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Una cosa che mi manca: il Volt

Un'intima perla di design in cui ascoltare dj da folle oceaniche

Scritto da Alessandro Jack Scavino il 11 aprile 2020
Aggiornato il 14 aprile 2020

Lo ammetto, mi manca la Milano da ballare. Mi manca sfrecciare sul marciapiede con cuffie inserite e sorriso stampato, pensando alla notte che sta prendendo forma. Mi manca sfogliare il calendario degli eventi, sgranare gli occhi e sapere che anche questo weekend la scelta sarà ardua: con tutto questo ben di Dio, dove vado?
Spesso negli anni la risposta è stata il Volt. Certo, tutti viviamo di musica e tutti abbiamo un ventaglio di nottate indimenticabili legate ai locali più disparati (che sia trap, house, disco o tanto altro), ma quando cresci a pane ed elettronica sai che, prima o poi, quel cuore ti riporterà a ondeggiare con certi ritmi. È così che una notte ti trovi in piazza Vetra: la città sta pulsando, c’è un fiume di gente e un brivido ti percorre la schiena. Anche stasera ci sarà una selezione musicale da far invidia al resto del mondo e anche stasera sarai in pista (con amici o in solitaria) a goderti l’avventura in un club intimo, sofisticato, calibrato.

All’entrata ti unisci ai sorrisi collettivi, scendendo sfiori con gli occhi quel neon rosso: quell’unico, semplice elemento che risalta in un mare di tubi vicini ed uguali (grazie Gestalt, grazie Antonioli). Le frequenze dei bassi cominciano ad avvolgerti, scalando i gradini assieme a te e presentandoti una scena quasi cinematografica. Centinaia di persone di qualsiasi età stanno ondeggiando, l’impianto suona come uno Stradivari e i led sul soffitto creano una nuova dimensione in cui si sta facendo strada una voce. È l’impianto a trasmetterla, la tua nuova famiglia di stasera se la sta godendo in religioso silenzio, occhi chiusi e bacini in movimento. Il Volt è così, tutti percepiscono la fortuna di avere per sé, a pochi centimetri, un artista che elettrizza piste oceaniche, e nessuno vuole rovinare l’intimità che si sta creando. Farai amicizie sincere con sconosciuti che probabilmente non rivedrai mai più, ballerai con i creativi che ammiri (Maurizio Cattelan, io non dimentico quella chiusura), ringrazierai di aver scelto delle scarpe comode e gusterai gli abbracci continui che vedi nella gabbia o in pista.

Quel clima famigliare è uno dei motivi per cui la mattina, sulla via del ritorno, non fai che riguardare i video di tracce incredibili con annesse lacrime e sorrisi. Qui qualsiasi dj si sente a casa, libero di sperimentare mix eclettici o di finire in b2b con Dustin Phil, il gioiello di casa. Qui i resident sono gli eroi di un pubblico che incoraggia e festeggia, qui Laurent Garnier infila Giorgio Moroder tra un “Crispy Bacon” e un Man with the Red Face. Qui Dixon, Âme, Mano Le Tough e Dj Tennis ti accompagnano nello spazio mentre Rampa e David Mayer ti portano nella giungla. Qui Gerd Janson può mettere tutto ciò che vuole e qui, insieme, torneremo a elogiare la musica appena ascoltata, salendo tra le mura di una perla del design ed esclamando fieramente alla sicurezza “ci vediamo domani!”. E così sarà, perché Milano se lo merita e ce lo meritiamo anche noi.

Dj Tennis