al balzo per dirtelo subito, eh: ficcatelo in testa, qui ci si muove su un altro piano; quello che facciamo è scrittura di servizio, anche se non significa che il nostro mestiere abbia meno dignità di quello del romanziere, o richieda più fantasia.
C’è gente che lavora qua dentro che darebbe la merda a qualsiasi premio Strega.
In alcuni contenuti che produciamo, a mio modesto parere, c’è più inventiva che nell’intera opera di Stephen King.
Ma eccomi che difendo a spada tratta la professione l’ennesima volta, scusami.
Non perdiamo tempo, va, facciamola breve, anche se, te lo dico subito, sono un logorroico sostanzialmente incorreggibile.

Ti spiego tutto con una metafora.

Getta dei coloranti in un torrente montano.
Inseriscili in un punto dove la corrente è forte a sufficienza, e il gioco è fatto.
L’acqua scioglie i pigmenti e passa dal trasparente al tono prescelto per scorrere ormai mutata fino a valle, rimpinzando le acque del laghetto da cui, putacaso, una piccola comunità montana trae nutrimento.
Se hai lavorato da tempo, a chi ha sempre vissuto a valle l’acqua del lago potrebbe risultare colorata da sempre. Alla gente del villaggio basterà bere, fosse anche che l’acqua che adoperano si scoprisse carica di piombo, o particelle di metalli pesanti.
Capito?
Ma cosa cazzo sto dicendo, giusto?
Hai ragione.
Sei al primo giorno e io ti straccio i coglioni con comunità montane dal fascino bucolico che si abbeverano da fonti d’acqua colorata; ma dove cazzo voglio andare a parare? Scusami, sono un appassionato di Tolkien.

Ricorriamo a una metafora più calzante e attuale, va.
Parliamo di virus.

Siamo in tema, no?
L’obiettivo dei virus è la riproduzione.
Nulla di complicato: il virus non ha un’idea di bene né di male, proprio come dovresti fare tu.
Il virus semplicemente è, e vuole essere sempre di più, replicare il proprio risicato bagaglio di RNA all’infinito, rispondendo al più primitivo richiamo darwiniano.
Quella del virus, però, non è una posizione semplice.
Il nostro si trova perennemente sospeso in una condizione esistenziale precaria, perché non ha i mezzi per potersi riprodurre da solo. Quello di cui ha bisogno costantemente, è un organismo ospite al quale appoggiarsi per continuare la sua corsa alla vita, eventualmente trovando un altro volenteroso che possa accoglierlo.
Per riuscire nel proprio obiettivo, il virus deve calibrare il proprio comportamento ed evolversi in maniera da raggiungere un equilibrio fondamentale: non deve essere né troppo aggressivo nei confronti dell’organismo ospite, né troppo remissivo. L’obiettivo è una sorta di simbiosi, perché la morte dell’ospite coinciderebbe con quella dell’ospitato.
Naturalmente non sono un virologo e sto semplificando, ma vorrei farti notare una cosa interessante.

L’informazione funziona più o meno nella stessa maniera: ha bisogno di essere introdotta, validata e interiorizzata, per poter essere diffusa ad altri.

Non a caso parliamo di contenuti virali, o mi sbaglio?
Allora impariamo dai virus: l’importante è trovare un equilibrio.
Se oso troppo, manipolando in maniera eccessivamente aggressiva il contesto di riferimento e inserendo nozioni palesemente false, è possibile che la notizia che cerco di far circolare verrà rigettata da molti.
Basta un rompicoglioni su una chat di WhatsApp o un dettaglio che possa essere smentito con una semplice ricerca Google ed è fatta: ore di lavoro si esauriscono in pochi clic e una manciata di condivisioni.
Per poter vivere al di fuori di me, l’informazione che cerco di far circolare deve avere una qualche attinenza con la realtà emotiva che mi circonda: posso trarre forza da un sentimento, da un luogo comune o da un contesto poco noto ma plausibile, difficile da verificare o smentire.

Gli scenari migliori nei quali impiantare una storia, naturalmente, sono quelli macro.

Parlando di BCE, ad esempio, posso presentare una serie di numeri reali in maniera da arrivare alle conclusioni che vogliamo veicolare.
Certo, ad occhi esperti rimarranno vaccate clamorose, ma per altri, invece, diventeranno nozioni reali, sulla quale basare ragionamenti e convinzioni future.
Questo funziona soprattutto basando il proprio ragionamento su nozioni specialistiche, e attecchisce anche nel caso di persone intelligenti e critiche, ma non esperte in materia.
Per far passare ciò che si vuole, basterà disseminare briciole che conducano al punto di arrivo voluto: un profilo Linkedin in cui inserire un dottorato mai fatto, una selva di articoli simili sull’argomento trattato, o il completamento di certi corsi di studi in realtà mai terminati.
In questa maniera, se non si scrive da una posizione di autorità, si può arrivare ad emularla.
Come?
Dici che l’autorità è un asset sopravvalutato?
Osservazione tagliente, mi piace.
Puoi elaborare?
Non ti viene in mente nulla?
Nessun problema: come avrai capito, adoro le metafore.
Metti caso: ti ritrovi a una cena dove non conosci nessuno e molti presenti parlano di un tizio che si chiama Edoardo.
A detta di chi parla, Edoardo è un vero stronzo.
Sempre in ritardo, in passato ha trattato male Teresa, non ha mai restituito quei soldi a Giovanni, e soprattutto, è da un po’ che si è messo a fare il superiore, come se i vecchi amici non gli bastassero più e pensasse di essere diventato meglio degli altri.
Noti una minoranza che nell’ascoltare certi discorsi rimane a disagio in silenzio, ma ti fai trascinare dalla situazione; in fondo, sentirsi parte di un gruppo è un bisogno umano molto potente.
Così ridi delle battute acidelle di Simona seguite dai commenti ficcanti del buon Mario, il preferito di tutti, che lancia occhiolini a destra e manca e ammicca a sostegno dei discorsi altrui, intercettando con una sensibilità quasi magica il sentimento elettrico della maggioranza che aleggia, invisibile, nella stanza.

Così si continua a ridere e scherzare su Edoardo, e i toni si fanno sempre più accesi.
Sai che c’è?, ti dice Carla, Edoardo è un figlio di troia.

Una delle persone che era rimasta in silenzio a quel punto controbatte con un argomento apparentemente sensato in sua difesa, ma la cosa suscita una reazione di una tale foga e violenza che la induce ad andarsene, e i toni, nel frattempo, continuano ad alzarsi.
Edoardo è un pezzo di merda, sì.
Sai, Edoardo si meriterebbe di morire male, di una malattia brutta.
Gli altri rimasti in silenzio cominciano a scambiarsi sguardi un po’ preoccupati e si parlottano a bassa voce, in disparte. Sembrano confusi; ma davvero stanno parlando della stessa persona? Dovrebbero dire qualcosa? Avrebbe senso partecipare alla discussione anche se è evidente che manca un terreno comune di partenza?
A un certo punto, quando la tensione nella stanza raggiunge l’apice, Edoardo fa il suo ingresso nella stanza.
Una cosa è certa: Edoardo è in ritardo, proprio come aveva accennato la maggior parte del gruppo un po’ di tempo prima del suo arrivo.
A questo punto, come ti sentiresti riguardo ad Edoardo?
Potresti avere sentimenti contrastanti a riguardo, ma probabilmente patteggeresti per la maggioranza, soprattutto perché la maggior parte delle informazioni sulle quali basare un giudizio provengono proprio da lì. E qui veniamo a noi.
La creazione di ambienti viziati da questo deficit informazionale è una modalità che funziona in maniera molto efficace, soprattutto tenendo conto che un ambiente online può essere affollato da presenze artificiose. Nel giro di qualche giorno, con un po’ di olio di gomito, è possibile creare una camera di risonanza nella quale sarà possibile spingere le persone a dire cose che altrimenti non si permetterebbero mai neanche di pensare. Un buon punto di partenza per modificare i loro comportamenti offline: è così che si inclina il pendio scivoloso.
Tieni bene a mente che è in momenti come questi che la capillarità e l’onnicomprensività dell’informazione può mostrare tutto il suo potenziale.
Pensaci: il venti per cento della popolazione mondiale isolato nelle proprie case, e lì fuori un mondo offuscato, inaccessibile. Un pubblico target da sogno.
Sai, c’è gente che per fare pisciare il cane lo cala col guinzaglio dalla finestra.

Lo sai qual è l’unico contatto con la realtà che gli rimane, a questi?
Gli schermi di casa.

Se creiamo i contenuti giusti, il mondo là fuori lo cabliamo come ci pare.
Finalmente abbiamo la possibilità di accantonare la realtà a pieno regime, sovrapporle ciò che vogliamo.
È un’opportunità unica: il sogno bagnato di ogni addetto alla propaganda.
Come dici?
È tutto molto interessante ma non sai da dove cominciare?
Be’, ragazzo mio: sei un figlio di quest’epoca.
Gli strumenti a tua disposizione sono infiniti.
Potresti partire da meme che usano un’ironia volgare per veicolare concetti ipersemplificati a rinforzo di temi caldi nel nostro elettorato; registrare un audio complottista da un quarto d’ora da condividere in chat di WhatsApp private, che circoli lontano da occhi indiscreti e smentite di autorità pubbliche; fare una serie di vlog in cui collocarti con l’aiuto di un green screen in una location esotica per parlare di un’ipotetica esperienza in prima persona difficilmente verificabile e smentibile in maniera univoca.
Come dici?
Vorresti cominciare da qualcosa di semplice?
Un articolo?
Ma quanti anni hai? Settanta?
Ti credevo più sveglio, intraprendente.
Lasciati dire che per lavorare nell’ambito devi darti alla multimedialità, ma per il momento va bene.
In fondo abbiamo cominciato tutti così, e noi crediamo in te: vogliamo che tu te la faccia davvero, questa gavetta.
Ti do una dritta: l’altro giorno ero su Wikipedia e ho scoperto che a Wuhan nel 2015 ha aperto l’Istituto di Virologia, il primo di livello di biosicurezza 4 mai aperto in Cina.
Cosa vuol dire livello di biosicurezza 4?
Ma che cazzo te ne frega, su!
Non senti quanto suona terribile da Dio?
Dove si trova esattamente?
Difficile verificarlo.
Ad esempio, potrebbe trovarsi a due passi dal mercato all’aperto di Wuhan.
Quello dove il COVID-19 ha cominciato a diffondersi, dici? Davvero importa?
Sbizzarrisciti, caro.
Questa dritta vale a peso d’oro.
Libera la fantasia e divertiti: sky is the limit my friend.
Mi raccomando, però: tieni bene in mente la direzione in cui vogliamo andare.
Quando ci sarà la giusta occasione, mi offrirai una birra.
Va che bello che sei!
Dai qua il gomito, va, coglione.
E comincia a lavorare, che io vado a lavarmi le mani.

Luogo sconosciuto, Italia, anno 2020