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Olé Festival: l’editoria che esplode dal basso

L'intervista al collettivo che da tre anni organizza all'interno di XM24 la tre giorni di auto produzioni, editoria indipendente, workshop, mostre, incontri e musica.

Scritto da Andrea De Franco il 23 maggio 2019

Attività

Collettivo

Da tre anni anche Bologna ha il suo festival di autoproduzioni: si chiama Olé, un punto d’incontro e di dibattito tra lettori, editori, autori, infoshops e centri di documentazione nato ed evoluto in simbiosi con XM24. Il tema della nuova edizione (dal 24 al 26 maggio) è REBUS, un invito a uscire dalla binarietà semplicistica dei messaggi mediatici e commerciali per approdare alla comprensione di un disegno ben più complesso attraverso un linguaggio laterale che qui trova espressione tra presentazioni, laboratori e performance, attorno ad una mostra-mercato affollatissima di realtà provenienti da tutta Italia.
Ne abbiamo parlato con loro.

 

Partiamo come sempre dalle presentazioni: chi siete?

Olé è un collettivo nato direttamente con l’intento di organizzare il festival dentro XM24. Alcuni di noi vivevano già attivamente lo spazio, per altri è stata l’occasione giusta per mettersi in gioco. Siamo un gruppo eterogeneo e senza confini, chiunque può farne parte, basta la voglia di darsi da fare e avere tanto da dire, mostrare, urlare.

Olé fa parte di una compagine di festival sparsi su tutto il territorio - Crack, Borda, Ratata, Afa, UE', Caco eccetera - che hanno molto a cuore attivismo e inclusività. In questo momento piuttosto fragile quale pensate che possa essere il ruolo di un festival come il vostro?

Il proliferare di questi momenti di scambio dimostra la necessità che se ne ha, sia per gli artisti e le artiste che per gli editori e le editrici, gli amatori e le amatrici, i/le librai* indipendenti e qualsiasi figura possa gravitare intorno al mondo delle produzioni, e delle arti visive tutte, indipendenti. Probabilmente ciò nasce dal bisogno di vivere la creatività con la libertà necessaria, liberi da vincoli commerciali e capitalistici che troppo spesso hanno portato in Italia, e non solo, a creare delle élite proprio laddove sarebbe dovuto nascere un modo per contrastarle. Questi meccanismi portano all’appiattimento dei contenuti, alla paura di esporre il proprio pensiero critico o semplicemente al doversi omologare a formati, stili, correnti “che vendono”, “che piacciono”, che stan bene sugli scaffali delle librerie, tutti uguali come soldatini, prodotti che turbino il meno possibile. Ma cosa rimane dell’arte se la si spoglia del potere del perturbante? L’arte è sensuale, misteriosa, riottosa. L’arte urla dove il resto sussurra e viceversa. E l’arte, soprattutto, apre costantemente finestre verso mondi altri, ci invita ad esplorare e capire il linguaggio di cioè che è altro da noi e in fine a chiederci “io, cosa ho da dire?”.
Crediamo che questi festival siano dei lunghi respiri di sollievo, dei cortili in cui spalancare le proprie finestre. Necessari a ritrovare l’energia per avere sempre uno sguardo nuovo, radicale, a reinventarsi e ricordarsi che la cultura è una festa e anche il letto in cui andrai a riposare dopo.

Ho sempre trovato curioso che Bologna abbia "trovato" il suo festival di autoproduzioni così di recente. Ho immaginato che abbiate creato Olé con lo scopo di rimediare a questo "vuoto"...

Ci hai azzeccato in pieno. Condividevamo tutti e tutte la voglia di creare un festival nella città in cui viviamo e ci siamo formati. Avevamo la fortuna di vivere uno spazio in cui tutto questo era possibile nella sua forma migliore, dovevamo solo farlo. E così è stato. Le motivazioni sono quelle spiegate anche nella risposta precedente. In più questo “vuoto” proprio a Bologna, rimbombava in modo assordante.
Bologna è stata, soprattutto tra gli anni ’70 e ’80, la culla di una controcultura delle arti potentissima. Ancora oggi moltissim*, sia nella musica che nelle arti visive, vi approdano spinti dalla voglia di sperimentare, di ritrovare un ideale “Traumfabrik” sempre aperta a tutti e tutte.
Ci sono altre occasioni nelle quali in città vengono parlati gli stessi linguaggi che ritroviamo ogni anno durante Olé. Il festival di Olé è, come tante altre, una scatola vuota. Olé è uno spazio fisico e mentale dove la politica, la socialità e la creatività ne rimodellano ogni anno le pareti stesse. Siamo stati mossi da una voglia pazza di dare il via a questo matto giro di giostra, seguendo valori e metodi che pensiamo siano fertilizzanti per nuove visioni critiche e feconde di ciò che ci circonda.

Dalla prima alla seconda edizione il festival è letteralmente esploso. Cosa vi aspettate da questa edizione?

Che non esploda letteralmente?

Nel vostro programma c'è molto spazio anche ad eventi collaterali rispetto all'autoproduzione, ce ne volete parlare? Quanto ritenete importante la "multimedialità" di Olé?

La multimedialità è un tema molto vivo in quest’edizione. Ci hanno abituati a pensare che i prodotti culturali siano frammentati in una miriade di sottogeneri, sottocategorie, milioni di etichette. Di fronte alla catalogazione delle forme espressive, la multimedialità e la transmedialità riportano su di un piano ibrido la discussione dei contenuti. La cultura è materia fluida, e come tale può e deve trasformarsi in tante forme diverse. Quest’anno abbiamo scelto di non parlare solo di editori indipendenti ed autoproduzioni, ma anche di altri linguaggi che esprimono con altri mezzi delle tematiche a noi care. Ad esempio proponiamo mostre fotografiche e audiovisive. La domenica allestiremo in sala grande uno spazio ad hoc per performance ed interventi sonori. Il programma è molto vario, come le individualità che lo attraverseranno nei tre giorni. Ci piace pensare che seppur non condividiamo lo strumento – il pennello, la camera, il microfono, la penna – almeno durante il festival ci ritroviamo a condividere i principi cari ad Olé e a XM24.

Ho l'impressione che XM24 non "ospiti" il festival, ma anzi che siate a casa, quasi che non sarebbe possibile farlo altrove. Cosa vuol dire per voi riempire XM di artisti e realtà editoriali ora che lo stabile sembra più minacciato che mai?

Xm24 è casa e il festival non potrebbe essere altrove. Avere l’occasione di riempirlo di artisti è per noi importantissimo, proprio perché diffidiamo delle forme di espressione costrette a “limitarsi” agli spazi a loro imposti dal mercato o dal “buon costume”. Vederle poi esplodere è motivo di gioia infinita. È un po’ – come in certi riti Dionisiaci o pagani – un lungo acting, in cui lo spazio, gli espositori e il pubblico partecipano a pari merito. Un rito per ricordarci che i limiti esistono solo per chi ne ha paura. E in momenti come questi, di collettività, di costruzione positiva e di resistenza, si ha la riprova di quanto XM24 e tutti gli spazi di libera aggregazione e azione (antifascista, antisessista, antispecista e antirazzista) siano necessari alla comunità. Pensiamo quindi sia necessario che tutti e tutte, ovunque, abbiano un posto da chiamare casa come noi. Dove resistere, esistere, esprimersi ed esplodere dal basso.