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Alessandro Cadario

Alessandro Cadario è uno dei più interessanti direttori d'orchestra italiani della nuova generazione. Collabora con autorevoli realtà italiane – la Filarmonica della Fenice, l'Orchestra del Petruzzelli di Bari, il Maggio Musicale Fiorentino -, partecipa a progetti dedicati ai giovani e ha una gran passione per la musica contemporanea. Il 10 maggio è stato nominato Direttore Ospite Principale dell' Orchestra I Pomeriggi Musicali con i quali, a settembre, sarà impegnato in due concerti per MiTo: ci siamo fatti raccontare qualcosa di più al riguardo.

Scritto da Anna Girardi il 2 febbraio 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Foto di Lorenza Daverio

Persona eclettica e dalle mille risorse. Ha compiuto gli studi di direzione d’orchestra con il massimo dei voti al Conservatorio G. Verdi di Milano, perfezionandosi con due diplomi di merito presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Ha conseguito il diploma di violino, la laurea in direzione di coro e in composizione. Dirige, compone ed è collaboratore nella preparazione di FuturOrchestra – Orchestra giovanile lombarda – e dell’Orchestra Nazionale del Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili in Italia, un progetto fortemente voluto dal M° Claudio Abbado. Questo è Alessandro Cadario, classe 1979, di Varese. L’abbiamo intervistato in occasione della sua partecipazione a MiTo – l’8 settembre a Milano e il 9 a Torino – con l’Orchestra de I Pomeriggi Musicali di cui è appena stato nominato Direttore Ospite.

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Alessandro Cadario e la Futurorchestra al Teatro Dal Verme lo scorso novembre, per la 71a Stagione Sinfonica dei Pomeriggi Musicali

ZERO: Il 10 maggio sei stato nominato Direttore Ospite Principale de I Pomeriggi Musicali, te lo aspettavi?
ALESSANDRO CADARIO: È stata una cosa molto naturale e consequenziale. I Pomeriggi sono la prima orchestra professionale che ho diretto, sono l’orchestra con cui ho fatto più concerti in assoluto e con cui si è creato negli anni, pur avvicendandosi numerosi direttori artistici, un rapporto di crescita. Questa nomina mi sembra sia arrivata proprio come frutto di tutto questo percorso fatto assieme. In questo senso la sento una cosa abbastanza consequenziale: di tutte le esperienze che ho fatto questa è stata la più continuativa.

Ed è cambiata tanto la tua agenda con questa nomina?
Ci saranno sicuramente più appuntamenti. Sono contento, questa è l’orchestra che più rappresenta il mio percorso, incentrato principalmente sul repertorio barocco/classico e quello contemporaneo. Insieme, a settembre, avremo due date per MiTo, una a Milano e una a Torino, con un bellissimo programma che mi ha proposto Nicola Campogrande: musiche di Johann Sebastian Bach e P.D.Q. Bach che si inseriscono perfettamente nella tematica Padri-Figli su cui è incentrato il festival. Sarà interessante lavorare con i Pomeriggi per far suonare Bach all’orchestra, seppur con strumenti moderni, con un certo fraseggio. Sono molto contento anche che sia un programma molto diverso da quelli di cui mi occuperò in stagione perché farò tutto Prokofiev, uno dei miei grandi amori, e poi un programma super classico con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in sol minore di Saint-Saëns e la Quarta di Beethoven.

E di contemporaneo hai in programma qualcosa?
Faccio un po’ una scorpacciata adesso, tra il concerto del 2 agosto con le prime assolute del balletto per il Comunale a Bologna – che viene trasmesso anche sulla RAI – e la Biennale Musica: sono molto curioso di dirigere questo Flauto tragico, prima esecuzione assoluta su musiche di Roberto Vetrano!

Ci dici qualcosa su P.D.Q. Bach?
P.D.Q. Bach è chiaramente qualcosa di particolare, gioca sull’ironia che è una delle mie cifre distintive soprattutto se si tratta di autoironia. Poi penso che quando si riceve una proposta di programma è fondamentale darle un senso all’interno del programma del festival, soprattutto alla luce di un progetto forte come quello di Padri e Figli proposto da MiTo per questa edizione.

Oltre alle tue serate, cosa ci consiglieresti di seguire in questa edizione di MiTo?
Beh, oltre agli appuntamenti più in evidenza, Campogrande ha avuto questa bella idea di inserire nel festival un aspetto di amatorialità, con un’idea molto sua: ha pensato a degli spettacoli in cui si include il pubblico nei cori, facendolo cantare. Lui vuole recuperare un rapporto col pubblico non solo scrivendo qualcosa di molto piacevole e musicale, ma anche rendendolo attivo e partecipe nei confronti della musica di oggi. Trovo che il fatto di inserire dei potenziali spettatori nel festival sia una scelta coerente con questo modo di pensare, che si sviluppa sia nel suo lavoro come compositore che nel suo lavoro come direttore artistico. Ovviamente non si pretende che tutti facciano un concerto perfetto ma sarà sicuramente bellissimo – queste cose le ho già vissute con Europa Canta – per l’atmosfera, il clima, il coinvolgimento!

Torniamo a parlare del ruolo di direttore: qual è il tuo approccio a un testo musicale?
Vario, perché intervengono sempre diversi fattori. Ma lo scopo rimane lo stesso: farsi delle domande e cercare delle risposte, spesso ripercorrendo il procedimento compositivo a ritroso per “scoprire” come è architettata la partitura. Il compito del direttore è infatti quello di realizzare il progetto musicale scritto sulla carta e trasformarlo in suoni nel massimo rispetto di ogni segno scritto dal compositore. Vi immaginate la responsabilità nel maneggiare tutte quelle note in un pezzo di Mozart, Beethoven o Brahms? D’altra parte, è anche il bello del lavoro del musicista: senza l’interprete l’opera non può completarsi. Sono quindi molto importanti le risposte “operative” che devo indicare ai singoli strumentisti in maniera precisa su come e quanto suonare.

Come ti trovi nell’ambiente musicale milanese? E a Milano in generale?
Stimolato ed elettrizzato dalle diverse occasioni d’incontro, Milano negli ultimi anni è rinata e ora sta vivendo un periodo di grande splendore culturale e di trasformazione urbana che spero continui nei prossimi anni.

Hai qualche “mentore” cui fai riferimento? Qualche incontro speciale?
Prendendo spunto dalle regole di vita musicale di Schumann, ho sempre cercato di frequentare musicisti che ne sapessero più di me, da cui imparare qualcosa. Per fortuna ne ho incontrati molti e con qualcuno è nata anche una bella amicizia. Il primo che ha saputo “coltivare” il mio intuito musicale è stato Lorenzo Arruga al quale sono molto legato tutt’ora insieme alla moglie Franca Cella (che per inciso fa il miglior gelato allo zabaione di Milano). Se devo poi parlare di un incontro “speciale”, premetto che il mio amore per il teatro musicale nasce dopo aver visto concertare e dirigere il M° Muti. Il mio incontro con lui risale a un paio di anni fa: gli dissero che ero un giovane direttore d’orchestra e che avevo appena diretto con successo i Carmina Burana di Orff per i 150 anni della Società del Quartetto di Milano.
Allora lui, guardandomi serio, disse – e qui quando lo racconto dal vivo mi lancio in una imitazione stile Crozza: «Mi faccia vedere come dirige Tanz!» (il brano tecnicamente più ostico della raccolta di Carmina, NdR). La mia espressione di sorpresa lasciò quasi subito spazio alla spregiudicatezza tipica di noi direttori, quindi gli diressi tutto il pezzo a meno di un metro di distanza. Non racconterò il suo commento, lo conservo gelosamente per i momenti difficili.

Quando dirigi, non ti viene mai voglia di “stare dall’altra parte”? Di essere, magari, un primo violino?
Sono stato un po’ di anni “dall’altra parte” e quell’esperienza mi serve ancora moltissimo, ma se devo essere sincero non vedo tutta questa contrapposizione tra le due parti. In ogni caso, per rispondere alla domanda, di certo non vorrei fare il primo violino: troppe note, troppi passi da studiare, preferisco molto di più il secondo violino o anche le percussioni. Ecco, per esempio, che soddisfazione deve essere suonare fortissimo con il martello nella Sesta Sinfonia di Mahler… Però anche dirigerla non è affatto male!

Come dev’essere secondo te il rapporto tra direttore e orchestra? Più autorevole o più amicale?
Autorevole senz’altro, ma non autoritario. Della parola amicale prenderei solo la radice “ama”, che in greco vuol dire “assieme”. Il direttore deve essere assieme all’orchestra e deve aiutarla nel delicato processo di “fare musica assieme”.

Ci parli di FuturOrchestra?
Volentieri, così ho occasione di raccontare un po’ come il progetto del “Sistema” sia una realtà molto attiva a Milano. «¿Qué tocas?», «Cosa suoni?» – mi disse, decisa, una bambina venezuelana con in mano una viola grande la metà di lei. Erano oltre cento i bambini dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Infantile del Venezuela presente al prestigioso Festival di Salisburgo. Vederli all’opera fu qualcosa di unico: per loro suonare uno strumento significa parlare, giocare, sopravvivere, combattere. È così normale chiedere «Che strumento suoni?», come lo sarebbe per un liceale chiedere «Che motorino hai?». Dalla strada, quella pericolosa, dritti a lezione di musica, una medicina che il M° Antonio José Abreu ha messo a punto oltre trent’anni fa ed oggi, il suo Sistema, costituisce un punto di riferimento mondiale. El Sistema cinque anni fa è arrivato anche in Italia sotto il patrocinio del M° Claudio Abbado e qui mi collego alla domanda per dire che l’esperienza lombarda di FuturOrchestra – che ho la fortuna di preparare insieme a Pietro Mianiti – ha prodotto risultati notevoli. La maggior parte dei nostri ragazzi non vive in condizioni paragonabili a quelle dei coetanei venezuelani, ma lo spirito e la forza di questo progetto si spingono ben oltre, anche e soprattutto sulla formazione dell’individuo, nell’affinare in particolare la capacità di relazionarsi con gli altri per poter progettare un futuro insieme: per fare “sistema”.

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Con la FuturOrchestra nel 2012 al Teatro Dal Verme

Quando finisci un concerto, ti rilassi o preferisci svagarti un po’?
È divenuto ormai un rito rilassarmi a fine concerto mangiando sushi nei miei ristoranti preferiti: Basara o Kyo. Mi piacciono i posti silenziosi, a lume di candela, musica leggera in sottofondo: la pace dei sensi!

Locali preferiti a Milano?
Purtroppo non ho molto tempo libero, ma tra i locali imperdibili devo assolutamente nominare Dedans Bar, per l’aria franco-provenzale che si respira a colazione e Un posto a Milano, ottimo per aperitivi e drink e non solo nelle stagioni calde. Ultima piacevole scoperta: il Bar Luce progettato dal regista Wes Anderson: un tuffo nel passato di un tipico caffè della vecchia Milano.

Ci racconti com’è una tua giornata tipo?
Non ho una giornata tipo, perché sono spesso fuori casa per lavoro quindi la mia settimana è scandita dai viaggi frequenti, da tantissime email e telefonate, dagli orari delle prove e dai concerti. Però qualcosa di tipico nella mia giornata c’è: sono un tipo nottambulo, quindi non mi sveglio presto al mattino. Ecco sì, questo aspetto della giornata è decisamente mio e non lo cambierei per nulla al mondo!

Quali sono le attività che ti piace fare a Milano?
Amo il cinema e adoro andare a teatro, in primavera fare qualche pic nic ai giardini di Palestro o al parco della Triennale. Poi mi piace moltissimo cucinare e organizzare a casa lunghe cene notturne con gli amici.

Preferisci i ritmi milanesi o di Varese?
Domanda difficile, dipende: adoro il perenne fermento culturale di Milano, ma a volte sentire i suoni della natura e ammirare il panorama dei laghi dal Sacro Monte di Varese ha il suo perché!