B.U.M. (Bologna Underground Movement) è il collettivo bolognese che raccoglie attorno a sè musicisti, producers, djs, vjs e multi-media artists attraverso un lavoro sulle relazioni e la cultura dal basso. #Grave, un nuovo format che va in scena presso OZ, è solo l’ultimo di una serie di eventi partiti nel 2009 e che oggi raggiungono un traguardo importante (e capiremo perché qui di seguito): l’arrivo di un proprio soundsystem autocostruito che sarà presentato l’8 aprile proprio nell’ex Samputensili di via Stalingrado. Grande parte della passione che continua a fare da traino all’impresa proviene da Kado, uno dei motori della macchina, organizzatore con un passato da vj, collezionista di vinili dubstep e grande estimatore della sound system culture.
Un fiume in piena.
Dove e quando sei nato?
Caltagirone, in provincia di Catania, il 12 Aprile del 1988.
Perché “Kado”?
Kado è stata la combinazione tra una spiccata dote nel far cadere le cose, me compreso, nei primissimi anni di università, unita all’esigenza di avere un nick da vj per propormi in giro. È un nome che mi è sempre piaciuto molto, rappresenta un immaginario che sento affine su vari livelli. Se ci pensi indica uno spostarsi verso il basso, e quindi fare le cose partendo dal basso, basso come bass music, o come avere un basso profilo, low-profile, o anche lasciarsi andare giù, nell’underground (culture), sotto, nel sub-strato, sub come subwoofer, e così via…
Come ti sei approcciato alla bass music?
La svolta è arrivata alle superiori. Mi sono trovato tra le mani una compilation di Dj Wildchild, ho scoperto la drum’n’bass e da lì qualcosa è cambiato per sempre. Nel 2006, finita la scuola, sono partito per Londra per vivere la scena di questa musica in prima persona, nella sua terra natìa. E così, mattina dopo mattina, tornavo a casa reduce da seratoni pazzeschi e puntualmente, appena mi mettevo a letto, Iris, la mia coinquilina greca, si svegliava per andare a lavorare e pompava musica inclassificabile a tutto volume. Più le albe passavano più mi convincevo che, nonostante mi impedisse di dormire, quella musica non era fastidiosa, era pazzesca. Alla mia prima mezza domanda, Iris esclamò: “It’s dubstep!” e mi regalò un bel cd masterizzato. Non smetterò mai di ringraziarla. Dopo dieci anni esatti da quella scoperta, in autunno mi sono deciso a ritornare simbolicamente a Londra, per rincontrare Iris e per festeggiare il decimo compleanno della Deep Medi. Lei ha una figlia adesso e la Deep Medi è vicina alla sua centesima release in vinile. È stato un viaggio concettualmente ed emotivamente molto importante per me.
Che ci fai a Bologna?
Dopo la breve vacanza londinese, mi sono trasferito a Bologna, con il mio primo vinile drum’n’bass e il mio primo cd dubstep, pronto a seguire la mia altra grande passione, il cinema e le arti visive.
Mi sono iscritto al Dams Cinema, decidendo di fondere questi miei interessi e nel 2008 ho incominciato a fare il vj. Ero molto affascinato dall’idea di mostrare e legare alla musica frammenti di cinema concettuale e sperimentale in spazi non propriamente cinematografici. Mi ricordo che un giorno conobbi Cocco della D’n’b Arena, avendo letto, proprio su Zero, che suonava un set dubstep durante un aperitivo in centro. Subito gli proposi di organizzare qualcosa insieme e facemmo due serate super cariche in un localino del centro (l’ex Circoloquace). Poco tempo dopo, mi rintracciò Mike (Michele Mandelli), proponendomi di far parte del B.U.M. e io ovviamente accettai!
Da quelle prime serate ho incominciato a lavorare per diverse organizzazioni e club in parallelo all’università, così ho deciso di fermarmi a Bologna e continuare con la specialistica in Cinema, Televisione e Produzione multimediale. Poi dopo 8 anni passati principalmente da vj, in cui ho visto e sentito di tutto e di più, girando un po’ tutti i locali e parties di Bologna e un po’ di festival sia italiani che internazionali (come l’Outlook Festival in Croazia e il Dubstep Warz a Tokyo), dal 2016 ho messo il vjing in stand-by. Ho continuato quindi a dedicarmi solo al lato organizzativo del B.U.M. e ho preso in mano tutti i dischi dubstep che avevo collezionato nel corso degli anni incominciando a farli girare ai warm-up. Ovviamente in parallelo faccio anche altro, lavoro per uno studio cinematografico/televisivo e gestisco un piccolo b&b.
Parlaci del B.U.M.
Il B.U.M. (Bologna Underground Movement) è il collettivo fondato nel 2009 da Michele Mandelli. Si è posto sin da subito l’obiettivo di far emergere una cultura artistica e musicale dal basso, indipendente dai diktat del mercato e dalle mode mainstream del momento. Ai primi “Bumers” si sono aggiunti fino a esserne parte integrante o collaboratori stabili collettivi di djs, artisti multimediali e non, organizzatori di festival ed etichette discografiche, riuscendo così a focalizzare le energie di molteplici e differenti realtà verso un grande progetto: lavorare dal basso sulle relazioni, ospitare personalità della scena artistica nazionale e internazionale, formare una rete attraverso il riconoscimento reciproco di interessi ed obiettivi comuni, giungere alla formazione di un network culturale italiano ed europeo indipendente. Durante i suoi 8 anni di attività il B.U.M. è riuscito a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto all’interno del ventaglio di proposte culturali che Bologna ha da offrire, diventando un punto di riferimento a livello nazionale. Le nostre iniziative come concerti, djset, performances, mostre, installazioni audio e video, presentazioni di libri e tavole rotonde sono state ospitate da praticamente tutti i maggiori centri di aggregazione e scambio culturale cittadini e non solo.
Cosa vuol dire per te “underground”?
Parto dal presupposto che underground è un concetto che può voler dire poco o niente se usato in termini astratti, perché a parlare oggi di controcultura o di “alternative” si rischia di cadere facilmente nel ridicolo. Underground rispetto a chi, a cosa, e poi dove, quando e per quanto tempo, mi viene sempre da pensare. La magia di questo termine si esprime solo nel significato intimo e personale che ognuno attribuisce al proprio scopo, a ciò in cui crede.
Ad esempio, qui e ora, noi come B.U.M. collaboriamo spesso e con piacere con realtà techno o house, che fanno un genere sicuramente più “mainstream” rispetto al nostro, come il TimeShift o il WHP, ma che hanno uno spirito affine al nostro, sia a livello di direzione artistica che di concept, molto underground rispetto ai loro macro-generi di riferimento. Quindi per me underground è la situazione in cui noi come B.U.M. ci troviamo ad operare e le modalità in cui lo facciamo. È, di fatto, scegliere una via difficile e complicata, senza gloria né ricchezze, ma con tanta passione e soddisfazione. È proporre una musica che qui non tira, degli artisti non commerciali o scontati, non credere al prodotto confezionato, agli addobbi, ai soldi facili. È puntare alla sostanza con semplicità, che spesso è sinonimo di qualità, dire di no e non fare compromessi, essere coerenti e resistere alle tentazioni dettate dalle mode, dalle analisi di mercato, dai giochetti.
È trovarsi dentro un grande movimento in cui è possibile sentirsi parte attiva e determinante, fare network, condividere sudori, gioie, dolori e conoscenza, costruire, aiutarsi, andare avanti contro tutte le difficoltà a testa bassa e pugni chiusi facendo semplicemente quello che ami. In poche parole, per me l’underground rappresenta l’essere veri, felici e liberi, ma mai soli.
Qual è la zona di Bologna più underground secondo te e perché?
Inequivocabilmente i 20.000 metri quadrati di Oz. Perché questo posto rappresenta in pieno tutto quello che ho citato prima. Si è riusciti, attraverso l’autorganizzazione dal basso e la cooperazione, a trasformare una fabbrica in un paradiso terrestre per gli sport urbani, la musica, le arti, la produzione multimediale. Ecco, mi sento di dare questo consiglio: se si vuole un assaggio della cultura underground, un giretto da Oz è un ottimo punto di partenza per capirne di più.
Che posti ti piace frequentare in città?
Quando ho voglia di stare in mezzo alla gente passo ovviamente dal Pratello, con tappa fissa al Beer 4 Bunnies per la prima birra, per poi lasciarmi trascinare dagli amici verso i soliti (e bellissimi) bar noti della zona. Per serate più tranquille faccio spesso la combo birra al Lortica, al Modo o da Dynamo e poi film all’Odeon o al Lumiere. Un’atra dinamica che mi piace molto è mangiare alla domenica un bel piatto di lasagne all’Osteria dell’Orsa, visto che andiamo a pranzo solitamente verso le 3 del pomeriggio dopo una delle nostre serate! Infine mi permetto di spezzare una lancia in favore del mio quartiere, San Donato, con tre chicche davvero interessanti. Il Circolo Trigari all’interno di una bocciofila, con un mood assurdo, tra anziani, bolognesi e lavoratori presi bene, dove vado spesso in pausa-pranzo con i miei colleghi del Garaje, e poi la pizzeria Tenerife, davvero buona e Il Mandarino, sulla stessa via, a mio parere il miglior ristorante cinese di Bologna.
Parlaci un po’ del format Grave
Grave è uno dei vari progetti del B.U.M., che ho pianificato la scorsa estate insieme a Mike, durante le rare pause dalla full-immersion di drum’n’bass del Sun and Bass in Sardegna. L’idea è un format che punti alla concretezza, ad un ripartire da zero, con maturità e consapevolezza, nel modo di promuovere la dubstep, la jungle e la drum’n’bass. Colgo l’occasione per suggerire tre tracce al volo (in fondo alla pagina, ndi) di Kahn, Bukem e Alix Perez, una per macrogenere, giusto per dare un’idea di che cosa si sta perdendo chi ne è completamente a digiuno. La sua essenzialità è il suo punto di forza, i validissimi guests che vengono invitati di volta in volta sono ragazzi come noi, producer o djs che fanno parte di altre crew d’Europa e d’Italia. Una console, un degno sound system, una venue della madonna con vista sul park indoor più grande d’Europa e, soprattutto, la giusta energia sono già tutto quello che serve. Non è un caso la scelta della citazione di Goldie che accompagna la descrizione di ogni Grave: “It’s not everyone’s cup of tea. If you don’t want to listen to it, jog on. Don’t care. Go and listen to something else – because there’s something else for young kids, maybe.” Anche a livello grafico il concept è costituito da semplici foto analogiche in bianco e nero di palazzi della periferia bolognese, il nostro campo da gioco, che scatto e sviluppo personalmente. Successivamente, attraverso una scansione digitale, il grafico, Dodò di Primt, inserisce il lettering. Questo processo di armonia tra il passato e il futuro si ritrova anche in console, con la presenza di vinili, cd e chiavette e con una promozione sia online che cartacea. Per non parlare della selezione musicale, che passa dalla dubstep e jungle oldschool fino alle nuovissime produzioni drum’n’bass e le derivate contaminazioni. Tutto questo è ed è stato possibile grazie ai nostri fantastici “local heroes” (seppur tutti di origini, caratteri e gusti diversi) del B.U.M.: Kappasaur, punta di diamante delle produzioni, Lizard con la sua Jungle in vinile, Polluterz, Oxen e Ninjoh, veri cultori della beat music e della drum’n’bass, Reks, specialista della neurofunk, Deeph, eclettico come i suoi sbalzi di umore e MC Brungo, l’aizzatore di folle! Un enorme ringraziamento va anche a tutti i ragazzi della scena italiana ed europea, che hanno risposto alla chiamata alle armi per supportare Grave, El_p della Vibes Ambassadors, Saiman della Impulse Berlin, Inuza della Breakout Sardinia, LDGU della Tresno Records, Lombo della Jungle Moves, FLeck della Serial Killaz, e a tutti quelli che devono ancora passare di qui.
Come mai è stato scelto proprio “Grave” come nome del progetto?
Il nome rappresenta un significativo gioco di parole tra l‘inglese e l’italiano, racchiudendo in sè numerose valenze. Da un lato rimanda alla fossa, al sepolcro e dunque al sottosuolo, all’underground da cui proveniamo, di cui facciamo parte e di cui il progetto vuole esserne il contenitore. Dall’altro lato, c’è la volontà di costruire qualcosa di grave, di incombente, di serio, in circostanze che specularmente in Italia (per varie ragioni) risultano altrettanto complesse, dure e faticose. Per ultimo invece, grave rappresenta un suono, propriamente basso, che è il leitmotiv della nostra musica.
Parlaci del vostro nuovo soundystem autocostruito
L’intenzione nasce innanzitutto da una profonda considerazione verso alcune nobili dinamiche della soundsystem culture. L’autocostruzione e la manutenzione, che si traducono in uno sporcarsi le mani in prima persona, prima e dopo ogni serata, l’esigenza di dover imparare una vera e propria cultura del suono, nel riconoscersi e farsi riconoscere come una crew che ha un sound ragionato ed unico, l’essere ancora più responsabili della qualità della serata.
Il secondo motivo è aver fatto tesoro di una preziosa lezione che la musica dubstep ci ha insegnato. Un genere underground, dark e minimale, nel quale i produttori, liberi di fare ciò che volevano, creavano tracce per essere suonate ed ascoltate esclusivamente su grandi sound system, senza compromessi, affinché l’esperienza della percezione fosse prima di tutto fisica e poi mentale. La terza e più importante ragione è il rispetto. Il rispetto nei confronti della gente che viene a sentirci, cercando di offrirgli un’esperienza sonora completa, e il rispetto nei confronti della musica che proponiamo, assicurandoci che venga suonata con la qualità che merita.
Colgo qui l’occasione per ringraziare Claudio dei Bandolero Movement, che è stata una guida indispensabile alla realizzazione di questo progetto, Lillo e tutto OZ per aver creduto in noi, Miguel e i miei colleghi del Garaje Produzioni per il supporto logistico e la disponibilità, Davide della Audio Definition per la sua abilità da artigiano di altri tempi, Marian per la sua passione e ovviamente Luca e i ragazzi del B.U.M. che si sono impegnati.
Grazie anche ad Alice, owner di Granata, dove ha sede il nostro ufficio e a tutta la gente, nuova o di vecchia data, che ci ha supportato e continua a farlo! United we stand, divided we fail!
Kahn – Abattoir
LTJ Bukem – Atlantis
Forsaken – Alix Perez