Doverosa premessa: se in questi giorni c’è un mondo che non ha brillato per lungimiranza e compassione – nel senso latino del termine: sofferenza per i dolori degli altri – e che si è distinto per comportamenti più o meno idioti, temo senza dubbio di smentita sia stato quello dello sport. Tra rinvii a singhiozzo e decisioni prese con tempi elefantiaci, giocatori contagiati perché hanno fatto gli splendidi in sala stampa e chiamate “alle armi” per riprendere quanto prima o fermare tutto dettate più dagli interessi individuali che dal bene comune, sono pochi quelli che ci hanno fatto bella figura, atleti o dirigenti che siano.
Persino io che d’abitudine seguo anche la Serie B portoghese, lo snooker e la combinata nordica, ho avuto una sorta di falling out con lo sport
E non nego, per un momento, specie durante le partite a porte chiuse, che persino io che d’abitudine seguo anche la Serie B portoghese, lo snooker e la combinata nordica, ho avuto una sorta di falling out con lo sport. Per tipo 56 ore totali, ma è accaduto. A quel punto – ed eravamo tipo al primo venerdì sera del lockdown – è arrivata la consapevolezza che per un periodo non meglio definito sarebbe emersa in maniera prepotente la mia (nostra, perché so di non essere solo) dipendenza dallo sport giocato – sarò “vecchio” e con un ginocchio sfasciato, ma con la primavera due tiri al campetto contavo di farmeli -, dallo stadio, dalle nottate per le dirette Nba e le dirette gol. Persino dipendenza dal chiacchiericcio post partita, che di solito mi irrita in maniera categorica.
Quindi, dopo le dosi di metadone a base di Netflix e Prime Video, dopo aver letto qualche libro in sospeso, dopo aver cercato e trovato l’obnubilamento dei sensi con varie bevande alcoliche in casa e visto che fuori c’è uno scenario di mielosità che neanche nella San Angeles di “Demolition Man” – dove, in effetti, anche lì era vietato il contatto con gli altri e non c’era più la carta igienica: buona vita anche a voi! – ho cominciato naturalmente a trovare surrogati che ricordassero vagamente l’attività sportiva.
Nel 1967 Roberto Boninsegna è stato il capocannoniere del primo campionato professionistico della storia degli States
Il primo passo, è stato quello di rivolgermi a San Google da Menlo Park e spararmi una serie di articoli sul mondo sommerso dello sport, grazie ai quali ho scoperto i seguenti fatti poco noti:
1) Nel 1967 Roberto Boninsegna è stato il capocannoniere del primo campionato professionistico della storia degli States. Siccome il soccer a fine anni 60 non era proprio lo sport preferito degli americani (non che ora…), hanno chiamato una serie di squadre europee a giocare d’estate, mascherandole con nomi e casacche fantasiose e probabilmente anche dei baffi posticci. Il Cagliari per due rapidi, intensi mesi è diventato i Chicago Mustangs e Bonimba andò in doppia cifra, senza però riuscire a portare la squadra di Sardegna-Illinois ai playoff.
2) La rivalità più grande del calcio canadese non è Toronto Fc vs Montréal Impact, ma un derby tutto made in Ontario dal sapore balcanico, ovvero la sfida che da oltre mezzo secolo vede affrontarsi Toronto Croatia e Serbian White Eagles, rispettivamente con base ad Etobicoke e Hamilton, due sobborghi della metropoli dell’Ontario. Non mi dilungo sulle ruggini che le due squadre si sono portate appresso dal Vecchio Continente…
3) Kareem Abdul Jabbar e Muhammad Alì si sono entrambi convertiti all’Islam attraverso la Nation of Islam, una specie di versione riveduta e corretta della fede musulmana nata nelle metropoli americane: Jabbar con il tramite di Ernest 2X McGee, che dopo essere stato a capo della “Nazione” fondò una setta parallela chiamata “Hanafi Movement”; per Alì invece fu fondamentale la figura di Malcolm X. Se il pivot che “marcava i cristoni sotto canestro” ha subito aderito all’Islam sunnita, il “GOAT” dei pesi massimi seguì la dottrina della Nation of Islam più a lungo, anche dopo l’assassinio di Malcolm X, convertendosi solo a fine anni 70.
Quando poi sono arrivato a leggere sul perché i movimenti di liberalizzazione della cannabis hanno causato una sospensione di un anno e mezzo del campionato di calcio delle Mauritius, mi sono accorto che l’alienazione era dietro l’angolo e perciò ho trovato alternative demodé, che magari fanno tornare in mente i passatempi dell’infanzia a carattere sportivo. E siccome è ormai evidente che per qualche tempo ancora di sport vero e proprio non se ne parlerà, ecco tre divertenti surrogati che non siano i videogiochi, per quanto recuperare “Sensible World of Soccer” e fare una “modalità carriera” con le squadre del 1996 non sarebbe neanche una brutta idea:
IL TORNEONE: Era uno dei grandi classici dell’estate con mio fratello, servivano solo carta, forbici, un dado e un cappello (o un qualsiasi recipiente) per simulare l’urna del sorteggio. La modalità era quella della vecchia coppa Uefa, si prendevano 64 squadre di club a vostro piacimento e si faceva un bigliettino di carta per ognuna, tutti quanti nel cappello e via con l’estrazione: tabellone tennistico, niente teste di serie, andata e ritorno, senza esclusione di colpi o manovre strane tipo Fifa, e se al primo turno capita Real Madrid v Bayern Monaco, peggio per loro. Una volta stilato il primo turno, via ai dadi, 1-2 vale un gol, 3-4 sono 2, 5-6 sono tre gol – e lo so, niente goleade e per fortuna mia niente 7-1… In caso di sfide troppo squilibrate, si può assegnare un handicap per farla più realistica ed evitare che il La Valletta batta il Liverpool, anche se senza squadre cenerentola ammetterete che è meno divertente… E così via fino alla finalissima in gara secca e campo neutro “geografico”, cioè il più possibile a metà tra le partecipanti, tanto per ripassare un po’ di geografia. E ‘sti cazzi poi se Paris Saint Germain vs Barcellona si dovrà giocare a Cagliari…
Varianti: ovviamente c’è la versione per nazionali (con un po’ di pazienza si possono replicare anche i mondiali), quelle per gli altri sport – Wimbledon viene una bomba, per esempio, i dadi sono pure perfetti per i risultati dei set -, ma la mia preferita è quella con le squadre per annate: Roma ’83 vs Roma ’01, Ajax ’74 vs Milan ’89. Però a questo punto è chiaro si va oltre la soglia della follia.
LA FORMAZIONE TIPO: questo passatempo viene meglio su qualche gruppo WhatsApp o Facebook, giusto per creare un po’ di dibattito storico. Prendete quattro o cinque malati di sport e lanciate il sondaggione. Cinque giocatori per ruolo – ovviamente scegliete lo sport di squadra di riferimento, calcio, basket, pallanuoto, curling, quello che vi pare e in cui siete esperti – ognuno dà le proprie nomination e i due più votati fanno parte della rosa. Si può anche fare proprio tipo oscar e poi dai cinque più votati se ne sceglie uno solo, con una votazione il più unanime possibile. Ho visto finire amicizie per stabilire se andasse scelto Lebron James o Larry Bird come titolare nel quintetto tipo Nba, quindi forse con due candidati si salva il salvabile…
Varianti: oltre allo sport di propria scelta, si possono stabilire i criteri più disparati: temporali- quello più gettonato è “che avete visto senza filmati d’archivio”, quindi sorry Pelé e compagnia – di nazionalità/continente – un bell’Europa vs Resto del Mondo non si nega a nessuno – “all time” per una sola squadra e così via.
SUBBUTEO: ok, qui effettivamente è più complicato, perché diciamo che di norma si dovrebbe giocare in due e poi tecnicamente serve avere ancora tutto l’armamentario con telo, squadre e porte ancora intatte. Ora, siccome io stavo in fissa da bambino e in età adulta poi mi sono ricomprato tutto – ed essendo una persona moralmente disdicevole, ho comprato su eBay anche la versione rugby con tanto di aggeggio che ricrea la mischia ordinata – e visto che il tempo non mi manca, ho cominciato a farmi delle sfide 1 vs 1 che nemmeno gli scacchisti professionisti a Central Park per bullarsi di quanto sono forti. Ecco, non giocandoci da almeno 15 anni io ho poco da bullarmi, ma “il gioco dei tre tocchi” rimane pur sempre una delle migliori cose mai inventate.
Menzione d’onore per i più arditi: visto a un paio di palazzi di distanza dal mio, un padre giocare “a tedesca” con i due figli adolescenti – almeno spero fossero i figli, in caso contrario date subito un premio a quell’uomo! – sul terrazzo condominiale, quello al primo piano che “unisce” le due scale del condominio. Non ho capito se quando è caduto il pallone in strada sono scesi con l’autocertificazione, ma comunque eroi dei nostri tempi.