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Zuppa quarantena

Ci stiamo facendo trascinare verso una deriva agghiacciante

Scritto da Signora Park il 26 marzo 2020

Foto di Oren

“Io sono assolutamente favorevole alle misure imposte dal governo, ma…”: sono certa che molti avranno sentito (o usato) una simile frase in queste giornate incerte di quarantena.
Alla stregua degli amici razzisti o omofobi che esordiscono con un “non sono razzista ma, ho tanti amici gay ma”, molti degli italiani alle prese con la quarantena si sono riscoperti degli ipocriti passivo-aggressivi.
Tutti pronti a giudicare la quarantena di qualcun altro, alle prese con la nostra ci riscopriamo una creatività insospettabile nell’auto-confezionarci scuse veramente fantasiose. Alcuni delatori, altri smaniosi di ripiombare nelle peggiori dittature: qualche giorno fa una tizia ha seriamente scritto su Facebook che avrebbe scaricato da sé una di quelle app che monitorano e tracciano le persone in quarantena perché lei non aveva nulla da nascondere.

Solo a me tutto questo sembra assurdo? Sono convinta di no. Eppure in un modo grossolano e incredibilmente rapido ci stiamo facendo trascinare verso una deriva che definirei agghiacciante.
La prima cosa che secondo me dovrebbe figurare nella cronaca di una quarantena da Coronavirus è che – come le feste di matrimonio (e chiunque si sia sposato sa che ho ragione) – tira fuori il peggio di noi.
E non parlo di un peggio astratto, parlo di un peggio concretissimo da cui credo che nessuno possa sentirsi al sicuro: io lo chiamerei #vedraicheprimaopoi, usando sti hashtag che vanno tanto di moda. È un mutevole mix di invidia, sennodipoismo, prosopopea, istinto pontificatorio e un’altra manciata di ingredienti a piacimento che cambia di poco consistenza e colore della pietanza, ma non il sapore, quello no, che continua a ricordare tanto la bile.

In questi giorni è tutto un susseguirsi di saggi consigli non richiesti colmi di senno di poi

Ecco come si prepara. Mettete in un calderone uno dei vostri amici giornalisti (tutti ne abbiamo almeno uno, pochi fortunati anche decine), quello che ha iniziato a pontificare che stavolta siamo stati bravi e che presto gli altri stati si accorgeranno di avere sottovalutato il rischio. Se anche voi, come me, non vedevate l’ora di leggere le sue indignate esternazioni contro questi poveri scemi di *spagnoli, *francesi, *americani (cambiate pure a scelta il popolo reietto oggetto degli strali) rallegratevi: non mancheranno. E infatti in questi giorni è tutto un susseguirsi di saggi consigli non richiesti colmi di senno di poi che mettono in guardia questi ingenui naïf che non sanno sfruttare l’egregio esempio dato per una volta dall’Italia e dal suo popolo eletto in odor di santità.

Come dimenticare poi l’amico medico che in chat vi raccomanda di stare a casa per carità: hanno ragione loro, poveretti, la cui tenuta psicologica è messa a dura prova, stavolta sì, da uno sforzo lavorativo senza precedenti. Ossessionati e terrorizzati da un sistema sanitario al collasso, si danno da fare senza risparmiarsi, cercando di sensibilizzarci affinché non andiamo ad accatastarci anche noi sulle pile di corpi da infilare in una terapia intensiva già sofferente.
C’è poi un’altra “amica” medica: quella che della professione ama l’ormai scomparsa “posizione sociale”, le sirene di uno stipendio alto e sicuro e null’altro e che si è andata a rifugiare all’estero per evitare di prestare servizio, disposta a tutto ma no di certo ad aiutare gli altri. Ma lo ha fatto per i malati, sia chiaro: dall’ultima volta che ha studiato la polmonite e le sue possibili cure sono passati almeno 15 anni. Sono sicura che Dante abbia immaginato un girone dell’Inferno anche per lei. In attesa che qualche dantista si pronunci, io una prima punizione l’avrei in mente: un’accusa di diserzione, come quella che toccava ai soldati in fuga dalla guerra, e che come minimo dovrebbe tramutarsi in una radiazione dall’albo.
E quelli che “guarda ‘sti terroni che sono venuti al sud tirandosi dietro il virus” e al figliol prodigo che vive un po’ più a nord di Roma chiedono di tornare in fretta nella casa natia in barba a ogni raccomandazione governativa.

«Ma non appena gli animali sono circondati, il quadro cambia. Non è più possibile una direzione comune di fuga. La fuga di massa si trasforma in “panico”: ogni animale cerca la salvezza per sé solo, e ognuno è di ostacolo agli altri»

«Ma non appena gli animali sono circondati, il quadro cambia. Non è più possibile una direzione comune di fuga. La fuga di massa si trasforma in “panico”: ogni animale cerca la salvezza per sé solo, e ognuno è di ostacolo agli altri. Il cerchio intorno ad essi li stringe l’uno addosso all’altro. Nel massacro che ora principia, ogni animale è nemico dell’altro, poiché ognuno ostacola all’altro la via della salvezza». Questa frase di Elias Canetti, da “Massa e potere” ve la metto qui un po’ come monito, un po’ per vezzo. Vedete voi cosa farvene.
Al momento in cui scrivo uno dei trend topic su Twitter è #vergogna: se vi annoiate andate a vedere cosa confluisce sotto questo cappello. Spoiler: segnalazioni di cose per cui gli altri dovrebbero vergognarsi durante la quarantena. Tipo il corriere che segnala il cliente che lo costringe a lavorare per consegnargli una cassetta di birre.

Elias Canetti, Premio Nobel per la Letteratura 1981 – Di sconosciuto – [1] Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989, CC BY-SA 3.0 nl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20442497

E adesso vi racconto due aneddoti. Chissà se vedrete dei punti in comune.
Ieri stavo leggendo un bel libro che parlava di altri libri (benedetti siano i libri, in questi giorni, mi chiedo come avrei fatto senza) e quindi leggendo via via prendevo “appunti letterari” nel modo che mi viene meglio: aggiungendoli alla mia lista dei desideri su Amazon. Vi vedo già che storcete il naso: “ah ma quel buon odore delle librerie indipendenti dove lo metti”, ma io uso Amazon principalmente come blocco notes, più che per acquistare libri. Excusatio non petita, accusatio manifesta. Comunque. Aggiungevo dunque libri che vorrei leggere alla mia lunga lista, quando un annuncio mi è balzato agli occhi “Stiamo dando priorità ai prodotti di cui i clienti hanno più bisogno. Bla bla bla..”.
Altra scena. Interno, giorno: mia madre, una signora di 68 anni della piccola borghesia, si reca in una farmacia ben fornita per acquistare alcune delle cose che abitualmente compra in farmacia a cuor leggero, senza essersi mai dovuta chiedere, come forse molti di noi stanno facendo questi giorni, se siano beni di prima necessità oppure no. La farmacia è vuota, quindi mia madre non se lo domanda nemmeno ora, si limita a elencare le cose di cui ha bisogno, tra cui un fondotinta senza nickel per la sua pelle allergica. Al che la farmacista, una trentenne insospettabile, la apostrofa con un “signora, cosa deve farci col fondotinta? Tanto non può uscire!”. Mia madre prontamente le risponde che la domanda è speciosa, visto che loro quel fondotinta (e tanti altri prodotti simili) lo vendono, ma a quel punto stizzita rinuncia a quel bene così voluttuario e se ne esce indispettita.

Ebbene, questi due episodi, che in un periodo normale sarebbero stati ascrivibili solo a singoli individui idioti, ora mi appaiono sinistramente in tutta la loro incombente minacciosità.
E badate bene, qui il punto non è che io voglia difendere il nostro diritto ad acquistare beni più o meno inutili come tanti piccoli capitalisti che non hanno mai sentito parlare di Marx, o che confonda la “libertà” di acquisto con la libertà tout court (senza riconoscere che la prima è in realtà una schiavitù indotta eccetera eccetera). Il problema è che credo ognuno di noi abbia il diritto all’auto-determinazione, anche se questo significa sentirsi stupidamente liberi comprando prodotti inutili.
E magari sarà il mio solito gusto per l’iperbole oppure anche voi avete la medesima sensazione: che tutto questo, mentre sentiamo volteggiare sulle nostre teste gli elicotteri, e dalle strade provengono solo suoni di ambulanze, sia decisamente sinistro.