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Cesare Capitani

Arriva al Franco Parenti il 21 novembre lo spettacolo Io, Caravaggio di Cesare Capitani

Scritto da luca cecchelli il 16 novembre 2017

Luogo di residenza

Milano

Attività

Regista

Presentato al Festival d’Avignone nel 2010, Io, Caravaggio è uno spettacolo sulla vita del noto artista lombardo che vede protagonista Cesare Capitani. Dopo la tournée nelle più grandi città francesi, che ha superato le 480 repliche, arriva il prossimo martedì 21 novembre al Teatro Franco Parenti per una settimana: «Sono quasi alla 500esima rappresentazione» afferma Cesare Capitani, «l’ho portato in tanti festival e teatri ma questa volta sono estremamente emozionato perché dopo quasi 20 anni torno a recitare a Milano che è la mia città, la stessa di Caravaggio. Mi sento incaricato di una bella responsabilità per la rappresentazione milanese».

Cesare Capitani e Laetitia Favart  Foto Franco Rabino
Cesare Capitani e Laetitia Favart
Foto Franco Rabino

ZERO:Come è nato questo spettacolo su Caravaggio?
Cesare Capitani: Ho iniziato a lavorarci intorno al 2008 documentandomi su Michelangelo Merisi ma trovavo solo saggi pittorici e niente che parlasse della sua vita finché poi ho scoperto “La corsa all’abisso”, una biografia romanzata di Dominique Fernandez su Caravaggio e mi è piaciuta molto. Si tratta di un romanzo lungo più di 800 pagine, su cui mi sono basato per creare il mio adattamento teatrale. Il tempo è trascorso e il caso ha voluto che lo spettacolo abbia infine debuttato ad Avignone proprio il 18 luglio del 2010, giorno della morte di Caravaggio. L’ho presa come una benedizione: dopo il successo di Avignone abbiamo continuato con i teatri parigini, poi in Marocco, a Roma e negli istituti culturali. E la prossima settimana saremo al Franco Parenti».

Cosa c’è di Dominique Fernandez e di Cesare Capitani nello spettacolo?
La base è il testo di Fernandez ma ho tagliato tantissimi passaggi narrativi, descrizioni di paesaggi e situazioni. C’è molto di mio: Io, Caravaggio è un testo che ho continuato a cambiare e di cui ho depositato ormai diverse versioni, molte battute sono state eliminate, altre aggiunte, una continua evoluzione.

Dopo Gian Maria Volonté, Danny Quinn e Alessio Boni ora Cesare Capitani: cosa hai scoperto e cosa ti ha lasciato Caravaggio?
La mia fascinazione per Caravaggio è nata dai suoi quadri sensuali e sconvolgenti fatti di sangue, violenza, corpi sporchi e mezzi nudi. Da quei quadri sono risalito all’uomo: più si conosce la sua vita, più ci si rende conto che, quanto da lui rappresentato, faceva parte della sua quotidianità. Probabilmente bisessuale, frequentava amicizie poco raccomandabili, prostitute, assassini e bari, spesso modelli delle sue tele, non potendo permettersi professionisti. Mi ha colpito molto questo lato crudo, una vita vissuta intensamente fino a 39 anni seguendo una vocazione totale per la sua arte fino a bruciarsi. Una vita di chiaroscuri, proprio come nelle sue tele: da pittore più pagato di Roma a reietto. Ha tutti gli elementi che ne fanno un personaggio veramente forte e potente, come un eroe della mitologia, o come i più contemporanei James Dean, Amy Winehouse o Pasolini.

Recentemente Vittorio Sgarbi, che ha portato in scena una sorta di happening su Caravaggio, ha paragonato molti soggetti dei ritratti caravaggeschi a personaggi tratti dal mondo pasoliniano. E anche la morte di Caravaggio, compresa la sua presunta omosessualità, ricorda quella del poeta. Anche tu vedi questo parallelismo?
Il parallelismo tra Caravaggio e Pasolini è evidente. E lo stesso Fernandez, qualche anno prima di comporre La corsa all’abisso, ha scritto un romanzo su Pier Paolo Pasolini, scoprendo quanto il poeta a sua volta fosse un grande appassionato di Caravaggio. Il parallelismo con Pier Paolo Pasolini, artista maledetto, autodistruttivo, morto anche lui su una spiaggia deserta in condizioni misteriose, circondato da questa aura di omosessualità calza perfettamente a Caravaggio. Caravaggio era protetto da cardinali, vescovi e dal Papa ma allo stesso tempo era pericoloso per loro: per i quadri che gli venivano commissionati era capace di prendere come modello ad esempio prostitute che tutti conoscevano a Roma. Una continua provocazione che c’è anche in Pasolini insomma, il parallelismo sottolineato da Sgarbi è evidente.

Dimenticato per lungo tempo poi riscoperto a metà anni ’50 da Roberto Longhi. Qual è secondo te l’eredità più grande di Caravaggio oggi?
Caravaggio è stato il primo ad aver avuto una visione cinematografica nei suoi quadri, concentrato sui primi piani e sui particolari. Dipingeva sempre nel buio del suo atelier in modo da poter comandare la luce: un regista. Ha portato l’uso del chiaroscuro a livelli altissimi, rendendo i suoi personaggi realissimi: ci riconosciamo più in un San Giovanni Battista o in una testa di Medusa che non in un qualsiasi altro ritratto dalla luce perfetta. La modernità di Caravaggio sta nell’immedesimazione cruda, ai giovani piace perché c’è qualcosa di autentico e non patinato, il risultato è la riproduzione istantanea di un momento preciso in cui succede qualcosa: un omicidio, un morso, un martirio o una decapitazione.

E la sua vita può essere considerata dunque un’opera d’arte tanto quanto i suoi quadri?
A me verrebbe voglia di dire di sì, artisticamente. Più difficile dire se la sua vita, umanamente, sia stata una vera opera d’arte: certo corrisponde ad un ideale di vita romantica e rocambolesca, in cui si muore giovani e in modo misterioso, senza conoscere le bruttezze della vecchiaia. Tanti particolari ne fanno un personaggio romantico. Però se avessimo potuto chiederglielo magari avremmo scoperto che avrebbe preferito una vita più tranquilla, chissà.

La peculiarità di questo spettacolo rispetto ad altri prodotti sullo stesso tema?
Non voglio compararmi con colleghi bravissimi come Gian Maria Volontè o Alessio Boni. Diciamo intanto che il mio è uno spettacolo e non un film o uno sceneggiato. Uno spettacolo dal quale la gente esce spesso sconvolta: quello che colpisce è la crudità turbante che si ritrova nei suoi quadri di cui cerchiamo di riprodurre in scena la violenza e la sensualità. Rispetto ai film e sceneggiati più patinati nel nostro spettacolo emergono gli elementi più “sporchi”.
In più cerchiamo di spiegare come sono nati i suoi quadri con i riferimenti ai protagonisti, alle circostanze e ai committenti. Gli spettatori, dopo le rappresentazioni in Francia, ci dicevano: «ci è venuta voglia di correre in un museo o sul web a cercare i quadri di Caravaggio!» Questi, credo, sono i valori aggiunti del nostro spettacolo.

Cesare Capitani e Laetitia Favart  Foto Franco Rabino
Cesare Capitani e Laetitia Favart
Foto Franco Rabino

Tua compagna in scena Laetitia Favart. Perché la scelta di un’attrice a interpretare anche ruoli maschili?
Quando Caravaggio racconta la sua storia, nel romanzo, fa parlare la madre, la marchesa, l’inquisizione, tanti personaggi. Io interpreto Caravaggio ma anche altri ruoli portando un’energia maschile e rabbiosa; così, per compensazione, ho pensato alla femminilità di Laetitia per l’interpretazione degli altri personaggi. Anche quando interpreta un uomo mi sembra che lei possa portare un’energia diversa. Ho voluto mettere un po’ di ying e yang, positivo e negativo, bianco e nero o chiaroscuro, se preferite, in questo senso. Ci sono scene sensuali e avere una donna in scena mi sembrava più interessante. Come interessanti sono le sue interpretazioni maschili o i momenti in cui canta varie arie dell’epoca di Caravaggio, come Monteverdi e Caccini, oppure composte da lei stessa sulla base di atmosfere e suggestioni colte durante le prove.

Lo studio della scenografia e della luce in scena su quali opere si è basata?
La scenografia è inesistente: lo spettacolo è costituito solo dal testo, dagli attori e da bei momenti di luce alla ricerca di grande essenzialità. Ci sono due specie di sgabelli che possono avere vari utilizzi: dal piedistallo per un modello, ad una sedia, ad una roccia. Niente è rappresentato, tutto è evocato: noi attori, come due bambini, inventiamo con la parola un universo. Abbiamo cercato di ricreare l’impressione del chiaroscuro caravaggesco attraverso una luce soffusa ma delicata, quasi sempre molto calda, come fossero candele, nel tentativo di riprodurre anzitutto l’atmosfera stessa in cui dipingeva l’artista. E noi in scena cerchiamo di ricreare le pose che rievochino i suoi dipinti.

Il pubblico scoprirà qualcosa di inedito su Caravaggio?
Lo spettatore medio conosce Caravaggio ma non tutto. Si scopriranno, nel dettaglio, tutti i problemi che ha avuto con l’inquisizione, i processi a suo carico, come usava difendersi quando veniva arrestato e l’ultima parte della sua vita, trascorsa a scappare da Napoli, alla Sicilia a Malta. Si esce dalla sala con informazioni nuove.

E parlando di attualità che idea ti sei fatto sul recente ritrovamento delle presunte ossa del pittore traslate lo scorso 19 luglio 2014 a Porto Ercole nella piazza del Caravaggio?
Che si siano trovate le sue ossa dopo quattro secoli per me non ha importanza. Si rende più gloria e omaggio a Caravaggio ammirando un suo quadro, comprando un catalogo di una mostra o conoscendone la vita straordinaria. O rievocandola.