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L’esperienza non-indipendente del Vag61 in Cirenaica

L'evoluzione del centro sociale tra autogestione, autoproduzione e mutualismo

quartiere San Donato

Scritto da Salvatore Papa il 16 novembre 2020
Aggiornato il 6 ottobre 2023

Foto di Michele Lapini

L’esperienza del Vag61, iniziata nel 2003 con l’occupazione di un immobile dei Monopoli di Stato in via Azzo Gardino, continua da 20 anni nel rione Cirenaica del quartiere San Donato. Il centro sociale si regge totalmente sull’autofinanziamento e dà casa, tra gli altri, anche al portale di informazione ZeroincondottaSmk videofactory e OpenDDB.

Ecco cosa ci hanno raccontato.

 

Cos’è il Vag61 oggi e com’è cambiato dalla sua nascita?

La formula che abbiamo scelto per definire la nostra esperienza è quella di “spazio libero autogestito”, perché crediamo sintetizzi bene gli ingredienti principali di questo percorso che dura ormai da più di 15 anni: siamo un centro sociale che tra le sue mura fa materialmente vivere iniziative e progetti, rifiutando le logiche del mercato e del profitto, della cultura omologata, dell’individualismo e del pensiero sessista, razzista e fascista, in connessione con il quartiere in cui ci troviamo e tutto questo prendendo ogni decisione in maniera collettiva e orizzontale, senza gerarchie. Tutte queste sono caratteristiche che fanno parte del dna di Vag61 fin dal primo giorno, ma senz’altro molte cose sono cambiate negli anni. Intanto, in origine Vag61 nacque come mediacenter, ma poi nel tempo le attività si sono maggiormente diversificate, pur essendo ancora presenti diverse esperienze incentrate sull’informazione e la comunicazione indipendente. Allo stesso modo, la progettualità si è molto evoluta nel tempo: alcune attività si sono interrotte o si sono trasformate, molte altre si sono aggiunte. Ma questo è normale, perché l’autorganizzazione ha costantemente bisogno di ripensarsi e reinventarsi. E infine, Vag61 è cambiato e ricambiato anche nell’aspetto: oggi ha il volto di un bellissimo murale realizzato da Ericailcane e Bastardilla.

In questi anni è cambiato anche il concetto di “centro sociale”?

Si è evoluto e si è adattato alle esigenze che nel tempo si sono presentate, ma lo spirito di fondo è sempre lo stesso: ridare vita ad uno spazio inutilizzato, riempiendolo di idee e contenuti, costruendo processi politici, culturali e sociali alternativi alla città disegnata dalle istituzioni e dagli interessi economici. Quello che forse si è aggiunto, nel tempo, è un interesse maggiore verso la possibilità di tessere relazioni all’esterno delle proprie mura, intercettando altre e diverse reti sociali, così come si è accentuata la tendenza ad attivare meccanismi di welfare dal basso per combattere i fenomeni, ahinoi sempre più forti, di marginalizzazione sociale: non si tratta di sussidiarietà né di assistenzialismo, ma di sperimentare nuove forme di cooperazione sociale applicando – anche qui – i principi dell’autogestione, dell’autorganizzazione, dell’autoproduzione e del mutualismo.

Avete ottenuto da poco tramite bando per l’assegnazione dello spazio, un percorso che ha portato alla fine di molte esperienze in città critiche verso questo tipo di modalità. Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a partecipare all’avviso pubblico?

Sull’uso dei bandi non abbiamo cambiato opinione. Credevamo prima e crediamo oggi che questo strumento non sia adatto a valutare la complessità e le peculiarità delle esperienze di autogestione. Come si possono misurare i percorsi di questo tipo con lo stesso meccanismo che viene impiegato per il raffronto tra progettualità finalizzate al profitto economico? Come si possono costringere sulla strada della competizione realtà che vivono di cooperazione e volontariato? Tanto più se per ogni immobile buttato nella mischia, ce ne sono chissà quanti che continuano ad accumulare polvere. Se abbiamo deciso di partecipare al bando, dunque, è solo perché il non farlo avrebbe facilmente consegnato a qualcun altro il pretesto burocratico di accampare pretese sulla fruizione dei locali che rendiamo vivi da anni. Questo avrebbe messo a rischio i tanti progetti che hanno casa a Vag61 e che hanno necessità di poter contare su prospettive concrete per potersi sviluppare: solo per fare qualche esempio possiamo citare il Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani”, Smk Factory e OpenDDB, il Fondo Roversi, il quotidiano online autogestito Zeroincondotta – Zic.it, il cantiere culturale permanente di Resistenze in Cirenaica…

Avete deciso di dichiararvi “non indipendenti”. Perché?

L’indipendenza intesa come autonomia dal mercato, dalla rappresentanza, dall’autorità e dalla cultura mainstream è talmente radicata nel cammino di Vag61 da non poter essere messa in discussione. Questo ci ha consentito, crediamo, di poter proporre una specie di provocazione pubblicando una “Dichiarazione di (non)indipendenza”. Ma da cosa? Semplicemente, dalla realtà che ci circonda, con tutte le sue parzialità e contraddizioni. Perchè i movimenti sociali, per quanto generosi e determinati possano essere, faticano a diffondere il proprio punto di vista e le proprie pratiche: tra alti e bassi, è un dato di fatto e Vag61 non fa eccezione. Dirci non indipendenti, quindi, significa ricordare costantemente a noi stessi che bisogna mantenere un canale di comunicazione aperto con ciò che vive e si muove fuori dal perimetro più strettamente antagonista, se così vogliamo dire. Non indipendenza intesa come non autosufficienza, perchè abbiamo bisogno di intercettare tutte le energie possibili, di risvegliare la partecipazione di una città sempre più indifferente e di portare in piazza chi ha smesso di venirci o (ancora) non lo ha mai fatto.

Sono tante le realtà nate al Vag. Tra le più importanti credo ci sia il portale Zeroincondotta. Com’è messa oggi l’informazione in città?

La risposta secondo noi sta proprio nel fatto che c’è ancora bisogno di un quotidiano online autogestito come Zic. Da quando questo progetto è partito, nel 2007, molte cose sono cambiate nel mondo dell’informazione e non certo solo a Bologna, anzi, sono i cambiamenti globali legati alle nuove tecnologie che hanno ridisegnato profondamente mezzi, tempi e abitudini. Non ci interessa giudicare l’operato delle testate giornalistiche mainstream, ma è indubbio che sia sempre molto ridotto lo spazio che queste riservano a tutto ciò che fa vivere questa città muovendosi al di fuori degli schemi predominanti. E certo non mancano i casi di superficialità o di evidente ostilità. Così come molte problematiche profonde, spesso, sembrano finire sotto il tappeto mentre certi cavalli di battaglia sembrano immarcescibili: ma davvero il problema principale di Bologna sono le scritte sui muri? Perchè a volte così sembra, sfogliando pagine su pagine di giornale. Poi non si può non tenere presente lo spazio enorme conquistato dai social network, che senz’altro moltiplicano la possibilità di informarsi e di comunicare ma producono anche confusione e fake news. Ecco, restano dunque ancora necessari i progetti editoriali indipendenti che esistono in città e tra questi anche Zic che, tra mille difficoltà e con tutti i suoi limiti, punta a fornire un prodotto giornalistico prima di tutto libero ma anche affidabile. E lo stesso vale per Smk Factory e OpenDDB. Ma parlando di questi temi, ci sembra significativo citare anche la scelta di veicolare gli aggiornamenti sulle attività di Vag61 su Mastodon e cioè un social network autogestito, decentralizzato, gratuito e open-source.

Come descrivereste il quartiere San Donato? Quali sono le caratteristiche del suo tessuto sociale e culturale?

È quasi impossibile rispondere, perchè parliamo di una parte di città così ampia e variegata che difficilmente si può trovare una sintesi efficace. L’esperienza di Vag61, ad esempio, si è sviluppata soprattutto all’interno del rione Cirenaica: un’area vicina al centro, con un’identità abbastanza forte e una storia alle spalle, vivace dal punto di vista culturale e relazionale. Ma la Cirenaica è anche un quartiere in profonda trasformazione, che al suo interno vede convivere caseggiati di edilizia popolare e prezzi in ascesa per l’affitto o l’acquisto di appartamenti, un’area che avrebbe bisogno di più verde e invece vede aumentare il cemento. Ma del San Donato fa parte anche una realtà come il Pilastro, che abbiamo iniziato a conoscere meglio grazie alle attività della Colonna solidale autogestita: altra identità, altra storia alle spalle, altre complessità, altre ricchezze da difendere dagli sciacalli al citofono e da scoprire.

Quali i vostri servizi rivolti al quartiere e perché vi sentite così tanto legati ad esso?

Nel termine servizi non ci riconosciamo. Non è Vag61 a fornire qualcosa al quartiere, ma è Vag61 nel quartiere che costruisce legami. In questo senso, dal quartiere riceviamo molto e cerchiamo di restituire quello che ci è possibile. Vale, intanto, per le occasioni di socialità e cultura che, pandemia a parte, il nostro spazio propone ogni settimana e in forma sempre gratuita. Poi, ovviamente, un altro esempio che si può fare è quello della Colonna solidale autogestita a cui abbiamo già accennato in precedenza. Oppure c’è l’esperienza della palestra popolare che su iniziativa di Vag61 è nata in un seminterrato del centro di accoglienza Beltrame e che ora dopo molti anni, a causa delle restrizioni dovute al Covid, è dovuta ricorrere a spazi più ampi visto il consistente numero di iscritti. Perché siamo così legati al nostro quartiere? Perchè la Cirenaica non sarebbe la stessa senza Vag61 e Vag61 non sarebbe lo stesso senza la Cirenaica.

Quali secondo voi i simboli del quartiere?

Se parliamo sempre della Cirenaica, ovviamente le sue strade e i nomi che esse portano. Per chi non lo sapesse, il rione si chiama così perchè fino al 1949 le intitolazioni delle strade celebravano le criminali conquiste coloniali dell’Italia. Poi, dopo la seconda Guerra mondiale, in un solo colpo tutta la toponomastica del rione (fatta eccezione per via Libia) fu cambiata in favore dei caduti partigiani durante la Resistenza: da via Cirene a via Francesco Sabatucci, da via Tripoli a via Paolo Fabbri, da via Zuara a via Massenzio Masia, da via Derna a via Sante Vincenzi, da via Due Palme a via Mario Musolesi e così via. Le strade della Cirenaica, così, raccontano una doppia resistenza: quella condotta in Africa contro il colonialismo italiano e quella in Italia contro il nazifascismo. Una ricchezza storica e culturale incredibile, che il progetto Resistenze in Cirenaica indaga e narra ormai da diversi anni. Come simbolo del quartiere in cui vive il nostro spazio, libero e antifascista, non potremmo immaginare di meglio.