Ho incontrato Luca Trevisani a Chicago poche settimane fa: ha presentato in anteprima mondiale il suo ultimo film, Sudan, prodotto dallo Schermo dell’Arte e invitato dall’Istituto Italiano di Cultura in occasione dell’Expo, la fiera dell’arte. Sudan, che sarà proiettato in anteprima europea a Firenze a fine novembre, racconta l’ultimo rinoceronte maschio della sua specie attraverso la descrizione minuziosa della sua carne, della sua storia e della cura che gli viene data e con rimandi storico culturali su arte e natura. Così, in vista di un suo momentaneo rientro in Italia per la personale da Marsèlleria – dal 27 ottobre al 25 novembre -, di cui l’ultimo film rappresenta il focus (ma si potrà vedere soltanto dal 23 novembre), gli abbiamo fatto un’intervista. Luca si racconta attraverso la poetica delle sue azioni quotidiane, tralasciando il suo percorso, soprattutto quello passato su cui tace ostinato, chiudendosi bartlebianamente in un I would prefer not.
ZERO: Luca, partiamo dal progetto più fresco che hai sviluppato: sei contento di esporre a Milano delle tracce di un’esperienza forte come quella del Kenya? Non è la prima volta che lavori con Marselleria, significa che ti sei trovato bene? Come vi siete conosciuti?
Luca Trevisani: Il Kenya è stato un’esperienza molto forte, e sono molto contento di aver avuto con me Giovanna Silva, Davide Giannella, Gianluigi Ricuperati e la mia troupe.
Marsèlleria è la piccola Kunstverein di Milano, e Mirko Rizzi ha un’energia vulcanica, non è difficile finire nelle trame di quel che accade in Via Paullo e in Via Rezia. Facile che quindi molta della Milano e dell’Italia di qualità siano passate in queste stanze.
Tanti anni fa curai una piccola mostra su suo invito, ma ti mentirei se ti dicessi che mi ricordo come mi contattò… era la prima o la seconda mostra di Marsèlleria, sono trascorsi diversi anni luce, poi negli anni ci siamo seguiti a distanza, ho sempre apprezzato il suo sostegno incondizionato verso gli artisti in cui crede, a Milano come a Bologna per Live Arts Week con Xing, e dio sa dov’altro.
Vorrei ritracciare il tuo percorso. Non per metterti alla prova, ma per chiarire quel pensiero molto italiano che un artista deve classificare la propria opera assolutamente in un unico media, senza mai poter cambiare. Chi fa performance deve fare solo quello; chi fa il pittore deve dipingere e basta; e così via. Tu hai avuto un esordio nell’arte contemporanea già in prima linea da molto giovane lavorando per una galleria privata, ed eri riconoscibile per opere prettamente scultoree. Poi il tuo linguaggio si è velocemente ampliato con installazioni visive, film, materiale fotografico. Mi racconti questa evoluzione?
Cambio rimanendo me stesso. L’evoluzione non è nella variazione, o nelle novità, ma in profondità: ho lavorato portando alle logiche conseguenze ciò che avevo iniziato a fare una dozzina di anni fa. Se guardi il mio lavoro nella sua logica trasformazione vedi che si sono aggiunti o si sono modificati gli strumenti, i modi, ma gli interessi, gli atteggiamenti e le cose da dire sono rimasti sempre le stesse. Scrivo, faccio sculture di due dimensioni lavorando con lo scanner e la fotografia, sculture di tre dimensioni con materiali effimeri e meno effimeri, e sculture di quattro dimensioni con i video e film.
Hai vinto diversi Premi e residenze in Italia, come il Furla o, l’anno scorso, l’ArteVisione con il film Cerchio in Europa e il mondiale New York Prize. Che premi hai vinto? E a quali residenze hai partecipato? Credi che siano state utili queste esperienze sia a livello umano, che lavorativo? E per quanto riguarda il sistema?
I premi vanno bene se li usi per guadagnare sicurezza in quel che fai. Alla fine questa non è una gara, e se proprio lo è allora è una maratona. A ognuno i suoi 42 km e a ognuno il suo ritmo, corriamo solo contro noi stessi
Quando ti ho conosciuto eri in residenza al Bethanien a Berlino. E ora vivi ancora lì? Ci sei rimasto da allora o ci sei tornato per viverci definitivamente?
Definitivamente non mi si addice, diciamo così. Vivo a Berlino si, ma insegno a Venezia allo Iuav, e rimbalzo e rotolo tra un mostre e progetti passando spesso da Milano, e da Palermo. Vivo un po’ qui un po’ la. E accumulo libri in quasi ogni tappa.
10 anni fa Berlino era una super meta per artisti, critici, curatori e appassionati d’arte. Lo è ancora, ma ha la stessa vitalità? Quali sono le differenze – lavorativamente parlando – tra la e qua, l’Italia? E, da borderline perché stai in Germania, come la vedi Milano dal punto di vista del contemporaneo?
Berlino cambia pelle come un serpente, sembra sempre in stato catatonico ma sotto sotto è agitata come un ipercinetico. La Berlino dell’arte produce immaginari, li difende e li esporta, con faccia tosta e sano dirigismo. Milan l’è un gran Milan. Non ho capito bene perché borderline, dici che è pericoloso? Non me l’aveva detto mai nessuno prima… hai per caso visto il mio rinomato desktop disordinato?
Quando vieni in Italia quali sono le città dove solitamente vai? E, in queste città, che luoghi frequenti? Quali concerti, mostre, film, libri? Dove vai con gli amici? E, a questo punto, ti chiedo: quali sono i tuoi amici?
Vado al cinema tutte le volte che posso, e adoro andare al cinema da solo. Nelle librerie vado per pensare, anche senza sfogliare una pagina, posso starci ore intere, è come avere uno studio diffuso in ogni dove. Che luoghi frequento: con Mario vado Al Bottegon, con Alfio al Mono, con Ghedo un po’ in tutti i bar di Bologna, con Davide da Cucchi o al Coloniale, con gli altri al Basso a ber quel che consiglia Maurizio, poi a mangiare al cinese di Via Padova fin da quando ha aperto, sempre viva alle melanzane in tegamino!
Un’ultima cosa alla Zero: a Milano, oltre Marsèlleria, quali spazi pensi facciano ricerca? E musei etc?
Prada, L’istituto svizzero, Mega, M¥SS KETA, Fantaspazio, Gluck, HangarBicocca, il ping pong dei Reduci di Porta Volta, O’ Artoteca, Amedeo Martegani, la Bottega del Gelato di Loreto …
Dove andrai a bere dopo la mostra?
Al Victoria Bar.