Matteo Pizzo – in arte Omen – è uno dei graphic designer più contemporanei in circolazione. Da smanettone di Photoshop da adolescente a punto di riferimento per tanti artisti musicali e grandi brand, ci siamo fatti raccontare di più del suo percorso. Dalla sua capacità di restare fedele alla spontaneità a quella di lasciarsi ispirare dalla vita.
“L’ispirazione più grande la prendo dalle situazioni che mi circondano, da quello che mi accade.”
Ci racconti qualcosa di te e della tua storia?
Sono nato a Bolzano, una città di 100.000 abitanti, dove per giovani o creativi è difficile avere spazio. A 17 anni ho iniziato ad approcciarmi al mondo digitale, iniziando a smanettare su Photoshop, creando composizioni di vario tipo.
Hai presente quando una copertina di un album non ne rappresenta a pieno il contenuto? Ecco, io ho iniziato cercando di dare una mia visione a varie cover musicali.
Con il passare degli anni sono riuscito a farne un lavoro, riuscendo a lavorare per molte major in Italia, e seguendo processi creativi per artisti come Achille Lauro, Silent Bob, Random, Annalisa, e molti altri. Nell’ultimo anno ho potuto seguire anche una campagna per Lavazza, e dei lavori per Versace, OttoD’Ame e Manila Grace.
Partiamo dal tuo lavoro: come funziona la testa di un graphic designer? Abitudini, ricerca? Come inizia ogni volta un nuovo progetto?
Credo che la mia testa non sia mai stata in grado di seguire un vero e proprio modus operandi, già durante il periodo scolastico non sono mai riuscito ad avere una routine di lavoro o di studio. Generalmente faccio molta ricerca, ho una piccola libreria personale di magazine, libri, riviste, che mi aiutano moltissimo nei miei viaggi mentali, spesso accade che io apra una pagina a caso e cerchi di tirare fuori l’idea da quello che mi si para davanti. L’ispirazione più grande la prendo dalle situazioni che mi circondano, da quello che mi accade, spesso e volentieri i miei artwork non sono altro che rappresentazioni di episodi che mi capitano durante le giornate.
Quando si tratta invece di interfacciarmi con altre persone, cerco sempre di coinvolgerli nella mia visione, talvolta stravolgendo idee di continuo, è molto più divertente no?
Sei molto eclettico nei tuoi lavori, ogni volta crei atmosfere e sensazioni diverse. Molto frizzanti. Che cosa cerchi quando ti inoltri in queste atmosfere?
Il mio lavoro è un continuo mix di ricerca, evoluzione e influenze.
Mi piace sperimentare, partire da un bozzetto ed arrivare da tutt’altra parte, seguire cosa mi suggerisce il momento.
Non ho mai schemi fissi, la mia filosofia nel design e nella vita è simile, quindi cerco sempre di mantenermi coerente, odio la noia e tutto quello che può essere considerato routine. Estremizzando: per come sono fatto io oggi potrei essere un graphic designer, domani chissà. Prendersi troppo sul serio non mi è mai piaciuto, l’ironia è un arma molto potente che cerco di sfruttare anche nelle mie creazioni.
Sei stato coinvolto da Dr. Martens per un nuovo progetto per la città di Milano. Di cosa si tratta? In che modo hai scelto di lavorare?
Con Dr. Martens ho voluto unire la mia visione, al loro immaginario. Sono partito ricreando il nuovo boot Audrick in 3D, per poi andare a creare un’ambientazione attorno ad essa. Le sfere gialle vanno a rafforzare il colore e l’immaginario Dr. Martens, in un ambiente futuristico.
Nei miei lavori mi diverte inserire dettagli che non si colgono a prima vista, non mi piace lasciare niente al caso, quindi perchè non farlo anche qui? Ho inserito delle sfere rosse e bianche, assieme al serpente, che vadano a richiamare lo stemma di Milano, mentre il portale sullo sfondo non è altro che la cupola della Galleria Vittorio Emanuele II, la forma mi ha ispirato nel volerla riadattare in maniera insolita, dandole una nuova veste.
Le strade e le visioni che ci si aprono davanti sono tante. Se dovessi usare le parole come una tua tavola, che immagine vorresti lasciarci?
Per me reinventarsi è fondamentale per rimanere aggiornati, così come farsi contaminare da visioni differenti. In questa continua trasformazione, però, non bisogna mai perdere di vista la propria identità.