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Manfredi Brunelli Bonetti

Understatement, degrado e arte contemporanea

quartiere Calvairate

Scritto da Michele Clausi il 22 ottobre 2021
Aggiornato il 12 novembre 2021

Foto di Fabrizio Albertini

Aggirandomi tra i resti dell’ultima mostra in fase di disallestimento ho seguito Manfredi, fondatore di Avantgarden, la più famosa galleria di Milano dedicata all’Urban Art, in un percorso che ha spaziato dall’arte al quartiere e ritorno. Lungo la strada, ho scoperto come a volte i motori di ispirazione degli artisti possano trovarsi nei posti più impensati, proprio in mezzo a quelle che – da occhi comuni – vengono viste come zone di puro degrado.  

«Dei francesi una volta mi hanno detto “Manfredi, questa roba qua neanche nelle banlieue l’abbiamo vista mai”.»

 

Siamo qui all’Avantgarden Gallery con Manfredi, fondatore e curatore dello spazio, a parlare della location Calvairate, quindi la prima domanda è d’obbligo: com'è che sei finito ad aprire una galleria a Calvairate?

In realtà avrei dovuto aprire in via Solferino, era tutto pronto quando ci fu una perdita d’acqua che fece molti danni, sai, quando arrivano  i periti dell’assicurazione i tempi si dilatano all’infinito e allora ho ripiegato qui a Calvairate, più che altro perché qui avevamo alcuni spazi di famiglia, di conseguenza gioco in casa.

E come lo vivi il rapporto col quartiere? C'è interazione tra la galleria e il quartiere, in qualche modo?

Ci sono sicuramente dei piccoli giornali che si interessano alle cose che faccio. Io non so poi se il quartiere viene qua perché tutte le volte, cambiando genere di artisti ci sono target molto diversi: ad esempio, all’ultima mostra – di Mosa – c’era un target molto più giovane del solito, venivano da Macao quindi magari c’è stata effettivamente un’interazione, però è la prima volta che vedo un pubblico così giovane. Di solito riesco a portare un target un po’ più adulto, un po’ più maturo, un po’ più in linea – diciamolo – col cliente di una galleria. Invece quello di Mosa è stato un vernissage molto particolare perché di miei amici, del mio pubblico abituale, anche a causa del Covid – non c’era nessuno. Mi sono ritrovato in galleria con la curatrice e sono passati due amici-artisti e basta! Tutti gli altri erano nuovi.

Io ricordo il vernissage di 1Up e c’era tanta gente e molto eterogenea...

A quell’evento Calvairate è venuta perché c’era tutta Milano. Per forza è venuto anche qualcuno da qua… In effetti in quella occasione io ho potuto vedere sotto lo stesso tetto writer di quasi tutte le zone di Milano, cosa che di solito nelle gallerie non succede. Non c’è tutta questa affluenza, invece saranno passate 1500 persone, quindi bene o male è arrivato qualcuno da tutte le zone della città.

Ci racconti un po’ di più di questa ultima mostra di Mosa?

Ho conosciuto Mosa quando è venuto di persona a Macao dove ha fatto una mostra, ovvero ha realizzato una scenografia in soffitta (nella soffitta di Macao, ndr) e una performance, dentro il macello con tutto il tema del rosso, una roba molto interessante. E lui in quella occasione si è innamorato di questi capannoni dismessi che ci sono di fianco a Macao e allora ha voluto riportare l’atmosfera che si creava lì all’interno della galleria, per creare un luogo dove ci sono queste reliquie e vari esploratori che vengono da momenti diversi ad esplorarle. Quindi diciamo che questo allestimento ha come riproposto all’interno della galleria quello che all’esterno è il degrado di Calvairate. Non abbiamo fatto altro che andare a prenderci le reti (uno degli elementi chiave dell’allestimento erano appunto queste grandi reti metalliche, ndr) dalle aree dismesse e portarle dentro. Anche molti degli oggetti che componevano l’allestimento provengono dal quartiere perché sono stati trovati nella parte più “selvaggia” del mercatino di piazzale Cuoco.

A parte quello che si vede in galleria, invece di street-art in giro per il quartiere se ne vede poca…

Se parliamo di street-art, diciamo che purtroppo siamo costretti a contestualizzare le istituzioni all’interno, quindi quando qualcuno verrà qua e mi chiederà di partecipare alla realizzazione di muri io lo farò volentieri. Ci ho provato per un po’ di tempo, ma ho riscontrato più che altro muri faccia e non ho più voglia di andare io a fare proposte in Comune o mettermi in gioco per queste cose.

Si vede però anche poca di street-art ”spontanea”, quella anche un po' illegale. Ad esempio, in zona Ticinese, stickering, poster, invece qui non c’è nulla, anche di graffiti se ne vedono veramente pochi. Qual è il tema? Manca la cultura in quartiere, non ci sono writer attivi sul territorio?

È un quartiere molto residenziale, 10 anni fa il 40% delle macchine che andavano in giro erano delle Punto grigie con dentro un signore con la coppola…  quindi io penso che sia anche per questo: la street-art va dove c’è più pubblico, più audience, di conseguenza preferiscono andare in Ticinese: preferiresti stare su La7 a mezzanotte o su Rai1 alle 8 di sera?

Ok, però c’è un po’ questo mito dell’arte di strada che nasce nei quartiere di periferia…

In realtà qui in fondo alla via c’era uno degli hall-of-fame (graffiti realizzati da writer famosi, con un alto livello artistico e  qualitativo, realizzati solitamente su superfici autorizzate, ndr) più storici di zona che è stato poi baffato (coperto, ndr) da nuove attività. Io ho ancora un paio di spazietti su quel muro, si potrebbe ricominciare a dipingerci, ma le attività che ci sono di fronte poi lo individuerebbero come il degrado e il brutto perché sono comunque graffiti… 

Quali sono invece secondo te le cose più interessante che offre il quartiere?

Ce ne sono tante, ad esempio gli orticelli dei vecchietti, il parco, ma soprattutto l’ortomercato di sabato per me è una delle cose più interessanti di Milano, dove ho cominciato a vedere anche la sciura con la Vuitton. Non dalla parte della verdura, dove devi comprare le casse e devi essere abbastanza organizzato, ma la parte del pesce e della carne. Lì la sciura con la Vuitton ormai è una presenza fissa. Quindi secondo me il futuro del quartiere è di diventare abbastanza posh.

Quindi adesso che ci sono finalmente dei piani esecutivi di riqualificazione dell'ex-macello, secondo te andiamo incontro a un rischio concreto di gentrificazione del quartiere?

Assolutamente, succederà per forza. È già in atto da quando è arrivata Miuccia con la Fondazione, il macello, poi qui in fondo alla via apriranno lo scalo ferroviario di Porta Romana e sarà la nuova zona dove cresceranno i boschi verticali.

Però finora a Calvairate, a differenza di altri quartieri dove l'hype viene anche proprio molto coltivato, qui si è sempre mantenuto un certo understatement.

Diciamo che da quando è uscito Siamo le ragazze di Calvairate, da lì in poi hai cominciato a sentire questo nome…

A me è successo di nominare il quartiere anche a dei milanesi, e pensavano che fosse nella periferia profonda, mentre invece siamo a due passi dal centro. È successo anche a te quando dicevi dove era la tua galleria?

Io non sapevo neanche di stare a Calvairate [ride]. Ho imparato ultimamente, prima dicevo ”tra Porta Romana e Corvetto”, dicevo Porta Romana a essere eleganti, oppure Corvetto per essere più veraci. Se ci pensi c’è una via tra la periferia galoppante e il centro storico, Porta Romana essendo così lunga e tagliando arrivi a quella che sembra una periferia, circoscritta dall’ortomercato e dal passante ferroviario. Non essendosi sviluppata la città in quella parte, ti trovi ad avere una zona più periferica però vicino al centro che looks like periferic but it’s not.

Wanna be periferic, anche se qui a Calva manca proprio l’atteggiamento wannabe…

[ride] Sì, certo, lasciamo le etichette ad altri…

Prima, parlando dell’allestimento di Mosa, hai citato il mercato di piazzale Cuoco, mi sembra di capire che sia un luogo a te abbastanza caro, vero?

Certo, è un’altra eccellenza del nostro quartiere che mi piacerebbe molto riaprisse.

Ha già riaperto, da poco…

Allora domani so cosa fare [ride]. Io grazie a quel posto ho fatto parecchie mostre, nel senso che portando degli artisti in quel posto gli ho visto proprio brillare gli occhi, sia per la ricerca delle ispirazioni che e per la ricerca del materiale. Dei francesi una volta mi hanno detto “Manfredi, questa roba qua neanche nelle banlieue l’abbiamo vista mai”. Il parrucchiere, ho visto anche qualcuno mettere a posto i denti, se non mi sbaglio,  forse è una mia reminiscenza dell’India…  Però c’è un po’ di tutto e questo è veramente rassicurante, c’è spazio.

È un posto che anch'io trovo assolutamente affascinante, invece dal quartiere è visto molto molto male.

Beh certo, quando tu trovi su una bancarella un’intera casa che comprende anche gli skateboard dei bambini, lui e lei, quello rosa di lei e quello azzurro di lui, io capisco che il quartiere sia un po’ restio a integrarsi con una realtà del genere. Sai, a noi piace l’underground, di conseguenza è un posto che adoro.

Lasciamoci con un appuntamento in galleria per la prossima mostra, cosa hai in cantiere nell'immediato futuro?

Nel futuro c’è una mostra di Marco Grassi, che si terrà nei prossimi mesi, ancora in data da definirsi, come vedi ci sono ancora i lavori in corso.