Sono le 8 del mattino e si fa luce sotto la vetrata dell’ex borsa del macello. Ho in mano una birra e una brioche: bevo un sorso e addento la sfoglia. Sono qui dentro da quattordici ore ma non ho ancora voglia di andarmene. Mi guardo in giro. La Milano Sushi e Coca di M¥SS KETA sta defluendo dal Temple, o dalla sala rossa, come l’ho chiamata tutta la notte, per via dei manifesti di Zero a mo’ di carta da parati. Lorenzo Fassi sta tirando le techno somme nella sala grande e il prossimo martello sul gong sarà l’ultimo per oggi.
Il teaser del party
Nella salettina vedo qualche faccia provata seduta in parterre. Forse sono anche loro qui dal pomeriggio di ieri, quando giravano i tramezzini, i primi cocktail di Edo, Federica e Maurizio, con i bambini a giocare con i palloncini rosa e le mille copertine di Zero che penzolavano dal soffitto. Il primo dj a scaldarci mani e gambe è un Bruno Bolla in gran forma, armato di Lovelee Dae di Blaze che dava il via alla scarica di anthem. E poi via a salire, dal 1996, tra i vari generi musicali e i “ti ricordi?” nostalgici, i locali che non ci sono più e quelli che resistono, i centri sociali, la cosmic disco, i megaclub, i deejay di Milano e le loro borse dei dischi, i circoli, l’hip-hop, il cazzeggio, i gay a torso nudo, l’electro, i party clandestini, le file all’ingresso, l’alba sui marciapiedi. Tutto e tutti insieme appassionatamente, perché questa sera non è un deejay award ma la festa di chi, almeno una volta negli ultimi vent’anni, ha recuperato quel tascabile dalla copertina buffa che ti dice dove andare a divertirti.
Vent’anni di aneddoti e di sorrisi contagiano il dancefloor democratico, ci si muove tra un Red Alert di Basement Jaxx e un Miura di Metro Area, mentre la Milano delle storie diverse si incrocia ancora al bancone o in centro pista. I bartender scacciano il gelo dalle mani miscelando infusi; a una certa vedo Pastu che armeggia con una magnum di caffè Borghetti, e sono subito cori da stadio. Arrivano non si sa bene da dove pane, olio e olivoni succulenti, mentre parte La La Land di Green Velvet. Incrocio amici di una vita e amici che non vedo da una vita. Abbracci, un drink da smezzare, un salto in sala rossa a sudare, un giro dietro le quinte a stringere mani, ridere di una battuta, prendersi per il culo, discutere di progetti futuri. Passano le ore ma in pista è ancora pieno, che ci sia un Djpersignora o un set afro di Tyler. Sembrava un’idea assurda far funzionare questa maratona di dj e bartender, eppure è tutto filato via con energia e felicità. Traetene voi le conclusioni, che io odio i cliché. Sono le 8 e mezza del mattino quando mi lascio Macao alle spalle. Fuori, la città si sta svegliando.
Raffaele Paria, milanese di nascita, vive e lavora a Londra, dove si occupa di marketing e comunicazione. Perché Londra è il centro del mondo, non c’è New York che tenga, è il luogo dove tutto nasce e muore. Tutte le sere, a meno che giochi la Juve, lo puoi trovare nei migliori e peggiori bar e club della capitale britannica, alla ricerca dei migliori Vodkatini con twist e del sound perfetto. Globetrotter del clubbing, è facile incrociarlo sui dancefloor dei festival e dei locali in giro per il mondo.
LA GALLERY DEI BARMAN (Foto di Daniele Fragale, Edoardo Notizia, Jennifer Keber e selfie vari)
LA GALLERY DEI DEEJAY (Foto di Daniele Fragale e Edoardo Notizia)
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Ecco anche il dj set di chiusura del Salone di Lorenzo Fassi
Da parte di Zero, un ringraziamento speciale alle persone che fanno di Macao un luogo di cultura e aggregazione : il collettivo che nel 2012 occupò la Torre Galfa, e poi a ruota altri 4-5 spazi abbandonati milanesi e che ha trovato una casa stabile nell’ex sede dell’Associazione Macellai di viale Molise. A Berlino non hanno un luogo così. Qui si ascoltano live, si balla, si fa politica, e arriva la migliore arte di ricerca in circolazione.
E un ringraziamento ai dj, ai barman, ai locali, alle serate e ai partner che hanno contribuito a rendere questo party indimenticabile.
Last but not least i collaboratori di Zero, i lettori e tutti quelli che hanno partecipato alla festa, con scuse sincere a chi non è riuscito a divertirsi o a entrare. Ci vediamo tra 20 anni, o magari tra un minuto.