Persone che fanno cose a Milano. Mirko Rizzi, anima di Marsèlleria , luogo di mostre, eventi, incontri, proiezioni ed entusiasmi. Dall’edicola di San Nicolò a Tordino alla città della moda. Dopo sei anni di vita è arrivato il momento di aprire un nuovo spazio, più aperto alla città, al marciapiede, alle persone che passano per caso. Un’occasione per parlarne, in anteprima per Zero e per parlare del suo passato, dei suoi progetti della sua visione della città.
Perché un nuovo spazio, Mirko?
Volevamo dare continuità alla programmazione. Senza l’interruzione dei giorni dedicati allo showroom. Poi c’è stata un’occasione: abbiamo trovato uno spazio su strada. Quello che cercavo da molto tempo. I cortili milanesi mi piacciono però mi danno un’idea di chiusura. Vorrei che nel nostro spazio entrassero le persone comuni. Io sono nato e cresciuto per strada. Sul marciapiede passa la cosa più bella del mondo: l’umanità.
Come sarà questo nuovo spazio?
Avrà tutta una parte verso strada, che dovrà inserirsi nel contesto della città. Dovrà riuscire ad attrarre il pubblico che non c’è. Vengo dalla disco anni Novanta, quando si facevano le serate con 5000 persone e non erano abbastanza: insomma, vorrei che entrasse tanta gente! Siamo in via privata Rezia 2, una traversa di via Friuli, a trecento metri dall’attuale Marsèlleria. Avremo due piani. Al piano terra si potrà prendere un caffè, che ovviamente sarà sempre offerto e ci saranno giornali, libri, dischi e prodotti anche in vendita. Sarà sempre aperto, dodici mesi l’anno. Sotto si faranno presentazioni, cene, mostre, incontri, aperitivi. Insomma, saremo aperti a tutti e a tutte le forme di arte contemporanea. Vogliamo essere un riferimento per parlare di tutto e di niente.
Hai già pensato a un nome?
Potrebbe venire come per Marsèlleria oppure mi piace pensare che venga naturalmente, dalle persone oppure da qualcosa che succede. Vorrei che le persone cominciassero a chiamare quel posto in un modo. Saranno le persone di Milano a dargli un nome.
Ci racconti come sei arrivato a Milano?
A Milano mi ci hanno abbandonato da piccolo, in piazza San Babila. Mi sento milanese DOC. Sanbabilino tutta la vita…
Ci racconti come sei arrivato a Milano? Tu sei abruzzese, vero?
Sono abruzzese, nato a Teramo. Bella Teramo, bellissima… peccato che non ci fosse niente…
Che cosa ha cambiato la tua vita?
A un certo punto i miei genitori, come ho detto una sera, hanno messo su un press office: si sono licenziati e hanno comprato l’edicola della piazza di San Nicolò a Tordino, alle porte di Teramo. Il punto di ritrovo del paese. I giornali mi hanno aperto un mondo. Leggevo anche Flash Art, ed era interessante… Ne è passato di tempo. Allora mi è venuta voglia di girare. Mia mamma mi firmava tutto, le giustificazioni più incredibili: a 15 anni ero già fuori casa.
Dove sei andato?
Cominciai a fare dei giri: Roma, Bologna, Rimini. Lì trovai la vita, quella vera: a Rimini erano avanti e già si faceva quello che oggi si fa dappertutto.
Che lavoro facevi?
Lavoravo nella musica, facevo art direction per i locali, ho collaborato con dj, organizzato cose, lavorato tanto. Sono stato molto al Cellophane, ho aperto il Dadada e l’Echoes. Facevo il Peter Pan il venerdì sera. Ho avuto anche un periodo al Paradise e al Pascià.
Hai vissuto anche a Bologna?
Certo, in quegli anni ci sono stato molto. C’era il Link e ciò rendeva la città molto attiva e interessante.
Perché te ne sei andato?
Dovevo fare il militare, allora a 19 anni sono andato via. Mi sono messo a girare l’Europa. Sono finito in Germania. Berlino era tutta una ruspa, con le strade infangate, diciamo che era ancora presto… ma si capiva che sarebbe diventata bella. Ho anche provato a studiare: Polimoda, Dams, ma alla fine dovevo lavorare per mantenermi e ho sempre mollato. A Colonia ho cominciato a lavorare in un negozio e insomma… nella moda.
Cosa mi dici di Colonia?
Grande vita notturna. From disco to disco. Lavoravano da Bikkembergs e da Dries Van Noten, Raf Simons. Facevano cose interessanti. Passai anche da Londra, ma mi faceva schifo. Allora decisi che sarei andato a Los Angeles però, siccome avevo un momento un po’ così, pensai di farmi una bella estate come quelle di un tempo.
Era la tua ultima estate italiana, vero?
Sì, avevo le valigie già pronte per Los Angeles, poi però ho trovato una tipa di Milano. La milanese mi ha rovinato. Ho rimandato il viaggio e così sono arrivato a Milano. Proprio per caso, nel senso, per un amore casuale.
Quale fu la tua prima impressione?
Guarda, a Milano non avevo mai pensato. Te lo giuro: mai e poi mai! Eppure, quando sono arrivato, Milano si è innamorata di Mirko Rizzi. Allora io non l’ho più tradita. Grande fedeltà.
Come nasce la tua passione per l’arte?
Sai, io ho fatto il liceo artistico perché volevo fare l’artista o qualcosa di inerente. La moda mi sembrava più reale, divertente, creativa. Invece, a posteriori, penso sia stato stupido non lavorare col suono e la performance, perché quella poteva essere davvero la chiave della mia vita.
Dove hai lavorato?
Costume National, Prada, Gucci… però lavoravo ancora nel tempo in cui c’era un po’ di cazzeggio e soprattutto c’erano meno aspettative economiche. Era tutto più legato ai rapporti umani, c’era più condivisione. I fondi d’investimento e il grande business non erano ancora arrivati.
Ci sono tuoi amici di quegli anni che invece sono andati avanti?
Ahaha, mi vengono in mente Marcelo Burlon e Dean & Dan Caten “Dsquared”. Ci conosciamo da quando avevo 15 anni anche se non li vedo da un po’. Sono stati molto bravi.
Come avete cominciato a fare Marsèll?
Con grande entusiasmo, fin dalla nascita. Elisa e suo fratello Marco avevano già cominciato. Insieme abbiamo aperto uno showroom. Loro disegnavano, io mi sono sempre occupato di organizzazione. Io avevo fatto alcune esperienze, ero stato responsabile distribuzione mondiale per Testoni a Bologna. Insomma, avevo qualche esperienza…
E la Marsèlleria come nasce?
Era il 2008, avevamo uno spazio piccolino ma serviva uno showroom più grande. Ci siamo messi a cercare e quando ho visto lo spazio dove è nata Marsèlleria, ho pensato: è bellissimo, dobbiamo farci una progettualità. Poi, una sera, mi trovo davanti alcune insegne luminose: macelleria, farmacia, panetteria, pizzeria. «La chiameremo Marsèlleria!». Strano perché in realtà alla Marsèlleria non c’è proprio niente da vendere, visto che il programma è molto slegato dalla produzione delle scarpe. Il giorno dopo ne ho parlato con i soci e con mia grande sorpresa ha entusiasmato anche loro.
Che cosa mi dici delle vostre scarpe?
Siamo molto piccoli e in questo contesto non è facile. Però non facciamo voli pindarici. Investiamo tutto in azienda. Ci sbattiamo molto. Abbiamo sempre lavorato di brutto. Abbiamo fatto la scelta di avere l’azienda in Italia, con materiali italiani, personale italiano, tutto italiano e insomma di fare tutto con grande qualità. Fare sempre il meglio, anche se costa di più. Fare tutto all’interno.
I clienti lo capiscono?
Crediamo sempre nell’innovazione, nella ricerca, nello sviluppo del prodotto, nella distribuzione diretta. Ci piacerebbe avere anche un contatto con il cliente finale ma oggi mancano ancora le risorse per aprire 100 monomarca, MARS – Marsèll Art Run Space, ci stiamo lavorando. Eppure c’è uno scambio costante: riceviamo lettere, mail, segnali e allora capisci che il prodotto parla alle persone. Io credo che se vedi un manufatto realizzato con amore, se osservi i dettagli, allora capisci i quattro quinti dell’azienda. Basta guardarlo. Mi sono accorto che abbiamo clienti molto fidelizzati.
Come sono nati i progetti espositivi di Marsèlleria?
C’è un filo conduttore: le cose nascono sempre per relazioni. Spesso casuali. Però ci deve sempre essere una bella energia. Un rapporto tra le persone. La prima fu con Giovanni Donadini (Canedicoda). In realtà l’ho inseguito per un anno: dopo tanto l’ho conosciuto a un concerto performance di Nico Vascellari al fuori biennale 2007 e li l’ho convinto. La prima mostra è stata la sua. Spettacolare. Poi parlavo molto con Carlos Casas e con Andrea Lissoni. Insomma, una cosa tira l’altra.
Cosa ti piace di Milano?
Milano è una città spettacolare: ti regala molto più di quello che le dai tu. Come ti dicevo, mi piace moltissimo la strada. Due anni fa abbiamo aperto una vetrina su strada con Canedicoda e l’abbiamo chiamata Gabbianacci. Una specie di negozio bizzarro: all’inaugurazione c’erano 30 centimetri di sabbia. Una spiaggia o chissà cosa.
Ti piace uscire la sera?
Certo, ma Milano è bella da scoprire. Non saprei dirti un mio posto preferito. Ognuno filtra e percepisce quello che gli arriva. Non sono uno che si affeziona ai locali.
Quali ristoranti frequenti?
Il Nuovo Macello è sicuramente il mio ristorante preferito. Sono molto carini, piacevoli e poi si mangia davvero bene. Poi c’è Masuelli, la meravigliosa vecchia scuola che purtroppo sparirà: siamo dei pollastri e l’abbiamo scoperto troppo tardi. Non è tanto per la cucina ma per le modalità, per l’amore, per il lavoro che trasforma ogni cosa in qualcosa di più bello. Poi mi piace molto andare Al Garghet, stupendo per il giardino e anche per le zanzare: d’estate è una vera bomba!
Posti di ritrovo?
Mi piace venire all’Elettrauto di via Cadore. Ho avuto anche il mio periodo Cape Town, ma adesso il posto è un po’ cambiato. Resta sempre mitico il Pravda, magari ci passo anche stasera, ci vediamo?
Mi racconti chi sono i tuoi amici?
Ho un sacco di amici, di varie categorie. Tengo molto all’amicizia, sono sempre stati come una famiglia! Parliamo di quelli che sono Milano in questo momento, anche perché tanti altri li ho persi, nel tempo. Daniele Innominato, Alan Chies, Giovanni Canedicoda, Massimo Torrigiani, Carlo Zanni, Alessandro Longhin, Pier Mario Simula, Federica Perazzoli, Federica Tattoli, Maddalena Bonicelli e Geraldine Blais Zodo.
Che era il tuo eroe da bambino?
Forse Zorro, perché mi ci vestivano a Carnevale. In realtà, di eroi e di popstar non ne ho mai avuti. Sono un uomo di strada, te l’ho detto.
Un disco che ha cambiato la tua vita?
Non voglio dirtene uno: è troppo facile trovare un simbolo. Non c’è nulla di definitivo. Mi piacciono molte cose, scriverne una sarebbe un’invenzione. Vale lo stesso per i libri e per i film.
Una persona trascurata a Milano?
Rispondo senza pensarci un attimo: Enzo Mari. Davvero un mito, vorrei farci qualcosa un giorno. Come avrei voluto fare qualcosa con Ottavio Missoni e mi dispiace che sia troppo tardi. C’è tutta una generazione di persone da cui dovremmo prendere esempio. Ora. Senza perdere tempo.
Mi dici un angolo di Milano che ti piace?
Mi sono sempre piaciuti i Bastioni di Porta Venezia. Attraversi il parco e il mondo cambia, da un lato c’è il centro con il quadrilatero della moda, le banche, la Scala e dall’altro un quartiere totalmente diverso, dove, infatti, ho deciso di vivere quando sono arrivato a Milano. Stavo proprio lì, in via Tadino 6. Sopra il One Love: quante serate e quanto casino! In generale, Milano è davvero bella: basta guardare in alto, osservare l’architettura con attenzione, c’è una quantità di cose stupende. A volte false, a volte non finte, più spesso vere.
Cosa manca a Milano?
Un museo di arte contemporanea. Un museo di quelli seri. Poi credo che la città dovrebbe avere più consapevolezza di quello che vuole essere, per riuscire a farlo fino in fondo. Certo che l’Italia è molto legata al privato, infatti la differenza a Milano, parlo del mondo dell’arte, la fanno la Fondazione Trussardi, l’Hangar Bicocca…
Che cosa fai stasera?
Vado un attimo all’Artopia, dagli Zapruder: sono stupendi! Poi però ho voglia di farmi una pizza: allora me ne vado da Geppo e mi faccio la sua mitica pizza gorgonzola e pere. Poi magari chiudiamo al Botanical Club, che ne dici?
Prossimi passi?
Abbiamo preso uno spazio a Chelsea a New York, dove vorremmo portare solo cose fatte a Milano. Questa è un’altra anteprima che svelo solo a Zero, non lo sa nessuno. Quanti segreti ti ho detto in questa intervista?
Cosa farai da grande?
Il mio secondo figlio Achille, che ha tre anni, mi dice sempre: quanto diventi piccolo ti faccio guidare la mia moto sai??? Mi piacerebbe fare il direttore della Fondazione Marsèll.
C’è qualcosa in particolare che vuoi che io scriva?
Sì, per favore: inventati qualcosa di bello e tralascia tutto quello che ho detto.