Quando arrivai a Bologna notai subito quell‘insegna della metropolitana rovesciata vicino Palazzo D’Accursio. Ero convinto che fosse un’indicazione giocosa per il sottopassaggio, perché pochi metri più in là, su via Ugo Bassi, ce n’era un’altra, anch’essa a ridosso di un altro tunnel sotterraneo. Mi dovetti ricredere però quando apparvero quelle al Paladozza e in Montagnola. Nessuno, nemmeno quei pochi bolognesi doc che conoscevo, sapeva però darmi una spiegazione certa, anche perché in quegli stessi anni si discuteva di metropolitana, quindi moltissimi ci videro una strana trovata per segnalare le future fermate.
Nella Bologna che ha abbandonato certe velleità sotterranee per adottare soluzioni di superficie (tram, people mover), interpretazioni come queste continuano comunque ad accavallarsi arricchite da quelle delle nuove masse turistiche che con occhi vergini aprono su quelle W ulteriori mondi immaginari.
Le W oggi sono 5 e la verità è che non sono mai state un mistero (non premeditatamente). Sono opere d’arte pubblica commissionate da Xing e realizzate dal gruppo artistico Kinkaleri dal 2007 al 2019 in concomitanza di alcuni eventi culturali. La prima è stata installata in occasione di Wanted evento performativo curato da Kinkaleri all’interno della Galleria Accursio in piazza Maggiore, per duplicarsi l’anno successivo insieme a Wasted a cura di mk & guests, nel sottopasso di via Ugo Bassi; la terza insegna arrivò con Wrestling nel 2009 al PalaDozza, evento curato da Barokthegreat; poi nel 2010 alla Montagnola durante Waudeville ideato da Open.
Il progetto nel 2019 ha trovato, infine, una nuova evoluzione davanti al Padiglione Esprit Nouveau in zona Fiera con una variazione stilistica di Cristian Chironi che ha trasformato la W in gradini stilizzati.
Cos’è quindi la W? Un’ipotetica linea metropolitana della creatività underground. Un segno che è ormai parte del paesaggio urbano di Bologna e che accumula momenti sentimentali, testimonianze, avvenimenti, raccolti nel blog wetropolitan.blogspot.com.
Ne abbiamo parlato con i Kinkaleri.
Come nacque l’idea di una M rovesciata?
Marco – Inizialmente la W nacque come insegna di Wanted, il progetto performativo che organizzammo per quattro giorni nella galleria d’Accursio nell’aprile del 2007 come evento speciale commissionato da F.I.S.Co. 07 con Siemens Arts Program. La W svettante indicava il luogo della costruzione apocalittica della meraviglia.
Gina – Ci era stato chiesto di abitare lo spazio della Galleria d’Accursio, sotto Piazza Maggiore e la lettera luminosa in campo rosso delimitava la discesa verso questo spazio. Waiting for Wanted, un buco nero in cui calarsi nel centro della città.
Qualcuno potrebbe leggerla ancora oggi come una presa per i fondelli. È così?
Marco – Mai pensato di prendere per i fondelli nessuno, nessuna burla, la W è piuttosto una riflessione sul linguaggio e le possibili declinazioni nel contesto che l’accoglie.
Massimo – Non è mai stata una presa per i fondelli. Partire dal reale per sovvertirlo, capovolgerlo, non è una presa per i fondelli è una dichiarazione nel pieno delle nostre facoltà di intendere e volere. L’installazione della W è stato un atto di fondazione compiuto con la complicità di Xing per segnalare un’area ad alto rischio di ricerca nel perseguimento del desiderio. Un’insegna issata come dichiarazione di appropriazione, inizialmente temporale, di uno spazio che rispondeva a logiche particolari.
Gina – Il punto era proprio nel capovolgimento del segno che graficamente riconduceva all’insegna originale; dalla M alla W una lettera composta che rimandava a un raddoppiamento illimitato, un’inversione così vicina da sembrare quasi normale. Non una presa per i fondelli, ma un gioco associativo su cui mettere in atto continui ribaltamenti di piani.
Si racconta anche di una lettera sulle pagine del Corriere di Bologna, dal quale risposero affermando che quella era la zona wireless di piazza Maggiore, “quell'area da dove ci si può collegare a internet senza pagare canoni e abbonamenti vari... Un ottimo servizio per i nostri giovani e un modo intelligente per mettere in collegamento la nostra bella piazza con il mondo intero”.
Marco – Ci fu ad un certo punto il tentativo di innescare una discussione con la città, scrivemmo ad alcuni giornali locali chiedendo spiegazioni sulle insegne, qualche testata pubblicò la lettera e collezionammo diverse risposte.
Massimo – Da qualche parte dovremmo avere la serie di lettere inviate ai giornali che fornivano informazioni. La cosa più bella era scoprire che ognuno aveva delle spiegazioni pur non sapendo niente, ma cosa ancora più bella era che nessuno ne metteva in dubbio la legittimità in una zona delicata come Piazza Maggiore. Questa fu una sorta di prova del fatto che la W fosse stata assimilata e “adottata” come segnale di una città, di nessuna utilità, ma necessaria come lo sono i monumenti.
Gina – Capimmo subito che l’insegna era stata immediatamente assorbita dal luogo come qualcosa di naturale, mimetizzata nel paesaggio e per questo eletta a raccogliere le diverse interpretazioni. Ognuno era pronto a indicarne una diversa funzione senza mai mettere in discussione l’esistenza.
Quali sono stati le altre bizzarre spiegazioni con le quali siete entrati in contatto?
Marco – Le più gettonate furono la zona Wi-Fi, visto che la biblioteca l’aveva da poco predisposta, o l’insegna per bagni pubblici che la galleria Accursio aveva al suo interno. Ci fu anche chi rispose che si trattava dell’ingresso della metropolitana, metropolitana che a Bologna non è mai esistita.
Massimo – Quella dell’insegna della metropolitana era interpretata come un’opera futura di cui venivano segnalati gli accessi in anticipo. Una sorta di progetto di comunicazione del Comune per dei lavori prossimi a venire.
Gina – L’ingresso luminoso ai nuovi bagni pubblici, una fermata del Wbus, la costruzione della nuova Wetropolitana di Bologna, un luogo per appuntamenti, un nuovo Wc Donald’s, l’insegna del Wetropolitan Museum.
Prima del 2015, quando sono state finalmente riconosciute dal Comune come bene pubblico del territorio, le W sono praticamente rimaste lì illegalmente. Ma quand’è nata la volontà di istituzionalizzare un segno nato come abuso? E perché?
Marco – Nasce dalla caparbietà di Xing e Silvia Fanti, che del progetto ne è la corresponsabile, ha fatto di tutto per farle riconoscere dalle istituzioni comunali. Credo che abbia giocato un ruolo fondamentale il fatto che in tutti gli anni che sono rimaste “illegali” siano diventate un segno riconosciuto e rappresentativo del paesaggio bolognese.
Massimo – Per me la domanda ora è quanto resisteranno. Non come durata dei materiali, anche di questo l’attenzione della Silvia si rivela in tutta la sua cura, e ciclicamente le insegne vengono pulite (siamo venuti anche noi una mattina a Bologna a pulire la W di via Ugo Bassi da tutti gli adesivi che via via la gente ci ha appiccicato sopra) e restaurate alla bisogna. La mia curiosità è quanto resisteranno alla città. Fra quanto si presenterà qualcuno che protesterà per quelle W e le vorrà eliminare in quanto, per esempio, non adatte al decoro della città?
Gina – È stata una scommessa condivisa con Silvia. È vero che il concetto di legalità si è sempre modificato nel tempo attraversando le sue ambivalenze e contraddizioni. Penso che se avessimo condiviso sul nascere il progetto nessuno ci avrebbe dato il permesso per la sua realizzazione.
Boeri la usò a Milano per la sua campagna elettorale. Eravate d’accordo?
Marco – Non ne sapevamo niente, lo scoprimmo successivamente quando di passaggio a Milano vedemmo la campagna pubblicitaria, lo chiamammo e lui disse che non conosceva il nostro progetto. Sul blog c’è ancora l’audio della telefonata registrata.
Massimo – Sì, fu molto smart ad accettare la nostra richiesta di intervista. Parlammo di varie cose tra politica ed arte; gli facemmo gli auguri per la campagna elettorale che poi vinse con Pisapia.
Non sono rare le foto di cronaca o di grandi avvenimenti in cui compare la vostra W. Penso alla visita del Papa o alle tante manifestazioni di protesta. Possiamo addirittura dire che la W è già entrata nella storia della città?
Marco – Decisamente sì, è un orizzonte di riferimento anche per tutti quelli che non ci fanno caso, la forza di questo progetto è sempre stata la sua mimesi, un segno evidente e familiare, ma con qualcosa di-storto che nel momento che lo noti immediatamente t’interroga.
Massimo – Credo proprio di sì. La cosa bella è che non sono omologate nei materiali e quindi mantengono questa presenza un po’ “sporca” e approssimativa, ma nessuno le ha mai vandalizzate in modo gratuito e irreparabile, dunque credo che ognuno le percepisca come “cosa propria” nel senso urbano del termine.
Gina – Sì, dalla sua apparizione abbiamo raccolto una serie di immagini che sono entrati nella Wonderland.
Alcuni di quei sottopassaggi non ci sono più. Com’è cambiato quindi il significato delle W e come evolverà in futuro secondo voi?
Marco – Il progetto si è evoluto già con la seconda W, raddoppiandosi sono diventate traccia, stratificandosi, percorso. Cosa è avvenuto il giorno della loro istallazione non è più così importante, le insegne sono sempre state autonome, travalicando la loro funzionalità primaria e le quattro W svettano nella città come domande presenti e future rivolte a tutti quelli che le incrociano.
Quest’anno se n’é aggiunta una quinta collocata davanti al Padiglione Esprit Nouveau a firma di Cristian Chironi, che ispirato dalla nostra W ne ha prodotta una dagli stessi colori e dimensioni ma dal disegno alterato, connessa al suo progetto My House is a Le Corbusier.
Massimo – Sì, i sottopassaggi erano un punto di partenza anche per Silvia e il festival. Dalla terza edizione infatti ci fu via Riva Reno, accanto al PalaDozza, dove Wanted riemergeva dal sottosuolo e la W si piantava in una rotonda spartitraffico segnando uno snodo tutto in superficie, inseguendo altre dinamiche.
E com’è cambiata invece Bologna in questi anni per voi che la vedete dall’esterno?
Marco – Bologna è sempre Bologna e fanno ancora buoni i tortellini.
Massimo – È cambiato tutto il panorama italiano e Bologna con esso. Tutto sembra molto più cupo e quella W invece è ancora lì che grida, credo con molta gioia ancora.
Gina – WBologna