Federicko Schwartz non è un nome nuovo nel web e soprattutto sui social. In molti lo conoscono per la sua passione per le sneakers e il suo gravitare intorno allo streetwear. Per molti è stato una persona con cui confrontarsi tramite messaggi via social e si è costruito una fan base molto solida e affiatata. Da più di due anni si sta dedicando alla musica e, dopo l’uscita del suo primo singolo “Hype” in cui racconta un mondo dello streetweat che gli iniziava ad andare stretto, ora esce il suo primo EP per Yalla Movement, l’etichetta fondata da Big Fish e Jake La Furia. Una passione quella, della musica, che nasce e si unisce sia allo streetstyle che dal basket, la pallacanestro è stata un’altra parentesi mega importante per la sua vita: sia sul campo che sugli spalti, sia da solo che con il padre.
In questa intervista Ricko ci racconta tutto il suo percorso artistico e l’impegno che mette in tutto quello che fa.
Chi sei? Cosa fai? Da dove vieni? Perché sei qui?
Sono Ricko Schwartz, se dovessi rispondere solo col cuore, che mi guida in ogni azione, ti direi che vengo dal cielo delle notti e dei giorni milanesi. Notti e giorni passate nelle vie della mia città, di tante città come quelle da cui proviene la mia famiglia. Forse sono qui proprio per questo. Parte da Milano la mia missione.
Ma quindi sei uno dei pochi milanesi di origine milanese, quali sono le zone di Milano che frequenti abitualmente?
Mamma è di origine croata, mentre mio papà è di Gallarate anche se Schwartz arriva dalla Germania. Siamo profughi della seconda guerra mondiale di fatto, ma la mia città è Milano. La conosco a memoria, la attraverso da Nord a Sud, da Est a Ovest da sempre.
Se devo scegliere una via alla quale sono particolarmente legato è via Gian Giacomo Mora e in particolare il Berlin, quella è la mia casa. È come se fosse un piccolo villaggio nella grande metropoli. Poi ho altre zone a cui sono emotivamente molto legato, Madonna delle Grazie, Piazzale Baracca, Lambrate, Porta Romana, Porta Venezia, Via Sciesa, Paolo Sarpi, Viale Abruzzi, in ognuna insomma ho lasciato qualcosa sui pezzi di cemento calpestati.
Se Milano fosse una canzone?
Sarebbe più canzoni: Jannacci con “Andavo a Rogoredo”, “Milano Milano” degli Articolo 31 e, anche se lui non era di Milano, “Milano” di Lucio Dalla. E poi tutte le canzoni dei Dogo.
In moltissimi ti conoscono per la passione per le sneakers, ma noi sappiamo che sei cresciuto anche con la passione per di basket. Queste due passioni sono collegate? Come ti sei avvicinato allo sport e allo street-style?
Sono due passioni assolutamente collegate, la mia passione per le sneaker arriva dal basket. Al basket sono particolarmente legato grazie a mio papa Corrado. Passione che mi ha trasmesso nelle vene poi sul campetto: mi portava a vedere l’Olimpia, tifavamo assieme. Intorno al basket gira e ha girato tutto. Ho calpestato le court in giro per l’Europa grazie al basket, sentendo l’attrito di quella palla sulle dita e sulla pelle. Il basket mi ha insegnato a guardare, a passare, a tirare a cadere e rialzarmi, mi ha insegnato a prendere le spallate nelle costole, a guardare negli occhi l’avversario a studiare e prevedere le azioni, ad avere passione e fuoco per qualcosa. Lo stesso fuoco che ti fa sognare andare a vedere anche solo e da lontano Michael Jordan a Milano nel 2006 al Palalido o al campetto del Sempione Kobe quando era a Milano. Il basket mi ha insegnato che il questo sport non è solo sul campo e fuori dal campo: è cultura, è musica è affermazione di un valore, è comunità, è valore. È spaccare tutto il vetro del canestro come al palasport di Chiarbola di Trieste nel 85 tra Stefanel e la Juve Caserta. è quel brivido li.
Con il basket è anche nata la mia passione per le sneakers, che mi fa rivivere lo stesso brivido diventando quasi un’ossessione, non mi vergono a dirlo, un’ossessione con un solo messaggio, che è quello che ho imparato sul campo: usale, quelle scarpe, usale, sentile, indossale vivile. Sono scarpe, ognuna porta dentro di se un significato, un ricordo, un minuto preciso di una partita, e per celebrare questi momenti, cos’è meglio dell’usarle? Non ho mai creduto alle bacheche e agli altari, le scarpe vanno indossate, e dentro ci si porta un pò di quella cultura, si porta l’emozione.
E invece come sei arrivato a scrivere testi rap/trap e a dedicarti oggi alla musica? Parlaci anche un po del tuo background musicale.
La musica fa parte di me da sempre, mio fratello Riccardo è un pianista di fama internazionale. Mi tocca sentirlo suonare tutti i santi giorni! La musica è il mio battito, il mio ritmo. Andavo a scuola di pianoforte, poi di chitarra, che ho ripreso da poco. Ho sempre registrato e inciso musica fin da che ero piccolo, ho un piccolo segreto: dei grandi artisti hanno avuto delle basi fatte da me….
Sono musicalmente figlio di tanti paesi: in Italia con Dalla, Battiato, Tenco, negli US con i RUN DMC ci siamo pure conosciuti con Rev-Run e 2pac, e uno su tutti Biggie (The Notorious B.I.G.). Un ricordo molto forte che ho, legato alla musica, è quando un giorno del mio compleanno mi è stata regalata una scrivania e dentro i cassetti c’erano i dischi di Bob Dylan, Jimi Hendrix, Battiato e Joan Baez, Tenco e tanti altri, cassetti pieni di musica incredibile che mi ha letteralmente segnato.
Nei tuoi primi due brandi "Hype" e "Angeli" trovo un po' una fotografia di quello che era il tuo mondo prima di dedicarti alla musica, raccontato anche in maniera un po' dura e cruda, quasi come se quegli abiti e quelle sneakers iniziassero a starti un po' strette. Cosa ti ha portato a raccontare lo streetstyle in quel modo?
Avevo capito che l’espressione dello street style, che in quel momento e che ancora oggi viene raccontata, non mi rappresentava per niente. Avevo bisogno di liberarmi di quel peso e l’ho fatto. Mi sono sfidato e ho cambiato le regole del gioco.
Come funziona (o funzionava) quel mondo, come lo vivi oggi e come te lo immagini nel futuro.
Credevo fosse un mondo più genuino e spontaneo, all’epoca, più legato alla passione e meno modificato dai social, che comunque ho usato tra i primi in questo ambito all’epoca: sono stato capace di creare una community, perché parlavo – e parlo ancora – sempre con le persone. Le ascoltavo, le ascolto. Una volta mi hanno chiamato in università per fare una lezione, mi sono reso conto che avevo anticipato delle cose che si sono poi sviluppate nel mondo della moda e dello streetwear dopo anni, ci ho visto lungo. La mia impressione adesso è che ci sarà un legame sempre maggiore tra quel mondo e l’intelligenza artificiale mentre io lo vivo ancora oggi come una passione legata più alla storia ed alle emozioni che gli abiti e le scarpe hanno e hanno sempre avuto su di me.
Il 12 novembre esce "Prometeo", come nasce questo lavoro? Sono già usciti due brani dove raccconti altri lati anche più intimi, soprattutto in "Luna nello zaino", cosa dobbiamo aspettarci da questo lavoro?
Prometeo è tutto, il mio amore, le mie lacrime, il mio sangue la mia anima. Tutto. Lo vedo come un inizio, in cui ho messo come sempre tutto il cuore, e forse come inizio è perfetto. È ovviamente legato alla mitologia, al Prometeo che rubò il fuoco agli dei per darlo agli uomini. Nell’immaginario dell’EP trovate anche dei riferimenti alle città invisibili di Calvino, e trovo che sia un mix perfetto tra la mia parte più emotiva ed il mondo da cui vengo. Ci sono diversi tipi di contaminazione e suoni, e sono molto contento che in una delle canzoni ci sia un feat con Jake la Furia, un primo passo per un lungo viaggio
Da quando ti sei dedicato alla musica non c'è stato modo di vivere concerti o altri momenti live a causa del covid. Stai pensando a come potrebbe essere un tuo show? E invece com'è il tuo rapporto con i fan? Sui social, come dicevi prima, sei sempre stato bravo, come stai coltivano la fan base con questo cambio di racconto?
I live mi sono mancati tanto, tantissimo! Sono sempre andato ai concerti, col sogno di poter andare oltre oceano, Mi sono spesso ispirato li. Il primo concerto cui sono stato è stato Bennato, sotto una tenda in Svizzera nel Cantone dei Grigioni, avevo solo 3 anni pensa te…. Per il futuro vorrei avere la possibilità di creare qualcosa di nuovo per i live, un esperienza artistica surreale che possa diventare uno spettacolo che ti porta in luoghi che non esistono, è un idea su cui sto lavorando.
A proposito di show sappiamo che sei anche appassionato di cinema, come nasce questa passione e come riesci a inserirla nella musica?
Cerco di trarre l’ispirazione da qualsiasi film che guardo. Ne guardo tantissimi in particolare al cinema, e sono molto felice che ci si possa tornare ora. Il primo film al cinema è stato “Hook – Capitano Uncino” con Robin Williams e Dustin Hoffman. Prima del Covid andavo anche tre volte la settimana al cinema, molti si chiedevano perché andassi al cinema anche d’estate, la risposta è che quando guardi quel grande schermo in una stanza buia nulla e niente ti può toccare, se non la magia del cinema. I film provocano emozioni e non dipende solo dal film, ma anche il momento personale in cui lo stai vedendo. Ogni volta rivederne uno è sempre diverso in base al momento. Cerco di inserire riferimenti cinematografici nelle mie canzoni, proprio come un omaggio per parlare a mio modo della mia passione.
Qual è il tuo cinema di Milano preferito?
Dipende dalla programmazione, non ho un cinema preferito però mi capita spesso di andare al vecchio Anteo.
Tre film che ti senti di suggerire e che, visto che stiamo parlando di cambiamenti, hanno "cambiato" la tua vita?
Non riesco a sceglierne tre perché i film diventano parte di me stesso. Mi vengono in mente “Will Hunting”, “Bronx professione Reporteer”, “Interstellar”, “C’era una volta in America”, “The Irishman”, “Yesterday” di Boyle, “La Haine”, “Top Gun”, “Balla coi Lupi” … ma tutti.. i film di Tarantino e Scorsese…. “La vita davanti a se” non lo guardo perché ho paura di rovinarmi il libro. Insomma non posso scegliere.
Salutaci con una citazione di un film.
“Eyes never lie” da Scarface.