Non è un meccanismo certificato ma il lavoro, soprattutto in ambito culturale, riesce a esercitare una presa più o meno dolce anche sul resto della nostra vita. La traghetta verso di sé, facendoci attraversare cambiamenti necessari di spazi, tempi e persone, sia su lunghe che brevi distanze, anche all’interno della stessa città. Parte da qui la storia di Marta, coordinatrice mediazione culturale presso Pirelli HangarBicocca da oltre dieci anni.
«Facciamo parte della mission stessa che è art to the people.»
Iniziamo con una passeggiata nel viale dei tuoi ricordi.
Io sono di Milano, nata, vissuta, cresciuta qui, praticamente non mi sono quasi mai spostata. Prima vivevo a Chinatown, ho studiato storia e critica dell’arte alla Statale di Milano e poi sono entrata nel vivo dell’arte contemporanea attraverso uno stage universitario per una piccola galleria d’arte in via Lecco e lì ho fatto due anni occupandomi un pochino di tutto. Nel 2010 ho collaborato per la prima volta con Pirelli HangarBicocca, lo spazio era diverso, c’era ancora un ingresso a pagamento e io seguivo quella parte, accoglievo il pubblico e indirizzavo verso le mostre. Mentre dal 2013 ho iniziato come mediatrice culturale, ormai sono dieci anni che lavoro qui e adesso sono anche la coordinatrice dello staff di mediazione quindi mi occupo dei turni, dell’organizzare degli orari di apertura ma, prevalentemente, sono in sala a disposizione del pubblico.
Lavorare qui ti ha portata anche a vivere nella zona.
Sì, io vivo e lavoro nel raggio di due chilometri, non proprio a Bicocca ma a Segnano che è subito dopo – vicino al Fuori Mano – e il 90% della mia vita adesso è proprio qui nel quartiere, anche se i primi mesi che mi sono spostata ero abbastanza destabilizzata dal passaggio. Però Segnano è diverso da Bicocca, c’è proprio una linea di confine perché è ancora “vecchia milano”, con i piccoli negozi, le botteghe, ci si conosce tra di noi e si avverte la cesura di quando si arriva a Bicocca che invece è un quartiere molto razionale, un progetto architettonico unitario…quindi sì, all’inizio ha significato cambiare un po’ ambiente e abitudini però mi sono ambientata in fretta e adesso sono molto legata alla zona.
E dentro Bicocca si trova anche il centro della nostra conversazione: Pirelli Hangar Bicocca. In dieci anni di lavoro al suo interno sono cambiate tantissime cose e sono passate numerose mostre. Quindi vorrei partire, prima di tutto, dal tuo rapporto con l’arte in questo spazio. C’è qualcosa nel viverlo così tanto e restare immersa in questa tipologia di mostre avvolgenti e installative, che ti ha in qualche modo segnata?
Molte cose. In generale è un lavoro che ritengo privilegiato perché abbiamo continui contatti e momenti di formazione sulla mostra e intorno ad essa, quindi non è solo vivere la mostra da quando inaugura a quando chiude ma è un lavoro che iniziamo qualche mese prima, entrando in contatto con le curatrici e i curatori, con le figure che collaborano al progetto e spesso con gli artisti stessi. Molti di loro sono generosi e amano raccontare il loro lavoro, quindi è molto bello perché non ci viene calata la mostra dall’alto ma abbiamo un pochino questa fortuna di ascoltare direttamente chi ci lavora.
Per quanto riguarda me personalmente il mio rapporto con l’arte viene da una formazione storico artistica, e poter proseguire e approfondire da anni in questo in questa direzione mi rende felice. Ci sono mostre che ho molto amato…
Tipo?
Philippe Parreno, Joan Jonas e quella di Ragnar Kjartansson che era molto poetica. Tra le più recenti ho sentito molto la mostra di Steve McQueen.
E i ragazzi e le ragazze che lavorano con te come mediatori e mediatrici culturali, come trovi l’evoluzione dell’approccio?
La maggior parte dello staff ha una formazione storico artistica, sono tutti e tutte laureati o laureandi, che arrivano qua spesso perché questo a Milano è un po’ uno dei punti di riferimento dell’arte contemporanea quindi, se c’è la volontà di entrare in questo mondo a livello lavorativo, sicuramente la mediazione culturale qui è un primo step che ti permette di vedere com’è stare dietro le quinte di uno spazio così grande e articolato. Abbiamo uno staff che è rimasto più a lungo, altri che sono solo di passaggio, questo dipende dalle esperienze personali di ciascuno però diciamo che, se sei a Milano e studi nell’ambito, inevitabilmente prima o poi entri in contatto con questo luogo.
Invece il pubblico? Pirelli HangarBicocca è un’istituzione privata che però ha tante velleità che caratterizzano gli ambienti pubblici, si interfaccia e investe tantissimo sul pubblico. Come sono?
Ovviamente il nostro è un pubblico trasversale, abbiamo di tutto: da personalità del mondo della politica che fanno visita, manager della Pirelli che portano ospiti, visitatori del settore dell’arte, visitatori stranieri, famiglie con bambini, insomma è molto variegato e il ruolo del mediatore culturale è funzionale a questo: è un servizio che è sempre nello spazio ed è accessibile a tutti, a chiunque voglia aprire un dialogo sull’arte e sulle mostre in corso ci trova lì: facciamo parte della mission stessa che è art to the people.
E lo fanno serenamente?
Sì, noi non ci imponiamo mai, non andiamo mai dalle persone a chiedere se vogliono informazioni, siamo discreti ma nel corso degli anni la consapevolezza di avere uno staff nello spazio che è a disposizione del visitatore si è radicata nel pubblico e nell’identità stessa del luogo. E poi non è mai un’informazione che diamo fine a se stessa ma impostiamo un dialogo, incentiviamo le persone a sviluppare una loro idea su quello che stanno vedendo e vivendo. Un’altra cosa bella che succede è che persone che non si conoscono si aggregano per ascoltare il nostro racconto e iniziano a confrontarsi tra loro sulla mostra.
Incentiviamo un pensiero critico insomma, poi finisce sempre che le persone si aprono e ti raccontano delle loro esperienze personali, un po’ di anni fa arrivavano tanti neofiti dell’arte che magari erano figlie e figli dei dipendenti Pirelli che erano incuriositi dal fatto che ci fosse questo spazio industriale riqualificato.
A proposito di mostre con un grande pubblico ci chiedevamo della mostra di Bruce Nauman, che ha attirato davvero grandi masse molto diversificate. Come è stata vissuta da parte del pubblico? Che cosa ha generato questo interesse?
Sicuramente la partecipazione attiva al lavoro di Nauman è stata un fattore importante, nel senso che i corridoi e le stanze che lui creava vivevano in relazione con il pubblico e questo elemento sicuramente chiama molto. Anche se devo ammettere che ultimamente il richiamo di ogni nostra mostra è forte, da quelle più partecipative a quelle più contemplative, la gente le vive come appuntamenti fissi in cui tornare.
Quindi questo luogo ha avuto davvero una presa sul quartiere portando avanti la scelta di radicarsi e svilupparsi qui, anche se inizialmente era più che altro una cattedrale nel deserto.
Il ruolo attivo di Hangar rispetto al quartiere è innegabile e lo notiamo soprattutto nel weekend, considerando che il quartiere della Bicocca vive tanto dal lunedì al venerdì tra università e uffici, però noi abbiamo tante persone che vengono il sabato e la domenica, che si danno appuntamento qui come luogo di ritrovo. Non solo del quartiere ma proprio a livello cittadino.
Però è un posto in cui scegli di venire, è molto difficile che le persone ci capitino a caso passeggiando per il quartiere, anche se è successo anche quello.
Proiezioni di futuro rispetto a un quartiere così in evoluzione e quasi indefinibile ad oggi?
A me piace immaginarlo sempre più attivo, in una evoluzione continua capace di migliorarsi da un punto di vista culturale, magari con una rete tra le varie realtà che lo popolano e che forse ad oggi restano un po’ isolate tra loro.