Raccontare un incontro con FAM è impresa non semplice: la forte personalità, lo stile vivo e riconoscibile che la fa spiccare nel cortile dell’Accademia di Brera dove insegna, e i suoi racconti mai banali, la rendono un personaggio interessante e complesso. Per questo Zero ha deciso di raccontare questa storica dell’arte, curatrice e scrittrice che ha dedicato la sua intera carriera all’arte non convenzionale – in particolare a quella legata al corpo e alla performance – e agli artisti che nella storia dell’arte hanno lasciato tracce irripetibili.
ZERO: FAM, il pretesto per intervistarti su Zero – con tutte le cose che fai non è semplice starti dietro – riguarda la mostra che inaugura il 21 ottobre in Triennale su Antonio Marras. Parlo di pretesto perché così ti posso chiedere come è nata la collaborazione con Antonio Marras, stilista e artista, all’interno dello spazio, molto bello, NONOSTANTE MARRAS, dove create eventi culturali di ogni tipologia (mostre d’arte contemporanea, presentazione di libri, screening). Da quanti anni collaborate? Come è nato questo legame arte/moda?
FAM: In realtà non è un rapporto arte-moda ma semplicemente una ‘familiarità… Abbiamo insieme, Antonio Marras, Patrizia Marras, Paolo Bazzani ed io, costruito un progetto alla cui base c’è la necessità dell’incontro, un progetto che mira a creare un incontro tra persone, opere, libri, oggetti, voci e movimenti, in una serie di visioni e sensazioni. L’esigenza era quella di cogliere e rappresentare l’esistenza umana nei suoi molteplici piani di esperienza, il suggerimento di una visione del mondo a partire dai rapporti interpersonali. Si è subito riconosciuto nel progetto un orizzonte poetico come progetto comune: l’orizzonte poetico è stato il nostro amico clandestino. E allora un dialogo, una conversazione, una presentazione, una esposizione.
La mostra in Triennale può essere vista come un momento culturale di celebrazione di questo percorso?
No, non proprio… La mostra nasce proprio dalle opere di Marras e dal suo modo di fare, agire, raccogliere, trasformare…. Infatti in mostra si vedranno installazioni, opere e disegni, porte, finestre, libri, banchi da scuola, cornici rovesciate…La mostra è una selezione di opere rappresentative della ricerca artistica di Marras, una sorta di antologica … Amo da sempre i ‘soggetti impuri’, gli ibridi, le contaminazioni, i pezzi diversi cuciti insieme. E Marras è tutto questo. Tutto il suo agire oltrepassa i confini comunemente tracciati tra pensiero e memoria, e sfugge a un’immediata classificazione: Marras ha messo alla base delle sue opere la potenza della relazione e dell’incontro.
Una delle ultime mostre che hai realizzato nello spazio di via Cola di Rienzo ha avuto come protagonista Franko B, uno dei “tuoi” artisti con cui più hai lavorato. Penso alla mostra al PAC, I still love, del 2010 – dove tra l’altro ci siamo conosciute bene e ho avuto l’occasione di collaborare con te – che è stata molto difficile da realizzare, per la tematica del corpo trattata da Franko in maniera a volte provocatoria, soprattutto per un’istituzione pubblica. Perché sei sempre stata attratta da questo tipo di arte? Ci racconti, attraverso una sintesi di nomi di artisti che hai incontrato lungo il tuo percorso, le esperienze più particolari?
Io parlo e scrivo di un’arte che è ribellione, un’arte che turba e disturba, un’arte che è sovvertimento di categorie espressive, rotazione di zone corporee, messaggi planetari, opere come “macchine di rivolta”. Indipendentemente dai materiali usati, dalle poetiche, dai sistemi: oggetti, materie, graffiti, pitture, sculture, video, un’arte che si dispiega fuori dalle costrizioni dell’addestramento culturale, un’arte pellicolare, un contatto che crea rapporti, realtà sentimentali, parallele, altre.
Io parlo e scrivo di un’arte mimetica, globale, dislocata, interdisciplinare, multietnica, performativa, meticcia, imprevedibile. Un’arte che vuole dare coscienza, che prospetta e realizza mondi possibili, utilizza media e strumenti nati per “altro scopo”, artisti che realizzano opere senza riconoscere alcuna validità agli stili, alle correnti, alle discipline, utilizzando colore, luce, suoni, filosofie, rifiuti, tecnologie, elementi chimici, immagini già esistenti, oggetti personali, artisti che realizzano opere come innesti, ibridi, come esistenze di una dimensione strutturata con codici diversi. Un’arte che assomma linguaggi, tensioni politiche, nuove scoperte, viaggi stellari. Prima della mia esperienza con la rivista Virus Mutations le mie frequentazioni e gli artisti che ho frequentato erano Maria Schifano, Gino De Dominicis, Alighiero Boetti, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Mimmo Germanà, Enzo Cucchi, Mimmo Rotella, Cesare Fullone (che ho convinto a sposarmi…), tutti ribelli e ognuno a suo modo insofferente alle regole del sistema. Con Virus, rivista delle mutazioni, i miei orizzonti si sono allargati con artisti come Orlan, Ron Athey, La fura dels Baus, David Bowie, Cronenberg, Almodovar e Linch. Che dire? Io credo che dalle mie mostre e dai miei libri, dai dieci anni della mia direzione di Virus il mio percorso sia piuttosto leggibile.
Che rapporto hai con Milano, la tua città d’adozione, dove lavori e insegni: pensi che sia un luogo giusto dove portare avanti il tuo discorso? Ci sono delle differenze rispetto alla fine degli anni ’80 e oggi?
Per me Milano è una scoperta continua, la scopro ogni giorno e in realtà io credo che è un posto pazzesco….
In bene e in male, penso che qui sarebbero possibili cose straordinarie se solo ci fosse un’economia possibile alle persone più giovani e con pochi soldi… Penso che i luoghi giusti siano quelli dove è possibile fare le cose e dove non ci sia una sola voce e un solo modo ma una molteplicità di possibilità. Non è nel mio stile lamentarmi né pensare che un altro posto e un altro tempo mi avrebbero permesso chissà quali meraviglie. Io penso che questo tempo e questo posto possano tutto.
Una delle figure chiave del tuo percorso umano e lavorativo è stata la mitica Lea Vergine, come è nata questa amicizia?
La nostra amicizia è nata da un ambito della mia ricerca in cui le sue mostre e i sui scritti sono stati per me fondamentali. Lea Vergine è un personaggio unico nel panorama italiano: dalle sue tematiche e dai suoi riferimenti, dall’ideazione e realizzazione di mostre epocali, alla collaborazione con quotidiani e periodici vari, dalle presentazioni nei cataloghi delle mostre, alle interviste apparse su molte pubblicazioni d’arte e no, quello che ha caratterizzato la figura di Lea Vergine, professionale ed esistenziale, è la ‘via’ di una figura che ha attraversato, con consapevolezza, un’epoca storica densa di tensioni culturali e di conflitti sociali. La passione della militante ha caratterizzato il suo percorso. E nel corso degli anni ho avuto modo di vedere anche i lati di una generosità e di un’onestà intellettuale, di un rigore etico e di una profonda umanità che mi hanno ogni volta di più fatto apprezzare e amare questa donna straordinaria.
Parliamo di Brera: per me era eccitante poter seguire il tuo corso. Era qualcosa di nuovo perché raccontavi di artisti borderline, che ancora non venivano capiti – nonostante alcuni avessero iniziato a lavorare negli anni ’70! È ancora così con i tuoi studenti oggi?
Io credo che non possiamo che raccontare che quello in cui crediamo, e con i miei studenti ho sempre cercato di essere onesta e di mostrare, raccontare, spiegare quello in cui credo. Mi piace condividere, anche se ho sempre pensato che si può veramente insegnare solo se si crea una distanza tra chi parla e chi ascolta. Non credo alle facili relazioni amichevoli tra studenti e docenti, mi sono sempre rivolta ai miei studenti con il lei…
Ti faccio le domande un po’ più frivole, dopo questo quarto grado che ti ho fatto. Le domande che piacciono a Zero, che vuole scoprire il tuo rapporto con la città. A Milano che posti frequenti quando non lavori? E quando lavori?
Vado molto al cinema, al Colosseo, al Plinius e all’Anteo, moltissimo, e poi vado alla Scala e al Piccolo e al teatro Elfo Puccini, dove segue tutti gli anni la rassegna Milano Oltre diretta da Rino de Pace e che è una delle manifestazioni più internazionali di Milano. Poi vado ai concerti alcuni dell’Alcatraz e altri al Palasport, ma anche al conservatorio e quando li organizzano nelle chiese, e poi cammino e mi perdo per la città… Continuo a trovare il Plastic un posto pieno di energia e di intelligenza, e poi entro nelle chiese, San Satiro o San Maurizio e comunque quelle che mi capitano camminando… mi piacciono le chiese, perché mi piace la penombra e il profumo d’incenso… Vado spesso da Manica Castiglioni in via Pastrengo. Vado nei parchi, Largo Marinai d’Italia o Palestro, e sono spesso sui mezzi pubblici, il 12 o il 16 dove ascolto storie e litigo e ascolto le musiche degli ambulanti. Vado ai mercati dell’usato e alle fiere dei fiori tipo Orticola. Vado da Marras e vado a Brera… Vado in libreria, quella di Skira e Taschen, Feltrinelli o Utopia o Il Libraccio e a casa di amici….
Ci sono dei luoghi espositivi di Milano – musei, gallerie, spazi indipendenti – e personaggi della cultura che pensi stiano sviluppando dei progetti interessanti per la città?
Non lo so, frequento poco gli ambienti di settore. Ci sono troppe gerarchie e troppo fascino per il potere, ma mi piacciono tutti i posti che nascono e mi piacciono tutte le persone che cercano di aprire posti nuovi e che hanno il coraggio di non seguire modelli già esistenti. Non frequento luoghi, frequento persone e spesso queste persone non hanno luoghi, hanno sogni e desideri. Vedo spesso Pasquale Leccese e Giulia Currà e Annalisa Riva e Marco Paganini e penso che Diego Sileo del Pac sia uno dei più bravi critici e organizzatori di Milano… bevo spesso il caffè con Fabio Novembre, siamo vicini di casa…
Dove vai a bere e a mangiare? Magari hai una zona che frequenti più di altre …
L’Elettrauto Cadore è uno dei posti che frequento di più, mi piacciono i bar, moltissimo, e nei bar scrivo, ascolto musica, parlo… ma solo i bar che hanno o un impianto di aspirazione o un ‘fuori’ perché intanto fumo….