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Stefano Fiz Bottura

«Mi Ami è un festival matto, bello, aperto, sexy, vitale, rocambolesco, naif, denso, qualcosa che travolge i sensi e attiva i neuroni. Un festival dove l'inaspettato e la bellezza ti sorprendono. Un festival in cui suona su 3 palchi il meglio della Musica italiana»

Scritto da Emilio Cozzi il 27 maggio 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Stefano Bottura, detto Fiz, fu l’art director di Zero quando al Cape Town ci si andava per i cocktail e dire “art director” non faceva chic. Noi infatti, Fiz, lo si chiamava «grafico». Era uno bravo e dai gusti raffinati, di quelli che si definirebbero «francesi» – amante di tinte pastello, tratto elegante, atmosfere malinconiche ma sempre col miele da qualche parte. Un bel giorno – questo me l’hanno raccontato e potrei sbagliare, visto che ai tempi non lavoravo da queste parti – ebbene un bel giorno pare che Fiz chiamò in redazione dichiarando che non sarebbe venuto al lavoro: «Oggi proprio non me la sento. La Nazionale ha perso» (maledetta Corea, maledetto Moreno, eravamo fortissimi!). Un’altra volta fu il sole splendente nel cielo a suggerirgli che una giornata chiuso in redazione non sarebbe stata la meglio spesa.
Quando arrivai a Zero, Fiz era già sparito; non saprei dire quanto gli aneddoti di prima e la sua assenza fossero legate. Ma tant’è, col senno di poi pare chiaro ne giovarono tutti. Tutti nel senso di anche tu che leggi. Via da Zero, infatti, Fiz con un manipolo di amici buttò tutto se stesso dentro Rockit musica italiana prima – un progetto già in vita da un po’ – e soprattutto si inventò e mise in piedi MI AMI, il festival dei baci e della musica indipendente, oggi diventata “importante”, che in un amen catalizzò e portò in città il meglio di certa musica italica. In pochi anni MI AMI, partito dalla cornice storica del Paolo Pini e approdato alle rive dell’Idroscalo solo poi, divenne un’istituzione. Di quelle per cui si arrivò al punto di andarci senza nemmeno conoscere le band in cartellone. Importava poco. Contava essere là fra le zanzare, i sorrisi e, comunque, un po’ di buona musica.
Negli ultimi anni Zero è stato piuttosto critico con MI AMI. E, ve lo garantisco, le storie della Nazionale e del sole preferito alla redazione c’entrano poco.
Di questo e molto altro abbiamo parlato proprio con lui, con Fiz: l’uomo Rockit. L’uomo MI AMI. L’uomo della scena indie italiana degli ultimi 15 anni.

ZERO: Fiz, da dove sbuchi?
FIZ: Sono Stefano Bottura, nato a Milano, dove vivo, ma cresciuto a Vaprio d’Adda, in provincia. E questa cosa, nel bene e nel male, non me la toglie nessuno. Ho un passato da writer e parecchi muri e treni dipinti (ma erano gli anni 90) e una laurea in Design al Politecnico di Milano. Oggi sono direttore di ROCKIT. Ho inventato e organizzato il MI AMI e sono stato uno dei colpevoli di Aiuola Dischi. Con Matteo Remitti ho scritto “Giovanni Lindo Ferretti: canzoni, preghiere, parole, opere, omissioni” (Arcana, 2010). Ho fatto l’art director di Zero per un paio d’anni e con la mia Better Days faccio anche il grafico (dopo aver lavorato con e per Universal Music France, ENT design Paris, Artclair Edition Paris, Studio Manolibera Milano). Visto che non bastava, sono in ballo con la GALLERIA DISASTRO. Ma soprattutto, ed è la cosa più importante, sono papà di Matilde. Quando riesco vado a pesca, disegno, giro in Vespa e cerco di prendere aerei e treni il più spesso possibile.

Da cosa e perché è nato il MI AMI 12 anni fa?
Tornavo dalla Francia, c’erano la spinta a fare e rischiare, l’incoscienza totale della giovinezza che finiva, un certo stallo generale eppure tanta energia latente. La voglia e la necessità di vedere se quello che avevamo fatto fin là online con Rockit era vero, Reale, o solo una pippa nella nostra testa. Be’, più reale del vero si dice in questi casi. L’intuizione è stata dire “proviamoci” e convincere tutti (o almeno, patteggiare per il laissez faire).

Se volessi riassumere il MI AMI in 3 righe, o 3 parole, cosa scriveresti?
Un festival matto, bello, aperto, sexy, vitale, rocambolesco, naif, denso, qualcosa che travolge i sensi e attiva i neuroni. Un festival dove l’inaspettato e la bellezza ti sorprendono. Un festival in cui suona su 3 palchi il meglio della Musica italiana. Dove puoi cantare le canzoni del cuore e insieme scoprire musica nuova. Dove oltre che ballare e ascoltare musica e conoscere gente nuova, puoi mangiare, bere, guardare artisti che disegnano, comprare magliette, bambole, dischi, t-shirt, mutande, scarpe. Un festival in cui in 2 giorni succede di tutto. Un festival dove gli addii al nubilato e gli addii al celibato si incontrano, ed è come dire tutto.

mi-ami-2015

Che cos’è la musica indie in Italia? Esiste ancora?
È una domanda a cui non saprei rispondere e che in fondo, sinceramente e senza nessuna spocchia – ti prego di credermi -, nemmeno mi interessa. A me personalmente, ma anche a Rockit in generale, non è mai interessata molto questa definizione. L’abbiamo usata solo in due edizioni, 2006 e 2007, perché anche noi abbiamo subITO, come dire, la “fascinazione per le semplificazioni”, la “necessità  di aderenza” a qualcosa. Quando ci siamo resi conto che più che un vantaggio costituiva solo un limite, l’abbiamo subito sostituito con “musica bella”. Cioè quello che in fondo cerchiamo: bella musica fuori da generi, steccati, ghetti, limitazioni. Poi, evidentemente, quella parolina là, “indie”, è molto più forte di quello che tutti i denigratori hanno sempre sostenuto se siamo ancora qui, nel 2016, fuori tempo massimo, a usarla/analizzarla. Capisco anche il bisogno di molti di “affibbiarcela” sia in positivo che, spesso, in negativo (come si usava la parola hipster, passata pure quella), per descriverci come snob o boh. Anyway, “indie” al momento penso venga usata come si usava “alternative” da un certo punto in poi negli anni 90, giusto come categoria su Deezer o negli articoli di Repubblica. Ma va bene così, sai? Va tutto bene.

In pochissimi anni MI AMI diventò uno dei festival più interessanti d’Italia. Perché?
Perché siamo stati bravi e fortunati, nella percentuale che vuoi tu a seconda di che persona sei. Non sto scherzando, anzi per quanto mi riguarda è uno dei punti fondamentali del discorso: se sei una persona che è felice quando qualcosa, anche se non l’hai fatta tu, è bella e funziona, allora penserai che siamo stati bravi e saprai riconoscere l’enorme valore che un progetto come il MI AMI ha. Se invece fai parte della categoria rosicone/invidioso/lamento, allora dirai che è stata solo fortuna e ti perdi tutto quanto (ma chi fa parte di questa categoria non l’ammette mai). Io credo che siamo stati bravi a essere come siamo, a mantenere quello spirito naif nel fare le cose che rende il MI AMI così magico, così bello, così umano, così stimolante. Penso sempre a un ragazzo che viene dalla provincia e si fa chilometri e sbattimenti per venire al MI AMI e torna a casa carico come una molla e magari un giorno, grazie a quanto ha visto/vissuto al MI AMI, farà  qualcosa di simile nel posto da dove viene. È un festival aperto, che ti lascia la voglia di. Siamo stati bravi a creare tanti percorsi, a far crescere tante persone all’interno, musicisti e band, ma anche collaboratori e addetti ai lavori. Hai fatto caso negli ultimi anni a quanti piccoli festival o serate che sembrano tanti piccoli MI AMI sono spuntati in tutta Italia? Che hanno un cast simile, la comunicazione impostata in un certo modo, i manifesti, gli hashtag, le svirgolate di fantasia. Vatti a rileggere i nostri primi comunicati stampa, chi li scriveva così? Robe da scappati di casa per i comunicatori e gli uffici stampa ufficiali; adesso in redazione sai quanti ne arrivano simili? La bellezza del MI AMI, oltre al rigore della selezione artistica (ma quella è stata garantita negli anni da Carlo Pastore, cioè proprio l’altra metà del cuore) è stato anche il giocarci, con il festival. Mi spiego, essendo una cosa nostra completamente, ci siamo presi libertà  che nessuno si prende. Se ci veniva qualche idea matta, via, la si faceva subito. Gli adesivi, i video stupidi, gli spot fatti dagli artisti (e anche questo ti dà  la cifra di quanto il MI AMI sia amato e rispettato da moltissime persone), le maschera da tigre o il banchetto Rockit con la pesca vincitutto e in palio una chitarra, la diretta notturna scaramantica a Radiopop da mezzanotte alle 5 del mattino, il dj set finale di Rockit All Starz, ovvero noi che dopo 3 giorni massacranti salivamo sul palco ubriachi di adrenalina e felicità a mettere i dischi. Capisci subito che siamo qualcosa di diverso. Poi certo qualcuno potrebbe pensare “sì, ok, ma potreste farlo così o cosà”, i suggerimenti sono sempre bene accetti, ma alla fine facciamo sempre un po’ quel cazzo che ci pare ed è bello e giusto così. Devi essere tu il primo a divertirti e a essere contento del far gioire la gente. E non c’è un solo modo per fare le cose, il MI AMI ne è la dimostrazione e – spero – un esempio per tutti a Crederci e Fare.

Credi che le line up di MI AMI siano state ogni anno rappresentative di un certo tipo di musica in Italia?
Be’, noi ci abbiamo provato. Se le scorri tutte, vedi che le band poi diventate “famose” o conosciute, o quelle che perlomeno riempiono i locali e vivono di musica, ci sono. Dal primo all’ultimo non abbiamo bucato chicchessia di questo decennio, quindi un po’ di fiuto ci va riconosciuto. Come ho già raccontato a Rockol mancano giusto i Baustelle, che non ci sono per una questione di principio: nel 2006 li avevamo chiusi e confermati a un prezzo, poi han fatto il boom con la “Malavita” e ci hanno chiesto di più nonostante gli accordi presi. Per questo – da stupido testone quale sono – li ho fatti saltare. E poi ci sono gli Zu, che per centomila coincidenze e sfighe non siamo mai riusciti a far suonare al MI AMI nonostante la voglia di entrambi. 
Se vuoi ti faccio la lista di chi ha suonato al MI AMI: sono circa 500 band, mica poche no? Però alcuni nomi ci tengo a dirteli, che magari i lettori di Zero non sanno: The Bloody Beetroots, Verdena, Emis Killa, Le luci della centrale elettrica, Dente,  The Zen Circus, Congorock, Aucan, Salmo, Brunori Sas, Bugo, Dj Gruff, Africa Unite, Tre Allegri Ragazzi Morti, Teatro degli orrori, Nada, Casino Royale, Marta sui tubi, Patty Pravo, Offlaga Disco Pax, I cani, Ministri, Max Pezzali, Massimo Volume, Diaframma, Ensi, Calibro 35, Perturbazione, Noyz Narcos, Dargen d’Amico, Giardini di Miro, His Clancyness, Stylophonic, Crookers, Rivastarr, Spiller, Boom Da Bash, Lervante, Amor Fou…

Dacci per ogni anno un highlight di quell’edizione: un nome, un momento, un aneddoto. Quello che vuoi.
2005: Carlo Pastore e Alessandra Maculan. L’sms che mandò a Carlo con scritto «MI AMI Musica Indipendente A Milano». Il primo bacio del manifesto di Alessandro Baronciani. Davide Toffolo che mi dice: “ok Fiz, noi ci siamo”. Raccogliere i tavoli alle 6 del mattino, dopo 2 giorni senza dormire e con il cuore in gola, guardandosi negli occhi e dirsi: ce l’abbiamo fatta.
2006: il manifesto di Amanda Vahamaki, il 2006 e tutto quello che c’è stato dentro. L’edizione più “ortodossamente indie” di tutte. I Diaframma ripescati dall’oblio e Fiumani che fa stage diving sulla batteria. L’area banchetti un incanto.
2007: I Ministri e Dente che ancora non li conosce nessuno. Il revival-djset “Weekandace” di De Luca e De Gennaro in Collinetta, io dietro di loro che alzo la cassa con l’incasso come Bearzot la Coppa del Mondo nell’82.
2008: Carlo che mi convince a spendere un cachet (a ripensarci ora ridicolo) per i Bloody Beetroots. Tutto il Magnolia quella sera che impazziva. La sera dopo la doppietta live Luci della Centrale Elettrica+Altro spostata all’interno del Magnolia per la pioggia. Il caldo che faceva, la pelledoca alta così.
2009: Giorgio Canali.
2010: L’edizione top di sempre: 20mila persone. Una Bellezza senza fine. Nada con gli Zen Circus e non meno di 6mila persone che cantano tutte insieme “Ma che freddo fa”. La Collinetta che esplodeva per Brunori SAS. La prima sponsorizzazione come si deve che continuerà negli anni: grazie Jack Daniel’s.
2011: I Verdena, monumentali. Dj Gruff che scende dal Torcida con le lacrime agli occhi dalla gioia. Il primo live in assoluto dei Cani. Il manifesto di Ester Grossi, uno dei più amati di sempre.
2012: Max Pezzali che canta “Con un deca” a sorpresa sul Pertini durante il nostro djset finale Rockit All Starz (e tutta la redazione di Rockit sul palco a ballare e a fare i cori con le bende da pirati sugli occhi).
2013: Patty Pravo che canta in mezzo al diluvio con, tra il pubblico, i genitori di mezza redazione.
2014: La torta per i 10 anni e i ragazzi che mi regalano la maglietta dell’Italia col numero 10 e la fascia da capitano.
2015: Max Collini degli Offlaga che canta le canzoni dei CCCP insieme ai CSI sotto il diluvio.

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La tua band preferita di sempre fra quelle esibitesi al MI AMI, e perché…
No dai, questa no.

La band o l’artista che avresti voluto più di tutti al MI AMI, ma che non sei mai riuscito a scritturare… e perché.
Reunion di CCCP e Sangue Misto. Claudio Baglioni che rifà tutto “Piccolo grande amore” solo pianoforte-voce in Collinetta al tramonto. Nina Zilli. Il perché non c’è bisogno di scriverlo.

La Milano musicale degli ultimi 15 anni: ce ne riassumi stato di salute e cambiamenti importanti.
Madonna, i domandoni da sociologi. Dai Emilio, non sono io la persona a cui chiedere ‘ste cose, con tutti gli opinionisti di Facebook che conosci e che non aspettano altro di rispondere a una domanda così, ahaha. Ti direi le solite cose facili, parlo della musica live: 15 anni fa c’erano la Casa 139, il Tunnel, le ultime cartucce del Rainbow (oltre al Rolling Stone, all’Alcatraz e al Palavobis per le cose big). La svolta grossa l’hanno data nel 2006 il Magnolia e il Rocket; ultimamente l’Oibò e il Biko stanno facendo bene. Elita si è presa tutto il suo spazio lavorando con regolarità sulla città  con eventi di alto livello; il MI AMI in 12 anni ha fatto quello che ha fatto (anche nella sua versione invernale biennale, MI AMI ANCORA). I centri sociali ogni tanto ce la fanno a tirarsi insieme e organizzare qualcosa di interessante. In generale mi sembra vada bene, le serate e i concerti funzionano (ovviamente non tutti sempre, ma quello è normale). Milano città  della musica suo malgrado, insomma.

I sociologi di Facebook elaboreranno la risposta. Frattanto consigliaci le 4 cose imperdibili di MI AMI 2016.
Una sorpresa: la comparsata di SferaEbbasta e Ghali venerdì. I Cani. I Ministri che rifanno il primo disco. I Verano. Motta. Tommaso Paradiso dei TheGiornalisti che fa l’album “Bollicine” di Vasco.

Quest’intervista comincia a somigliare a un cocktail di “Porta a porta” e “La vita in diretta”. Ergo, il futuro di MI AMI?
Dai ogni anno ci inventiamo qualcosa, ma non perdiamo la nostra identità. Siamo già nel futuro, nel senso che dopo i dieci anni abbiamo cambiato molte cose. Ora per esempio Mi Ami è su due giorni, magari diventerà una settimana, magari 24 ore di fila, chi lo sa?

Grazie Fiz, Paola Perego sarebbe contentissima dallo studio. Ciò nonostante, ci vediamo al MI AMI per limonare.