GIGA fa tante cose. Dal nome sembra grande, ma poi i fondatori sono solo tre: Giacomo, Gabriele e Pablo. Soltanto che sono accerchiati e frequentati da decine di collaboratori tra designer, sviluppatori, illustratori e artisti che prima di tutto sono amici con cui divertirsi. L’equazione che li contraddistingue forse è il passaggio dal “mondo del cazzeggio” alla progettazione e produzione grafica, al mondo digital (un sacco di siti) e ad altre tecnologie come la VR, con un’attenzione tutta specifica sull’interazione, sulla tipografia fatta bene ma soprattutto sul gioco.
«Nel nostro piccolo metaverso, sei una lumaca gigante che gioca con le macchinine.»
Cominciamo ovviamente con voi, GIGA. Come studio avete anche a corollario tutta una serie di progetti-label che si occupano di ricerca e sperimentazione. Cominciamo con Raumplan. Cos’è, cos’era, quando e come è nato?
Gabriele: Raumplan è la genesi di tutto. Era la nostra tesi di laurea, che poi abbiamo realizzato con dei nostri amici, un architetto (Nicolò) e un filosofo (Pietro) – e che alla fine è diventato un collettivo che si occupava di curatela ed exhibition design. Facevamo mostre di design e architettura, finché ci siamo divisi e da lì sono nati GIGA e NM3.
Giacomo: Quello è stato il punto di partenza ma anche un po’ la nostra valvola di sfogo mentre lavoravamo nei rispettivi studi. Con Raumplan abbiamo cominciato a capire come mettersi alla prova al di fuori di tutto, da soli. Siamo arrivati a fare progetti anche piuttosto grossi. Per dirtene un paio: la curatela di Cascina Cuccagna (ed eravamo ventiseienni) e una grossa mostra a BASE nel 2018. Era una situazione bellissima perché ci dava modo di sperimentare, d’altra parte era un modello che non aveva sostenibilità economica e inoltre era fatto con amici – nel mio caso specifico amici fraterni – e quindi a un certo punto c’era più la dinamica della festa piuttosto che del lavorare. Questo per dire che non poteva, forse, diventare poi una cosa davvero seria.
Mentre Superinternet?
Gabriele: Anche Superinternet è nato in maniera simile. Serviva a dare un nome alle cose che facevamo io e Pietro – amico e coinquilino da anni. Ci siamo sempre interessati alle cose interattive, a come rendere tutto un gioco, a non prendere mai le cose sul serio. Superinternet è una sperimentazione continua, una ricerca che a volte può sembrare senza binari precisi, ma che forse per questo intercetta delle questioni precise.
Giacomo: Questo modo di lavorare è una cosa che facciamo: quando vediamo qualcuno bravo, un fucking genius, che non ha quella spinta da sé ci viene spontaneo dargli una mano. Sono persone con cui ci si capisce e a cui basterebbe giusto un attimo.
Cosa ci dite invece di Magic Mongo?
Gabriele: Magic Mongo è un po’ la continuazione di Superinternet, la risposta alla domanda del come portare dentro a GIGA quel mondo.
Giacomo: In generale, da sempre, cerchiamo sempre di portare con noi quella giocosità. Raumplan era anche questo, un posto dove nessuno mi avrebbe detto mi piace o non mi piace. In questa prospettiva Magic Mongo è nato come spinoff di uno studio, che avesse tutta quella parte ludica ma che fosse in grado di buttare fuori dei prodotti. I momenti belli alla fine sono quelli in cui giochi.
Quali sono i giochi di Magic Mongo?
Gabriele: C’è The Fugue, un gioco mobile che abbiamo fatto con un altro nostro amico, Leo di @Potpotpottery, dove in sostanza devi scappare dalla polizia. Durante il Lockdown c’era la gente che ci ringraziava, è molto addictive.
Poi c’è Gunking, uno sparatutto che grazie a Riccardo Rudi è diventato Fondazione Spara, un torneo per artisti che abbiamo sponsorizzato (cercate fondazionespara.org, chiamate dei vostri amici e iniziate a sparare).
Un’altra cosa è un esperimento multiplayer in VR – Slug Planet – dove tu sei una lumaca gigante e puoi giocare con le macchinine, mettere della musica e c’è una sorta di puzzle game. Il nostro piccolo primo metaverso. In realtà in questi giorni stiamo facendo una cosa bellissima che è una sorta di drum machine spaziale: ti ritrovi in questo spazio VR con altre persone dove puoi fare della musica, spostando degli elementi nello spazio, per cui ogni elemento è un sequencer – un cerchio concentrico – che in base a dove viene disposto suona differentemente. Abbiamo provato a fare il primo streaming per vedere se alla gente piaceva e funzionava.
Quali sono quindi i progetti più fighi?
Giacomo: Sicuramente Magneti Marelli durante la Formula1 a Monza. Una stanza con proiettori su tutti i lati e una Kinect, in cui simulavamo una guida in uno scenario futuristico. Ma il bello, anche qui, è che era un progetto decisamente fuori portata rispetto a un piccolo studio com’eravamo noi. Quel classico lavoro che prendi e non hai la minima idea di cosa stai andando a fare. Era il primo anno dello studio e il Gran Premio era a settembre. Il primo pensiero fu: vabbè raga, ci siamo giocati agosto. In realtà fu talmente un disagio che quell’agosto fu incredibile.
Gabriele: Un giorno facendo quel progetto – era il primo anno, agosto inoltrato e non avevamo ancora una cucina in studio – abbiamo mangiato solo Ricoperti (6 cremini a testa) del Simply, che tra l’altro fanno schifo perché hanno il cioccolato troppo spesso.
Anche il progetto per Off-White. Era molto semplice, nel senso che fu un lavoro più tecnico, ma molto divertente. Loro facevano le sfilate con “Incompiuto” di Alterazioni Video, con i green screen. Noi facemmo una app che inquadrando il verde con la fotocamera ti mostrava invece il contenuto dei video. Una sorta di realtà aumentata molto grezza. La cosa bella è che testandolo ci siamo accorti che il verde bucava anche il verde delle piante, dello Svelto… Insomma, i più belli sono quei progetti dove non sapevamo fare qualcosa e l’abbiamo imparato.
Parlando del quartiere, cosa ci fate in Centrale e cosa ci dite? Ma soprattutto, cosa c'è da fare alla sera?
Giacomo: L’idea che ti dà questa zona è quella di un posto in cui andare al lavoro e poi tornare a casa. E infatti via Tonale e Lunigiana danno veramente l’idea di essere quasi in tangenziale. Detto questo, posti belli non ne ho mai visti. Il lato di qua di Centrale era solo per andare al Tunnel. O al Leoncavallo.
Gabriele: Io qui ci ho vissuto sette anni e poi mi sono spostato verso il Bar Basso. Al ritorno sembrava il Far West. Mentre noi siamo qua da ottobre, e aspettiamo di vedere come sarà in primavera. Quello sarà sicuramente il momento in cui battezzeremo il nostro baretto sfigato, che durerà per anni. Nel frattempo, già iniziamo ad avere amici che iniziamo a venire di qua perché costa meno, c’è più spazio, aprono studi e spazi.
Poi c’è da dire che Milano ti mette il culo pesante. Ti sposti poco, stai sempre con le stesse persone e finisce trovi tutto intorno a te.
Pablo: Prima eravamo in via Soperga e ci affacciavamo praticamente sulla strada, eravamo pubblici. Lì la gente ci conosceva, ci vedevano lavorare alla sera, mentre qua siamo letteralmente nascosti. L’unico dubbio che avevamo su questo posto era proprio via Tonale: tra i massimi del traffico milanese.
Per chi vi legge e ambisce ad aprire uno studio tutto suo, come sono stati i primi momenti?
Giacomo: Intanto eravamo già tutti belli rodati. Arrivando da studi importanti avevamo tutti una formazione piuttosto rigida. Dall’altro lato essendo amici siamo dei fanatici del cazzeggio. Detto questo all’inizio avevamo tutti i timori del caso, ovvero le voci che ti dicono che per cinque anni non mangerai, non pensare di avere uno stipendio, eccetera. Ma alla fine ci divertivamo, passavamo le giornate intere assieme a progettare. Diciamo poi che il mondo un po’ “a cazzo di cane” ci è sempre appartenuto. Per dire che molto spesso ci siamo trovati a vendere cose che non eravamo minimamente in grado di fare, e così abbiamo imparato.
Gabriele: All’inizio eravamo noi tre e un folto gruppo di amici, tutti che venivano a scroccare il posto. Anche questo è un classico. È il grande problema e la grande fortuna: continuare a portarti dietro questo apporto di strenua amicizia che ti rappresenta in tutto e per tutto.
Pablo: Uno dei presupposti, infatti, è sempre stata la cucina, sapere che puoi metterti a mangiare, a bere un caffè, ad accompagnare gli incontri, insomma l’idea di avere uno studio aperto e una dimensione umana – che è l’ora del cazzeggio.
Ma infatti questo è chiaramente uno spazio per fare delle feste.
Giacomo: Guarda, avremmo voluto farne una per l’inaugurazione dello studio ma poi con il covid non abbiamo potuto, come tanti altri. In effetti poi il nuovo spazio sarebbe perfetto per fare delle feste. Una volta è scattata una festicciola con pochi intimi. Una quarantina. “Pochi”.
Gabriele: Quella sera non abbiamo invitato nessuno, perché di solito finisce che uno invita l’altro e in un attimo arriviamo a 400 persone.