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Il gruppo di SUPER

Il 2 dicembre parte la prima delle 7 giornate di Super

Scritto da Lucia Tozzi il 30 novembre 2017
Aggiornato il 20 marzo 2018

SUPER, il festival lento delle periferie, è un progetto attivo da due anni a Milano, che senza fare troppo rumore ha esplorato a 360° il territorio che circonda il centro della città per mezzo di 23 tour tra ben 160 “realtà”, o soggetti, presenti su tutto il perimetro, da Corvetto a Sesto ad Affori fino a Giambellino.
Con la missione di rimuovere dal panorama mediatico l’eterna associazione periferia-degrado (=disgrazia=sfiga=lamento=violenza), il gruppo di SUPER, che si è lentamente esteso di mese in mese, ha intessuto in questo tempo legami tra reti già esistenti, attivisti, imprese, artigiani, artisti, attori culturali e sociali di vario genere e grado, mettendo in campo un’incredibile potenza di ascolto e documentazione. Il tentativo di connettere le reti è una delle poche strategie sensate per cercare di convogliare nuovamente l’attenzione generale su istanze che oggi sembrano trasparenti, se non ostili.
A conclusione di questo primo lunghissimo giro di tour, SUPER inaugura un periodo di sintesi, scandito in 7 giornate di riunione e riflessione, in cui i soggetti coinvolti sono convocati a discutere insieme intorno a cinque temi individuati con dei facilitatori, per fare emergere idee comuni da sviluppare. La possibilità di organizzare i cinque laboratori è scaturita dalla vincita, nell’autunno 2016, di un bando della European Cultural Foundation per idee progettuali focalizzate sulle comunità in movimento nelle città.
A due anni dalla prima intervista su SUPER a Federica Verona, una delle fondatrici del progetto, abbiamo incontrato di nuovo i membri del gruppo per farci raccontare che cosa succederà in questo inverno di passione:

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ZERO: Come siamo arrivati a questo punto?
SUPER: Siamo stati selezionati per un laboratorio di 4 giorni, IDEA CAMP, a cui partecipavano 40 gruppi o associazioni proveniente dai paesi europei, nordafricani e mediorientali. Per SUPER era presente Elena Dragonetti.

È fondamentale uno sguardo esterno che ci aiuti a comporre le diverse realtà, a lavorare sul processo per trovare dei punti di scambio e dei punti di vista comuni, senza temere le divergenze: non per forza tutti devono essere d’accordo su cosa sono le periferie e cosa si deve fare nelle periferie

Carlo Venegoni: Era gestita da una serie di associazioni che si occupavano di facilitazione, tra cui questa Platoniq che ha fatto partire il primo portale di crowdfunding spagnolo, Goteo. Ci hanno chiesto che cosa volevamo fare noi di Super, per sviluppare un formato che potesse espandere il progetto. Ci suggerivano di coinvolgere un pubblico più esteso, e di stabilire ulteriori legami tra le persone coinvolte.
Era piaciuta molto l’idea che questi tour avessero creato una rete con calma, dando a tutti il tempo di raccontarsi, ma secondo loro mancava il momento in cui si stringeva, condicio sine qua non per costruire progetti con queste realtà.

LUCIA: Anche perché una delle cose sorprendenti di Super è proprio che avete messo insieme soggetti differentissimi, che poi è difficile fare interagire
Nicla Dattomo: infatti abbiamo chiamato dei facilitatori, perché è fondamentale uno sguardo esterno che ci aiuti a comporre le diverse realtà, a lavorare sul processo per trovare dei punti di scambio e dei punti di vista comuni, senza temere le divergenze: non per forza tutti devono essere d’accordo su cosa sono le periferie e cosa si deve fare nelle periferie. La posta in gioco nelle periferie è anche tema di conflittualità.
Federica Verona: Prima di tutto le persone che sono qui – Carlo Venegoni, Isabel Gizzarelli, Chiara Lainati, Nicla Dattomo, Marco Caldera, sono state le più attive nell’organizzazione dei tour, insieme a Diletta Sereni, e hanno costruito il programma de Le 7 giornate di Super. Siamo consapevoli di non possedere una conoscenza dei territori definitiva, anche perché cambiano in continuazione: su 160 realtà magari molte magari non ci sono più o si sono spostate o aggregate, eccetera.
CV: sono passati due anni dall’inizio dei 23 tour, che per un territorio sono tantissimi
ND: c’è una forte natalità di iniziative, cui corrisponde anche in certa misura una mortalità di iniziative: in generale un grande dinamismo. Due anni in questo momento a Milano sono densi.
FV: Pisapia ha cambiato molto le cose in cinque anni, e ora se ne vedono i frutti. Ma non esiste nessuno che le metta a sistema. Con questo non voglio dire che Super sia in grado di costruire il sistema complessivo, ma tenta di farle dialogare e imbastire un vocabolario.
ND: L’esito finale di questo processo è un’incognita, è aperto

LT: il finale-finale ok, ma come si concluderanno queste sette giornate? Con un documento, manifesto, vocabolario, pamphlet?
FV Un po’ tutte queste cose. Da questi 5 laboratori dovrebbero uscire delle idee che serviranno in primis ai soggetti coinvolti per interagire dentro e fuori questo progetto, e poi per parlare alla città e fare riconoscere il lavoro capillare di volontariato civico che ognuno di loro fa sul territorio. Se loro non esistessero forse lo scenario sarebbe da Far West.

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LT Come funziona?
CV Partiamo dalla struttura: il 2 dicembre ci sarà la prima giornata di laboratorio a porte chiuse alla Casa della Carità di Crescenzago (seguita da una presentazione serale al pubblico, al Circolo Familiare Cerizza) in cui chiediamo alle realtà di scegliere uno o massimo due temi, e poi da gennaio fino ad aprile cinque giornate – ognuna dedicata a un tema.
ND ci auguriamo che questi soggetti diversi per tipo di attività, territori di riferimento e spesso anche per culture, linguaggi, portato ideologico o convinzioni politiche sul da farsi percepiscano il confronto tra loro come una potenzialità. Per noi la diversità è sempre stata una ricchezza naturalmente.
Chiara Lainati Questa nostra proposta va a toccare dei nervi molto fragili, per esempio al Giambellino c’è stata un grande processo di ascolto, confronto, sono stati sentiti tutti ma alla fine gli abitanti sono preoccupati per il piano delle periferie. Come fare qualcosa di diverso? In qualche modo bisogna sopperire alla mancanza dei corpi intermedi e affrontare la difficoltà di fare convivere grandi e piccoli, vecchi e nuovi.
FV diventiamo un mezzo. Abbiamo vissuto noi stessi alcune difficoltà che molte di queste realtà vivono: mentre a livello macro, di chi prende le decisioni, ci si dimentica spesso di quelli che attivano i processi. È un’occasione per mettere in discussione il nostro bagaglio di conoscenza e per chiamare questi soggetti a raccontare in prima persona e collettivamente cosa fanno e a che scopo. Vincere la diffidenza è complesso, perché esiste un’enorme quantità di tavoli, riunioni, post-it scaturiti in un nulla di fatto, ma l’accoglienza che abbiamo ricevuto in questi due anni ci fa ben sperare.

LT Be’ in effetti la richiesta di ascolto è fortissima, da parte di tutti, tanto che moltissimi politici basano le loro campagne elettorali sulla promessa di ascoltare, più che di rispondere alle richieste. Alle volte sembra che l’ascolto quasi esaurisca il ciclo dell’azione dei governi, e, cosa ancora più strana, che appaghi in qualche maniera le brame dei governati. E soprattutto chi vuole essere ascoltato non è poi disposto ad ascoltare gli altri. È così?
ND si infatti noi abbiamo posto questa fase del progetto come un ascolto orizzontale: la cittadinanza attiva che non si rivolge all’istituzione, ma in primo luogo a se stessa. È fondamentale ridiscutere le cose al livello di base, tra tutti i soggetti, per potere formulare una serie di richieste e strategie più autorevoli

Esistono sempre di più biblioteche che offrono altri servizi, non solo consultazione di libri. Oppure pasticcerie che producono laboratori o offrono spazi di lettura per bambini, ludoteche, servizi per il quartiere, oppure associazioni sportive che svolgono un lavoro sempre più sociale, rivolto alla città, come i Parkour.

LT Una curiosità: avete individuato questi temi, ma non volete invitare voi dei soggetti rispetto a degli specifici temi? Volete che scelgano loro?
FV si, siamo addirittura disposti a sopprimerne qualcuno, se andasse deserto

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LT Veniamo ai temi: il primo è La vita tra le case. Vicinati, spazi di socialità, comunità
CL Non abbiamo voluto stare sullo specifico, abbiamo scelto volontariamente dei temi larghi, che non incanalassero troppo le istanze eterogenee di tutti. Si tratta in questo caso di parlare di spazio pubblico e privato, delle relazioni che corrono tra i due, della qualità urbana. Siamo curiosi di capire dove quel tavolo si concentrerà, se ad esempio emergerà più la questione abitativa o quella dello spazio pubblico. I facilitatori sono Jacopo Lareno e Ambra Lombardi, già attivi nel campo della rigenerazione urbana a Milano, persone che hanno sperimentato molti mezzi diversi per produrre coesione tra attori diversi.

LT Ma anche il secondo tema ha a che fare con spazio pubblico/spazio privato, no?
ND Si ma in maniera diversa, sul tema degli statuti. Uno dei temi che era emerso era quello degli usi, che gli usi si ibridano continuamente, creando delle situazioni non di illegalità , ma diciamo di irregolarità. Da cui il titolo Risignificare. Pratiche irregolari e usi sperimentali. Qui i facilitatori sono Lorenza Salati e Giulio Focardi, due ricercatori usciti dall’esperienza del MAGE a Sesto San Giovanni, poi hanno creato una multifactory – invece del tradizionale coworking -, sul riuso e altre forme di progetto.
ND: vorrei aggiungere qualcosa sugli spazi ibridi: esistono sempre di più biblioteche che offrono altri servizi, non solo consultazione di libri. Oppure pasticcerie che producono laboratori o offrono spazi di lettura per bambini, ludoteche, servizi per il quartiere, oppure associazioni sportive che svolgono un lavoro sempre più sociale, rivolto alla città, come i Parkour. Rispetto al tema proposto, sulla trasformazione inerziale, ci chiediamo se è giusto che le regole vengano allentate, flessibilizzate, o no. Se debbano assecondare o no questi processi.

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LT Il terzo è Essere piccoli essere grandi, con Barbara di Tommaso come facilitatrice.
FV all’inizio ci eravamo impegnati a cercare le realtà meno strutturate, meno grandi, anche se abbiamo intercettato molte persone che facevano parte anche di grandi entità. Abbiamo approfondito l’importanza delle differenze di scala, della grandezza del campo d’azione e della ricaduta sociale di un’attività. A certi livelli quello che fai può imprimere un cambiamento serio a un intero quartiere o addirittura a più quartieri, mentre se sei piccolo agisci su contesti molto specifici, e non è sempre semplice. Partecipare ai bandi richiede ad esempio la capacità di affrontare una quantità di regole e scartoffie, o di garantire certi livelli di sostenibilità che organismi molto piccoli non possono assolutamente permettersi.

LT Era proprio una delle domande che volevo farvi, quanto questo obbligo di passare dai bandi risultasse escludente nei confronti di quei soggetti non abbastanza ricchi o ampi da includere avvocati o esperti ricercatori in grado di vincere le gare.
FV Questo è precisamente il tema del quinto incontro, quello sul capitale sociale (Per un’idea di capitale sociale. Come districarsi tra risorse e ricadute), con Rosanna Prevete come facilitatrice. È un discorso cruciale, molti ci raccontano delle difficoltà enormi che hanno dovuto superare in termini di mutui, acquisizioni di competenze, contratti capestro. Poi nel caso di una pasticceria-ludoteca si sommano le normali burocrazie di una startup, di un’impresa, a quelle di una partecipazione al bando pubblico, ma almeno lo scopo è un business, può e deve fruttare. Nel caso di un’associazione di genitori, il cui scopo è solo magari quello di rendere migliore la vita dei bimbi, queste difficoltà pesano molto di più sull’organizzazione.
CV In ogni caso è una domanda che ha un senso anche proprio per noi di SUPER. Perché proprio avere vinto questo bando della European Cultural Foundation ci ha dato un credito che può facilitare la partecipazione ad altri bandi che per noi sarebbe stato difficile affrontare.
ND Poi noi vorremmo che non si parlasse solo di denaro: oltre la sostenibilità c’è il piacere, il metodo, le conoscenze che si accumulano, tutte cose non misurabili. Molti di questi ricevono soldi pubblici: come si misura l’utilità di quella spesa? L’efficacia non è misurabile, o almeno non facilmente.

LT A quali bandi avete partecipato?
FV: Un bando territoriale di Cariplo, da cui abbiamo ottenuto un finanziamento di 50000 euro. Il bando delle periferie invece non l’abbiamo passato perché mancava una firma.
CV I 10000 euro della European Cultural Foundation sono destinati, come dicevamo, a finanziare le sette giornate, questa fase di sintesi che chiude la prima lunga tornata di tour nelle periferie. Poi a primavera riprenderanno i tour, e la programmazione della festa di Super che avverrà nell’autunno 2018. Nel frattempo sono partiti i progetti.

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LT Tra le realtà e i soggetti che avete incrociato, coinvolto in SUPER, ce ne sono alcune che magari sono concorrenti sugli stessi bandi a cui partecipate voi?
FV ah beh, su Cariplo ad esempio tutti, almeno un centinaio su 160.
CV Comunque noi speriamo che questi incontri servano anche a mettere in comune le conoscenze sui bandi, ad esempio su quelli europei, che qua sono poco conosciuti e si pensa che siano destinati solo a progetti enormi. Invece esiste una rete di bandi rivolti a iniziative più piccole, mirate, e spesso sono più accessibili di quelli italiani perché meno burocratici, meno focalizzati sulla sostenibilità, sulla dimostrazione della tenuta economica.

LT scusate, torniamo un attimo indietro: non abbiamo parlato del quarto incontro, quello sul racconto. Chi è il facilitatore?
FV: Jacopo Tondelli, che si è offerto volontario.

Secondo voi verranno anche quei soggetti che non sono propriamente attori sociali per il territorio, o per un quartiere? Mi riferisco agli imprenditori, o agli studi privati, magari di artisti che avete incluso in molti tour, ma che essenzialmente si trovano in un punto periferico, hanno scelto un luogo ma senza una vocazione sociale.
CL secondo me si rendono conto che comunque il loro essere lì cambia comunque le cose in quel posto, che ci sono effetti tangibili. Alcuni sono felici di essere stati coinvolti da noi proprio perché siamo uno strumento per entrare in rete con altre realtà.

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LT Una domanda fondamentale: vi siete resi conto a tour finiti che ci sono dei pezzi di città che sono rimasti esclusi dalle vostre esplorazioni?
FV Si, certo: Adriano e Ponte Lambro.

LT: e a Santa Giulia per esempio siete andati?
FV: si, certo, quello è un caso interessante, però, perché lo scenario in questi anni è cambiato moltissimo, il panorama delle associazioni è molto diverso ora, e ci piacerebbe molto tornare.

LT Ecco, per i nuovi tour primaverili da dove vi piacerebbe partire? Quelli in cui avete percepito un maggiore cambiamento?
CV non necessariamente, forse ricominceremmo nello stesso ordine della prima volta, anche perché ogni volta che organizzavamo prendevamo contatto per un’area una ventina di soggetti, ma riuscivamo a combinare realmente solo con sei o sette di loro, e quindi molti sono rimasti fuori.

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LT Cosa pensate di fare di tutte queste informazioni che avete accumulato? Le renderete accessibili a tutti?
FV Abbiamo un sito su cui abbiamo riversato i materiali registrati, i report, ancora in maniera incompleta, ma stiamo cercando le risorse per renderlo facilmente consultabile. Uno dei nostri obbiettivi è di costruire una piattaforma dove chiunque possa trovare i dati e le esperienze che abbiamo fatto. Il lavoro di Mirko Spino e Matteo Perego sul sito sta andando in questa direzione

LT E riguardo ai progetti, sono già partiti?
CV Alcuni si. Quello che ho costruito insieme a Francesca Marconi e Elena Dragonetti, per esempio, sui gruppi che usano lo spazio pubblico come palestra per danza. A dicembre parte un laboratorio con uno dei gruppi che abbiamo incontrato, i Sambos de Corazon, all’interno del liceo artistico Caravaggio, che prevede una parte di coreografia e una parte di coprogettazione dei costumi che coinvolge anche Serpica Naro e Connecting Cultures.
ND Stiamo poi cercando di realizzare insieme al Giardino degli aromi un piccolo progetto, che nasce dalla interazione di due progetti di Super: uno a cura mia (Preferisco qui, sulla nuova imprenditoria artigiana in periferia, che spesso assume la forma comunitaria e aggrega molte competenze, e POPUPPUBLIC di Gianmaria Sforza, sulla creazione di dispositivi utili a incoraggiare pratiche innovative di uso dello spazio pubblico. Si tratta di un progetto per una cucina mobile da usare all’aperto e l’avevamo proposto per partecipare a un bando che poi non abbiamo vinto, quindi stiamo cercando nuovi finanziamenti.
FV anche quello di Filippo Romano sulla fotografia è partito. Inizierà in occasione della mostra 999 domande sull’abitare che inaugurerà in Triennale in gennaio. Lì Filippo farà dei workshop a “non fotografi” chiedendo loro di ritrarre il loro modo di abitare la periferia. E poi Il circolo semi, che attiva uno scambio di semi tra i coltivatori di orti, il mio sulla 90-91, e quello di Michele Aquila sulle biciclette.

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