Centro, periferie, carceri ma anche un supermercato in piena notte. Il concerto di Orazio Sciortino è uno dei momenti più attesi di Piano City 2017. Un concerto in notturna, musiche di Debussy, suonate da uno dei più luminosi talenti pianistici del nostro tempo. Ci siamo fatti raccontare qualcosa del concerto e della sua vita di musicista e compositore.
ZERO: È la tua seconda partecipazione a Piano City, cosa pensi di questa kernesse?
ORAZIO SCIORTINO: Secondo me Piano City è una metafora, più che una kermesse di pianoforte. In uno dei periodi più belli dell’anno, musica ininterrotta in ogni angolo della città, nelle case, nei parchi, nei centri commerciali. Piano City quindi vuol dire immersione nel mondo dei suoni, delle musiche di ogni ispirazione, in armonia con lo spazio circostante. Il tutto diventa poi un’occasione di incontro e di amicizia. La musica come pretesto ideale per superare barriere di ogni genere. Un momento importante per la città.
Sei emozionato all’idea di suonare in notturna all’ex Teatro Smeraldo? Che programma hai scelto?
Sono particolarmente eccitato all’idea di tenere un concerto notturno in un luogo che più insolito di così non si può: un ex teatro, ora supermercato. E pensare che da Eataly non vado neanche a far la spesa, il mio verduraio al mercato è geloso. Se dovesse saperlo le cose sono due: o mi rifila le patate della grande distribuzione o mi allestisce un pianoforte in Via Marcello il sabato mattina. Resta il fatto che da Eataly vado a farci un concerto, e di notte. Che cosa buffa no? Non a caso ho scelto un programma che rimanda ad atmosfere notturne. Il tempo e il luogo diventano lo scenario ideale per il concerto. È mezzanotte, le saracinesche del supermercato sono chiuse già da qualche ora; un pianoforte collocato su una sorta di palcoscenico sospeso e le pagine del giovane Debussy, cariche di simbolismi e corrispondenze. Musica nella notte e per la notte, per chi si vuole congedare dal giorno attorno ad un pianoforte.
Che ricordo hai della tua precedente esibizione a Piano City?
Il mio primo, e finora unico, concerto per Piano City è stato nel 2014, quando ho avuto occasione di suonare presso la casa degli Atellani in Corso Magenta in collaborazione con Sky Classica. Era una splendida giornata di maggio, luminosissima e riempita dalla compagnia dei miei amici più cari.
Qual è il concerto di questa edizione che non ti perderai?
Senz’altro quello di Michael Nyman al teatro di Burri a Parco Sempione. Si può anche non amare Michael Nyman, ma non si può non amare Michael Nyman al Parco Sempione.
Ci racconti le tue origini?
Sono di Siracusa e di certo nel mio dna ci sono frammenti dell’antica Grecia, nel mio modo di pensare soprattutto. L’elemento dionisiaco ha avuto certamente un influsso, più del mio essere siciliano. Non vengo da una famiglia di musicisti: mio padre faceva l’infermiere, mia madre si occupa di ragazze madri. Però credo nel destino e la musica è sempre stata uno stato naturale. Si sono verificate delle alchimie, credo molto nelle Moire, intese come personificazione di un destino ineluttabile.
Quando hai cominciato ad ascoltare musica e suonarla?
Fino ai sette anni avevo una grande passione per i grammofoni. Volevo fare l’elettricista. Poi chiesi ai miei genitori una pianola. Suonavo a orecchio fino a quando mi mandarono da un maestro di fisarmonica. Lui mi faceva giocare con la musica e così imparai a leggere, ma anche a scrivere. Comporre mi è sempre risultato naturale: un’operazione intellettuale, che permette di indagare diversi aspetti della creatività.
Come sei arrivato a Milano?
A un concorso pianistico a Venezia ho conosciuto Fabio Vacchi che era in giuria. Alla fine si avvicinò e ci fu subito simpatia. Gli parlai delle mie composizioni. Lui era curioso. Così mi inscrissi al Conservatorio di Milano per studiare con lui.
Cosa ti è piaciuto di Milano?
Mi sono subito innamorato della città che ora mi manca anche quando sono in vacanza. Mi colpirono subito le persone che correvano. Questo muoversi senza disorientarsi. Ho sentito una grande energia che faceva parte di me.
Dove sei andato a vivere?
Abitavo in via Sauli, zona Pasteur e ci sono rimasto. La zona mi piace. Fin dall’inizio cominciai a camminare per la città, per ore e ore. Era il 2004. Andavo sui Navigli, in centro, a est e poi in sala Verdi. Ovviamente ho fatto tutte le cose che si fanno quando si arriva a Milano, dal giro sulle palle del toro in Galleria fino alla cartomante di Brera.
Quale fu l’impatto musicale?
Pazzesco! Potevo ascoltare cose che avevo solo letto o incontrato su disco. Fui folgorato da Sinfonia di Berio e poi da un concerto diretto da Pierre Boulez. Quando lo andai a salutare aveva la stessa espressione che aveva nei dischi. Mitico. Poi ascoltai Dallapiccola e Webern: Milano mi ha dato tantissimo.
Chi sono i tuoi amici?
Moltissimi: mi piace stare tra le persone. Sono amico di Roberto Cominati, siamo molto diversi ma ci ascoltiamo a vicenda. Facciamo anche la spesa insieme al supermercato, il martedì e il sabato. Poi sono amico di Paolo Besana, perché ha sempre qualcosa di cui parlare ed è un gran mangione. Gli amici migliori devono avere piacere per la buona tavola. Mi piace Alberto Mattioli, per l’ironia e l’intelligenza. Mi piace invitare gli amici a cena da me.
Ti piace cucinare?
È la mia prima passione, soprattutto fare il brasato, perfetto in questa stagione; e poi gli arancini con la crema di pistacchio, la mia specialità. Posso frequentare qualcuno che non ama la classica, ma non potrei mai passare del tempo con qualcuno che non è una buona forchetta.
Ci dici qualcuno che sta cambiando Milano?
Filippo Del Corno. Sta dando segnali interessanti. Parla poco, forse non è il politico per questi tempi fatti di slogan, però ha fatto molto per aprire nuovi spazi dedicati alla cultura e alle attività estive, anche nei parchi.
Dove vai la sera a divertirti?
Esco sempre, vado spesso al Bibendum si beve bene e riesco anche a farci arrivare gli amici più pigri: è molto comodo. Poi mi piace il Tempio D’Oro soprattutto per l’aperitivo: il più buono che ci sia a Milano. Categorico. Se ho voglia di birra vado alla Brasserie Bruxelles: la birra è buona e la cameriera è molto carina.
Quali sono i tuoi ristoranti preferiti?
Mi piace da morire la Trattoria Sabbioneda in via Tadino, un posto dove i milanesi dovrebbero andare di più: fantastica, a gestione familiare e con prezzi bassi. Poi mi piace andare Al Cantinone di via Agnello, l’aperitivo è molto abbondante e anche la cucina ottima. Adoro anche L’Altra Isola, soprattutto per la cucina milanese doc: ci mangio la cassoeula, l’ossobuco e la cotoletta.
Bevi anche cocktail?
Come avrai capito sono appassionato di vino, sui cocktail sono più difficile e lascio fare al barman. Ultimamente sono stato da Eppol, dove ho bevuto un pisco sour meraviglioso.
Che musica ascolti?
Solo musica classica! C’è così tanto che difficilmente ho tempo di ascoltare altri generi. Soprattutto, mi piace riascoltare. Sono malinconico per natura: ritorno volentieri sulle cose.
Un disco che ha cambiato la sua vita?
I Cinque frammenti di Saffo di Luigi Dallapiccola: li associo al periodo in cui sono venuto a Milano perché comprai il disco alla Bottega Discantica. Poi, ovviamente, Sinfonia di Luciano Berio.
Un film importante?
Tutto Lars von Trier, in particolare Dancer in the Dark.
Un libro?
Doctor Faustus di Thomas Mann. Anche questo lo lessi appena arrivato a Milano: un’illuminazione.
Mi dici una persona che si sta trascurando troppo?
Gillo Dorfles, una figura portante, una delle testimonianze più alte del XX secolo è ancora qui, vivo. E i milanesi non lo conoscono abbastanza.
Dove vai quando hai voglia di cazzeggiare?
Mi piace andare all’Accademia Europea, una vecchia palestra in via Melzo: è il mio circolo anziani, va bene per fare comunella. Faccio anche qualche esercizio ma soprattutto sto a chiacchierare per ore e ore. Un luogo d’altri tempi.
C’è un posto di Milano che ti piace?
Mi piace un sacco piazza Formentini, ma la preferivo quando era abbandonata. Poi mi piace il finto abside di santa Maria presso San Satiro. Recentemente, su Genova ho scoperto la chiesa di san Vincenzo in Prato: bellissima. Però il mio posto preferito è piazza Gae Aulenti: passo il tempo a passeggiare, a guardarmi in alto e intorno. Un posto bellissimo che mi ha fatto rivalutare tutta la zona, anche l’orrendo corso Como.
Dove vai a rimorchiare?
Guarda, un posto preciso non c’è. Di certo, appena posso, mi piace invitare qualcuno a cena. Nei periodi in cui scrivo, divento ancora più dedito alla cucina. Insomma, sono periodi buoni, in cui le tre cose vanno insieme.
Chi ti piace tra i compositori contemporanei?
Carlo Boccadoro mi piace un sacco per il suo modo di intendere la musica: onnivoro, divulgatore, scrive e dirige i suoi ensemble. Ha un ingegno a 360 gradi. Sentieri Selvaggi è ossigeno vero per Milano, perché porta in Italia musica che altrimenti non arriverebbe. Tutto ciò è possibile grazie a Carlo, alla sua bravura e alla sua umanità.
Tra gli stranieri?
Thomas Adès, il suo Powder Her Face è qualcosa di incredibile.
Quale è il tuo teatro preferito a Milano?
Se escludiamo, ovviamente, La Scala, mi piace l’Auditorium di Milano in via Gottardo: ha un’ottima acustica e mi piace arrivarci, mi piace l’ingresso, mi piace il foyer e il bar dove fanno l’aperitivo.
Ti piacciono le sagre?
Un macello, ne frequento anche troppe. Anzi il prossimo fine settimana vado in Monferrato: vuoi venire?
Magari organizziamo, fammi controllare quale consigliano su Zero. Se resti in città, che cosa ti piace fare?
Mi piace anche andare per musei. Mi piace la GAM Milano, per la collezione, ma anche per il parchetto dietro, dover fare una bella passeggiata. Col laghetto e tutto quanto. Poi mi piace lo Spazio Tadini, dove ho anche suonato e ultimamente il Mudec, spazio interessante e architettura stupenda. Poi a volte mi chiedo: ma perché nessuno va mai alla Certosa di Garegnano?
Mi dici un oggetto importante nella tua vita?
Il tritaverdure e poi anche i coltelli di ceramica e le pentole di rame: non ne posso fare a meno.
Quale è un progetto di cui sei particolarmente orgoglioso?
Il disco Wagner & Verdi, inciso per Sony nel 2013.
Hai un sogno da realizzare?
Essere contento del lavoro di domani.
Cosa farai da grande?
Quello che facevo da piccolo.