Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo: la città non sarebbe di certo la stessa. Compositore, fondatore di Sentieri Selvaggi (con Filippo Del Corno e Angelo Miotto), grande divulgatore della musica contemporanea, scrittore per grandi e bambini, generosa e implacabile presenza sui social, Carlo Boccadoro è sempre pronto a raccontare se stesso e fustigare chi si comporta male. Somiglia molto alla sua musica: ricchezza, colore, curiosità. Parla rapidamente e dice un sacco di cose. In un’ora esaurisco un bloc notes e alla fine non mi resta che scrivere sugli ultimi angoli bianchi del tovagliolo. Soprattutto, non mi posso distrarre un attimo: abbiamo a disposizione solo una pausa pranzo e della stagione di Sentieri ci sono un sacco di cose da raccontare. Uso la forchetta con la sinistra e rinuncio persino al bicchiere di vino rosso.
ZERO: Carlo, sei mai stato bambino?
CARLO BOCCADORO: Certamente sì. Anche se non mi ricordo proprio nulla. Questo deve significare che ho avuto un’infanzia felicissima. Niente problemi, nessuno scossone particolare, proprio nulla. Fino al giorno in cui ho deciso che sarei diventato un musicista.
Com’è accaduto?
Un giorno ho preso una botta in testa. Il tipico bernoccolo del musicista. Al Palaghiaccio di Milano, avevo otto anni. Quando ho aperto gli occhi e ho visto mia madre, le ho detto: «Mi piacerebbe andare al Conservatorio e imparare a suonare la batteria». Così è accaduto, più o meno.
Quando sei entrato poi in Conservatorio?
Beh, ho dovuto aspettare di avere tredici anni. Ho studiato percussioni e pianoforte. Mi sono diplomato in entrambi. Però non sapevo ancora che sarei diventato un compositore, l’ho scoperto molti anni dopo e ho potuto esordire ufficialmente grazie alla generosità di Carlo Majer, direttore dei Pomeriggi Musicali negli anni Novanta, che mi commissionò il primo pezzo eseguito in concerto. Fin da bambino ascoltavo molte cose diverse. Il mio primo disco fu il White Album dei Beatles del 1968, di cui conservo ancora la copia originale. Adesso è un oggetto da collezione. Ho ancora rarità tipo l’album Let It be del 1970 in cofanetto con il libro fotografico interno. Ascoltavo molto anche il primo disco da solista di Paul McCartney e tantissimi dischi rock e pop. Solo dopo qualche centinaio di dischi, un giorno ascoltai la Nona Beethoven diretta da Herbert von Karajan. Però non ho mai smesso ascoltare di tutto. Ho una curiosità molto ampia e non ho mai avuto problemi di classifiche.
Chi è il tuo eroe del mondo del pop?
Certamente i Beatles, anche se ho sempre amato moltissimo anche i Rolling Stones, Captain Beefheart e Frank Zappa, di cui sono un vero e proprio fanatico. Un brano di Zappa che mi piace da morire è Black Napkins:
Sei un grande appassionato di jazz e di musica black, chi sono i tuoi musicisti preferiti?
Difficile rispondere, sono tantissimi! Forse il mio preferito è il Miles Davis elettrico, quello da Filles de Kilimanjaro in avanti. Poi ho una vera ammirazione per il periodo Motown e soprattutto per la Atlantic degli anni Sessanta e Settanta. Adoro Stevie Wonder, Johnny “Guitar” Watson, Ray Charles, Aretha Franklin e soprattutto James Brown, in particolare l’album Live at The Apollo Vol. 1.
In questa stagione di Sentieri Selvaggi c’è tanta America e c’è il ritorno di Louis Andriessen, un compositore che ha segnato la vostra storia.
Il legame con Louis Andriessen non è casuale: il primo concerto di Sentieri nel 1996 aveva proprio le sue musiche e quelle di David Lang. D’altra parte Sentieri Selvaggi nacque anche per un suo suggerimento: «Non trovate spazio nelle istituzioni per la musica che v’interessa? Mettete su una band», ci disse. Filippo Del Corno, Angelo Miotto e io seguimmo ben presto il suo consiglio. Ce lo avevano già suggerito altri amici compositori che avevano fatto la stessa cosa molti anni prima: Michael Nyman e Philip Glass. In qualche modo anche Andriessen aveva fatto lo stesso negli anni Settanta stimolando con Willem Breuker la fondazione di Orkest de Volharding (che in olandese significa “Perseveranza”) un Gruppo di musica contemporanea in cui militavano anche improvvisatori come e Misha Mengelberg e Han Bennink. Sono stati loro a segnare la strada.
Mi piace chiamarla militanza.
Certamente: Andriessen ci ha indicato la via giusta e noi avevamo capito che per diffondere la musica contemporanea in Italia era necessario avere un rapporto diretto col pubblico. Sentieri Selvaggi nacque per questo, con un ensemble stabile di sei musicisti e per questo nacque il nostro primo concerto, nell’ormai tristemente scomparso Teatro di Porta Romana. Con Sentieri abbiamo portato la musica contemporanea ovunque: nei cortili, nelle piazze, nelle case, nei centri commerciali… Ricordo un’intera giornata dedicata a John Cage in corso Vittorio Emanuele. Proponiamo la musica contemporanea a un pubblico che generalmente non ha modo di ascoltarla per far capire che non c’è nulla di difficile, anzi è bellissima. Comunque hai perfettamente ragione: mi sono sempre considerato un musicista militante. D’altra parte le mie origini sono negli anni Settanta, stravedo per gli Area (che considero i più grandi di tutti) e amo moltissimo Eugenio Finardi, Genesis, Jethro Tull, Claudio Lolli, la PFM. Sono un vecchio hippy dedito alla musica contemporanea.
Quali sono i punti di eccellenza di questa stagione?
Avremo una stagione di sei appuntamenti. S’intitola Primi Piani: sono ritratti di alcuni dei maggiori compositori del nostro tempo, con una certa attenzione all’Italia, Luca Francesconi, Fabio Vacchi, Niccolò Castiglioni) e alla nostra storia (Andriessen, Lang) oltre al consueto sguardo sull’America, in questo caso sulla generazione dei musicisti attorno ai quarant’anni.
Francesconi e Vacchi attraversano una fase matura del loro lavoro.
Luca Francesconi non è nuovo al mio interesse ma ultimamente mi entusiasma la ricchezza delle sue composizioni, e la sintesi che riesce a realizzare tra linguaggi diversissimi tra loro. Registreremo un cd della serata e ci sarà anche un brano in prima assoluta, Insieme II, composto per noi. Il concerto si aprirà una composizione di 33 anni fa, Viaggiatore Insonne, ma ci sono anche composizioni più recenti legate al folk e al jazz con brani che richiedono un estremo virtuosismo da parte degli esecutori. Con Fabio Vacchi c’è stima e amicizia da molti anni: abbiamo eseguito diversi sui brani lungo gli anni, in particolare mi ricordo la prima esecuzione al Festival MITO del melologo D’Improvviso nel folto del bosco, su testo di Amos Oz. Il ciclo di brani cameristici Luoghi Immaginari, che presenteremo in concerto, per me è un capolavoro assoluto, tra le cose migliori della musica europea degli ultimi cinquant’anni. Saranno eseguiti anche pezzi meno conosciuti, alcuni sono inediti per Milano.
Poi c’è un omaggio a Niccolò Castiglioni.
Castiglioni è stato un grande genio del dopoguerra, purtroppo non abbastanza eseguito. Siamo andati alla ricerca di pagine da camera poco conosciute, alcune davvero stranissime; c’è persino un duo voce e contrabbasso scritto per Joëlle Léandre che sarà cantato da Giulia Peri, una cantante molto versatile che può passare dalla musica medievale a quella contemporanea
Infine Louis Andriessen a David Lang.
Louis Andriessen è un grande Maestro e amico da molti anni. Peccato che la sera del nostro concerto debba essere al Lincoln Center di New York per la prima esecuzione dell’opera De Materie con la regia di Heiner Goebbels. Di Andriessen eseguiremo Miserere per quartetto d’archi e poi Disco, pezzo per violino e pianoforte del 1982 in cui i musicisti ripetono delle frasi fino alla disgregazione completa del materiale iniziale e Hout (legno) per chitarra elettrica, marimba, sax tenore e pianoforte.
David Lang potrebbe vincere l’Oscar.
Di Lang siamo sostenitori di lunga data. Spero per lui che vinca agli Academy Awards per il brano nel film di Paolo Sorrentino. Se invece vincesse Morricone, chissà forse potremmo averlo da noi in sala. Eseguiremo finalmente Death Speaks, fascinosa serie di pezzi scritti per essere cantati da musicisti indie rock, nella prima registrazione cantati da Shara Warden meglio conosciuta come My Brightest Diamond. Poi ci sarà Cut, un pezzo pianistico che David scrisse per me in occasione di un concerto che feci alla Biennale di Venezia, in cui sostanzialmente non succede niente: è scritto per far esasperare il pubblico dei festival! In questo concerto, come anche nei precedenti, Angelo Miotto farà degli interventi durante gli intervalli e intervisterà i musicisti Sentieri Selvaggi, ancora per avvicinare il pubblico al nostro modo di intendere la musica.
Infine la serata American Cose-Up, che io attendo con particolare trepidazione.
Sono compositori della generazione attorno ai quarant’anni. L’America musicale ci interessa da sempre. Quando nel 1998 facemmo il programma “Gli amici Americani” eravamo in piena Guerra del Golfo, e serpeggiava molto antiamericanismo, ma noi volevamo raccontare l’altra America, quella che invece ci entusiasmava: Steve Reich, Philip Glass ma anche Julia Wolfe, Michael Gordon, Michael Daugherty e Aaron Jay Kernis. Successivamente, ci fu offerta la possibilità di suonare al festival di Bang On a Can a New York e lì scoprimmo autori ancora diversi, come Anna Clyne e Sean Sheperd, che in seguito abbiamo proposto per primi in Italia nella nostra stagione. Oggi rilanciamo con una nuova generazione di creativi, da Nico Muhly che è il più noto, al bravissimo Armando Bayolo a David T. Little, il compositore dell’opera Dog Days, sulla classe operaia americana. Little è un compositore molto politicizzato, brillante, aggressivo. Presentiamo un suo concerto per tamburo solo, naturalmente antimilitarista e radicale.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Tra quelli più imminenti la direzione di due concerti commissionati dalla Fondazione Spinola-Banna per l’Arte: due opere brevi di Orazio Sciortino e di Francesco Fournier, con il coordinamento registico di Daniele Abbado. Un progetto curato da Ricciarda Belgiojoso. Speriamo che le risorse consentano di portare questo programma a Milano. Realizzeremo poi un cd di musica italiana e sono molto felice di quel che accadrà ad Aperitivo in Concerto, forse una collaborazione con Steve Lehman, come già accaduto con Tim Berne. Sono molto grato alla generosità di Gianni Gualberto per questi progetti e per la fiducia che ha da sempre nel nostro progetto artistico. Tra l’altro devo dirti che collaborare con Gianni mi diverte moltissimo: è una di quelle persone che di musica (e non solo) sa davvero tutto.
Mi racconti un progetto che credi sarà davvero impossibile?
Mi piacerebbe fare un grande progetto su Frank Zappa, ma è un repertorio veramente costoso, richiede un sacco di musicisti e un budget speciale: chissà se ne avremo prima o poi la possibilità. Mai dire mai.
Avrai un compositore preferito?
Certo: Igor Stravinskij. Tutto quello che ha scritto: per me resta il vero grande punto di riferimento nella storia della musica classica.
Negli ultimi anni della vita hai avuto un rapporto piuttosto saldo con Luciano Berio.
Aveva sentito una mia composizione e mi telefonò. Non era l’uomo dittatoriale e arrogante che molti mi hanno descritto. Era simpatico, molto aperto. Lo frequentai negli ultimi cinque anni della sua vita. Andammo ad ascoltare diversi concerti insieme e parlammo a lungo di Arvo Pärt e Philip Glass. Andammo ad ascoltare Steve Reich a Torino. Luciano Berio è stato uno dei geni della storia della Musica. Era un uomo perennemente curioso di tutto, stava cambiando idea su molte cose. Purtroppo ci ha lasciati troppo presto. Mi commissionò La Nave a Tre Piani, un’opera per bambini.
Chi sono i migliori compositori del nostro tempo?
Ce ne sono tantissimi, non si può dire quale sia “il migliore”; me ne sono reso conto prima del 1999, quando per Einaudi ho pubblicato Musica Coelestis. Per realizzare le interviste a quelli che secondo me erano compositori bravi ma non abbastanza conosciuti in Italia cominciai a girare l’Europa e gli Stati Uniti. Fu bellissimo andare a casa di Laurie Anderson, Michael Nyman, Steve Reich, John Adams, David Lang, Louis Andriessen, Giya Kancheli, Aaron Jay Kernis, Philip Glass, Gavin Bryars, James Mac Millan. Imparai molte cose. Il libro, insieme al cd con le musiche, andò benissimo. Recentemente Il Saggiatore l’ha ripubblicato.
I giovani compositori più interessanti del momento, in Italia?
Non mi piace distinguere tra giovani e meno giovani. Giudico le partiture, non l’età di chi le scrive. Tra quelli che mi piacciono direi certamente Mauro Montalbetti, di cui ho diretto la bellissima Il Sogno di Una Cosa l’anno scorso a Brescia. Poi ci sono moltissimi altri nomi, non riesco a dirli tutti: Orazio Sciortino, Giorgio Colombo Taccani, Carlo Galante, Virginia Guastella, Francesco Antonioni, Maurilio Cacciatore, Lorenzo Ferrero, Filippo Perocco, Roberta Vacca, Ivan Fedele, Bruno Cerchio, Matteo Manzitti… L’elenco potrebbe andare avanti molto a lungo!
Hai molte attività collaterali, in primis la scrittura e spesso proprio dalla scrittura nascono nuovi progetti musicali.
Sono un compositore che ama anche scrivere libri. Un’attività che resta comunque a latere della scrittura musicale. Jazz! ha avuto molto successo e anche La Grande Battaglia Musicale, il mio primo libro di fiabe per bambini sta andando bene. Ho fatto tante altre cose per bambini: due spettacoli della Pimpa con Altan e Giorgio Gallione, per i quali ho scritto canzoni molto orecchiabili; poi ho musicato L’Eroe dei Due Mondi, un racconto di Enzo Fileno Carabba: non c’entra nulla con Garibaldi ma parla di un gambero che vive, appunto, nel mondo marino e in quello terrestre.
Il tuo scrittore preferito?
Senza dubbio Dante Alighieri.
Un eroe della storia del cinema?
Federico Fellini e tutti i suoi film.
Cosa ti fa godere di più?
Scrivere musica certamente non mi dà un gran piacere nell’immediato: è un’attività faticosa, un lavoro davvero ingrato. Gli amici compositori lo sanno bene. Certo, quando poi ascolti un tuo brano, il risultato è bellissimo, una sensazione unica. Eppure non credo che esista al mondo un compositore che si diverte mentre sta scrivendo.
Chi sono i compositori più sottovalutati del nostro tempo?
Guardando al passato, Goffredo Petrassi è davvero sottovalutato. Grande compositore ma poco eseguito in Italia. Dovrebbe essere di repertorio, come d’altra parte Niccolò Castiglioni.
Quelli sopravvalutati, invece?
Ti devo dire che non ho una grande passione per György Kurtág. Tuttavia so benissimo che se non mi piace è solo colpa mia, dovrei studiarlo e approfondirlo meglio prima di dare un giudizio, non basarmi solo sugli ascolti che ho avuto. Un giorno, chissà, magari cambierò idea e ascolterò Kurtág tutto il giorno: vorrà dire che mi sarò liberato da un blocco, dunque per me sarà una bella notizia.
Ti consideri un outsider o un compositore dell’establishment musicale italiano?
Difficile dire di essere un outsider quando sei stato eseguito dalla Filarmonica della Scala o dal Maggio Musicale Fiorentino. Se lo dicessi, sarei ridicolo. Eppure cerco di conservare sempre un certo spirito di anarchia. Cerco di guardare le cose dal di fuori dell’ufficialità musicale. So di non far parte di un certo giro della Milano d’avanguardia e questo, in qualche modo, mi rende contento.
Cosa ti fa arrabbiare per davvero?
La disonestà intellettuale (e la disonestà in generale).
Su Facebook sei cattivissimo: spesso scrivi con un certo godimento di aver bannato questo o quell’altro…
È vero proprio il contrario: Facebook è un gioco divertente che molte persone usano solo per far polemica: in genere sono soggetti che si prendono troppo sul serio. Il confronto può e deve essere divertente e per me stare sui social significa vivere e scrivere con una certa dose di gioia e leggerezza.
Che cosa significa essere laici?
Nel mio caso significa essere ateo e dunque non farmi problemi di religione. Credo che praticare la religione sia un po’ come andare a farsi fare le carte dalla maga eppure ho il massimo rispetto per le persone che trovano nella preghiera una forma di felicità. Quindi non sono ostile alla religione: semplicemente a me non interessa e non ne parlo mai come non parlo mai della matematica o di altre cose di cui non mi occupo.
Quando ti leggo, quando t’incontro, mi pare di incontrare una persona che rappresenta moltissimo Milano. Quanto ti senti milanese?
In realtà sono nato a Macerata e ho detestato Milano per moltissimi anni! Ora devo dire che le cose sono cambiate, anche grazie a Filippo Del Corno che ha fatto un ottimo lavoro (lo dico indipendentemente dalla vecchia amicizia che ci lega); devo dire che il suo assessorato ha lasciato il segno, portando un’attenzione alla cultura che oggi non c’è in nessun altro posto di Italia. Oggi a Milano, tutti i giorni, ci sono tantissime cose. Certo, in generale di Milano non mi piacciono i suoi abitanti e la frenesia della città. Se non ci fossero tutti questi stimoli culturali probabilmente andrei a vivere a Roma, una città che per indole, lentezza e ironia mi piace molto di più.
Quali sono gli angoli di Milano che ti piacciono di più?
Sono cresciuto in Città Studi ed è la zona che continua a piacermi di più. Le vie attorno a via Corsica ad esempio. Mi piacciono i posti normali, non quelli chic. Certo, Sant’Ambrogio è bellissima. Però Milano ha molti luoghi meravigliosi che spesso sono troppo chiusi. Penso ai tanti giardini privati, non accessibili alle persone.
Che cosa pensi del Teatro alla Scala?
La Scala è un’istituzione meravigliosa, un posto splendido che grazie alla generosità di diversi amici riesco a frequentare regolarmente visto che spesso mi regalano dei biglietti. Con la Scala esercito al massimo livello la mia capacità di scroccare, devo dire che sono molto pazienti con le mie richieste.
Se tu avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti di questa città?
Non sono un esperto di politica economica, ma certo se avessi una bacchetta magica cercherei di fare in modo che tanti immobili sfitti di proprietà del Comune siano date a persone che oggi non hanno una casa e dormono per strada. Di certo poi investirei ancora più risorse in cultura ma so bene che tutto ciò è irrilevante per chi ha problemi primari di sopravvivenza, sanitari, sociali.
Cosa significa essere di sinistra?
Essere di sinistra significa credere a qualcosa che non c’è più e far parte di un gruppo sostanzialmente estinto, purtroppo. Nel quotidiano, essere di sinistra significa mettere sempre al centro la parola solidarietà.
Quale contributo vuoi dare alla comunità in cui vivi?
Nel mio piccolo, mi accontento di portare la musica anche in posti periferici, raccontarla, diffondere la cultura della musica contemporanea. Eppure, sono perfettamente consapevole che ciò è irrilevante per chi soffre, non ha una casa e ha altre necessità più importanti rispetto ad ascoltare un quartetto per archi.
Quali sono i tuoi ristoranti preferiti?
Devo confessarti che ho una vita sociale minima. Tra le altre cose, come sai sono vegetariano e non mi è facilissimo trovare ristoranti che possono fare al mio caso. Mi piace moltissimo il Taj Mahal, ristorante indiano all’Isola e poi amo i ristoranti africani. Mi piace Africa in via Palazzi e poi Asmara il ristorante eritreo sempre in zona. Vado poi spesso all’Osteria della Pasta e Fagioli in via Venini a due passi da casa: apprezzatissima da Michael Gordon e da molti altri compositori che ho portato con me.
Quali sono i tuoi cocktail bar preferiti?
Conoscendo le tue interviste e le tue passioni, purtroppo questa parte dell’intervista ti darà poche soddisfazioni: sono astemio e quindi nulla ho a che fare con cocktail, locali trendy e nottate a bere alcolici di vario tipo. Il mestiere di compositore conduce generalmente a una vita solitaria. Si resta spesso chiusi in casa. Per fortuna, io in casa sto molto bene. Mi piace passare il tempo con la mia fidanzata, la musica, i libri e dunque non posso certo lamentarmi.
Sei un noto amante degli animali.
Io amo gli animali: ho tre gatti e se potessi ne avrei trecento, come Carl Czerny. Oppure Galina Ustolskaya, che con i suoi gatti parlava.
Chi sono gli amici di Carlo Boccadoro?
Molti dei miei amici sono musicisti, ma non solo: sono persone con cui condividiamo passioni comuni. Ad esempio i componenti di Sentieri Selvaggi. Credo non saremmo riusciti a portare avanti Sentieri Selvaggi per così tanti anni se non ci fosse un’amicizia profonda è un’unità d’intenti comune. Ovviamente sono molto legato a Filippo Del Corno e Angelo Miotto. Ho tanti amici compositori, che ho citato prima e che vivono un po’ come me: sono solitari, vivono in casa e passano il tempo a comporre. A volte non riusciamo proprio a uscire di casa: possiamo darci anche cinque appuntamenti telefonici prima di riuscire a incontrarci. Mi è capitato di essere amico di persone che si detestavano tra loro, ad esempio Luciano Berio e Michael Nyman. Per fortuna la lista dei miei amici è molto lunga, ricordo volentieri scrittori e poeti che ammiro come Aldo Nove, Valerio Magrelli e Giuseppe Genna, fotografi come Silvia Lelli e Roberto Masotti, artisti visivi come i Masbedo ed Enzo Cucchi, coreografi come Lara Guidetti e Matteo Levaggi, la filosofa Brunella Antomarini e ancora moltissimi musicisti di jazz, artisti pop e rock, attori, registi, ecc.
Che cosa vorresti fare da grande?
Da grande vorrei lavorare di meno e godermi la vita senza fare assolutamente niente. Leggere, studiare, passare più tempo tranquillo. Vorrei andare in pensione insomma, ma so anche che questo forse non accadrà mai. Certo, se accadesse non sarei certo tra le persone depresse a causa della pensione. Tutt’altro: sarei euforico perché avrei il tempo di fare tutto quello che mi piace fare.
Che cosa fai stasera?
Stasera resto a casa a lavorare con una grande tazza di caffè, scrivendo musica almeno fino a quando sarò così stanco da andare a dormire per forza.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Sì. Vorrei aggiungere che le interviste non mi piacciono per niente! Soprattutto quando le rileggo e penso, tra me e me, perché ho detto quella cosa?