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RKOMI

Un artista in continua evoluzione: un treno in corsa

quartiere Calvairate

Scritto da Ilaria Perrone il 2 novembre 2021

Foto di Fabrizio Albertini

Intervistare Mirko/Rkomi è come salire su un treno in corsa: hai la sensazione che non si fermerà mai. Taxi Driver è pieno di hit, con duetti che mettono insieme mondi e artisti completamente diversi, una versione realizzata per MTV Unplugged… Un artista che continua a evolversi, attingendo al rap al pop per poi guardare al rock, al blues, alla musica urban ma anche Muay Thai, lezioni di piano, lezioni di canto, libri e film. Con il quartiere di Calvairate sempre nel cuore, il ragazzo che è nato qui sta diventando un artista in grado di ritagliarsi un bel posto nella storia della musica italiana.

«Il quartiere mi ha dato un senso di responsabilità che ho sempre mantenuto saldo, ora però è il momento di esplorare.»

 

Ciao Mirko, come stai? Che periodo è per te? Sei reduce dalla bellissima esperienza di MTV Unplugged. Un periodo pieno di novità.

Sì, lo è. Arrivo da un tour molto impegnativo a livello tecnico, abbiamo costruito uno show vero e proprio e volevamo che non fosse facile. Nonostante questo, lo abbiamo portato a termine in modo molto professionale, abbiamo lavorato sodo e siamo soddisfatti del risultato. Qualche giorno fa invece abbiamo registrato l’MTV Unplugged in un teatro, è stato un bel peso, nel senso più positivo del termine, sicuramente molto complicato ma anche in questo caso l’abbiamo portato a casa bene. Sicuramente si è trattato di uno show totalmente diverso dagli altri, considera che abbiamo spogliato i brani, abbiamo cambiato il vestito alla maggior parte dei pezzi, quasi a dargli una nuova forma. Una bella sfida.

Il tuo nuovo disco “Taxi Driver” utilizza la metafora del Taxi, tu diventi un Virgilio (Travis Bickle) che accompagna gli ospiti dei tuoi duetti e il pubblico in un viaggio. Sembra essere un viaggio dentro di te, è così?

Sì, però trasposto nel 2020 (sorride). Il viaggio che citi tu è sicuramente più filosofico, però apprezzo molto la citazione. Ho provato a essere quello che è il personaggio di Robert De Niro (Travis Bickle) nel film e ho provato ad andare spesso in territori altrui e a ritrovarmici. Così è stato, e questo ha reso il progetto molto naturale, ho incluso nell’album dei mondi diversi del mio, ed era esattamente quello che volevo fare, far uscire la mia trasversalità, farla arrivare al pubblico e provare a far convivere anime diverse, mondi che non avresti mai visto nello stesso disco, penso a Tommaso Paradiso e Sfera. Quella dei mondi diversi è qualcosa che avevo già iniziato a fare nel disco passato, qui si è semplicemente evoluta.

Un modo per uscire anche da una comfort zone?

Per me lo sarà sempre, il mio obiettivo primario è sempre quello di virare verso rotte inesplorate. 

Il viaggio serve per scappare o per ritrovare sé stessi, cito Virgilio perché Dante deve prima scendere all’inferno per poi salire in paradiso. Tu a che punto sei del tuo viaggio?

Mi è difficile entrare o riconoscermi nella dimensione che hai citato. Sto ancora costruendo il mio piccolo libro, che non sarà mai paragonabile ad un capolavoro come quello di Dante, sono sicuramente in un punto strano della mia vita ma mi va di pensarmi ancora in salita, nel senso che ho ancora voglia di mettermi in difficoltà. Quando mi sento al sicuro mi giro dall’altra parte e cambio obiettivo

 

Ci sono artisti che rimangono sempre uguali a sé stessi e artisti che invece cambiano continuamente pelle, si arricchiscono, evolvono. Tu sembri sempre in continua ricerca, hai iniziato a suonare piano, ti sei spostato verso nuove sonorità, hai preso lezioni di canto, stai leggendo moltissimi libri.

Lo studio del pianoforte così come della teoria deriva da figuracce fatte in giro per il mondo con produttori, si creavano problemi di comunicazione, e avevo sempre bisogno di qualcuno che traducesse. In realtà però parte tutto dalla mia sfida continua, ero arrivato ad un punto un po’ piatto, c’era il Covid, non c’era il tour e mi sono semplicemente chiesto cosa potessi veramente fare per me e per il mio lavoro. Ho sempre pensato che nella vita uno riceve in base a quanto da, e quello era un momento in cui non stavo dando abbastanza, le lezioni di canto sono state un grande incentivo per ricevere qualcosa di più, qualcosa che poi è tornato nei live. Grazie al piano invece ho iniziato a conoscere persone, artisti e musicisti di un certo livello, si è creata una band e sono diventati contatti che mi hanno arricchito a cui devo già tanto. E poi ovviamente sogno di andare sul palco e accompagnarmi con il piano, magari per il prossimo tour, vorrei poter fare questa cosa e far vedere al pubblico qualcosa di nuovo.

Leggendo alcune delle tue interviste si capisce che negli anni hai acquisito molto metodo e molta disciplina, forse anche grazie alla Muay Thai. La disciplina ti ha cambiato?

Guarda, io devo tutto alla Muay Thai. Mi hanno cambiato principalmente le persone che ho incontrato, in particolare il mio allenatore, che odia quando lo chiamo così, ma all’inizio lo è stato, e poi diventato un fratello maggiore, un socio, un padre, un amico. A diciotto anni trovo questa palestra nel quartiere e inizio a frequentarla, faccio amicizia con questi due maestri, tanto che loro mi fanno andare per un breve periodo gratuitamente, nascondendolo ai proprietari. Da lì si crea un rapporto e inizio a fidarmi finalmente di qualcuno, loro mi passano i primi libri, io diciottenne, lascio la scuola, vivo in un quartiere popolare e non ho riferimenti e loro lo diventano. In quegli anni lavoro, vado in studio, inizio a creare musica un po’ per gioco e da lì in poi non ho mai mollato quella palestra, a volte allenandomi di più, a volte di meno. Passano gli anni, il gruppo si sposta in varie palestre, finché non decidiamo di trovare un posto per noi, di smetterla di spostarci e crearci una dimensione nostra, e così abbiamo fatto. Abbiamo creato un’associazione non a scopo di lucro che vuole essere una piccola navicella nascosta tra Corvetto e Calvairate, un posto, ovviamente dove allenarsi, ma non solo. Ci sono delle piccole librerie, un calcio balilla, una playstation, questo perché volevamo creare un luogo di aggregazione a prescindere dal fatto che una voglia spaccarsi e sudare per due ore

Anche per dare un’alternativa ai ragazzi?

Sì, esatto, per me è stato questo, è stata la possibilità di avere due ore al giorno per rifugiarmi in un posto sano. Poi avevo altrettante ore per perdermi, però se hai un piccolo momento di reset ti aiuta a non perderti troppo, hai un posto dove tornare. La palestra mi ha consentito di mantenere un equilibrio dai vent’anni in poi, mi ha insegnato a divertirmi ma anche a fermarmi.

Sei in continua evoluzione ma hai sempre mantenuto un rapporto con il posto da cui vieni, con Calvairate? Che rapporto hai con il quartiere? E che cosa cerchi altrove ora che non vivi più lì?

Mi sono spostato perché ho bisogno di nuovi spazi, di nuovi stimoli ma mia mamma è ancora lì e tutti i miei amici vivono ancora lì. Quello che mantengo saldo e che rimarrà sempre con me sono i valori familiari che si sono creati lì, che si creano tra sconosciuti in quartieri come questo o nei palazzi come quello di via Calvairate, palazzi popolari. Devo sicuramente molto anche alle cose che non ho potuto fare in passato e il quartiere mi ha dato anche un senso di responsabilità che ho sempre mantenuto saldo, ora però sento il bisogno di uscire da lì, di spostarmi, di esplorare. La fortuna della musica e l’inizio di questa carriera mi stanno dando la possibilità di vedere molti posti diversi, di viaggiare, cosa che prima non potevo assolutamente fare, mi stanno dando anche la possibilità di acculturarmi, cosa che sto facendo da solo perché ahimè la scuola non è mai stata il mio forte. Cerco quindi di mantenere un equilibrio tra le due cose, da una parte c’è il quartiere che sarà sempre un posto dove tornerò spesso e dall’altra parte c’è la mia voglia di staccare quando sono fuori e di godermi quello che c’è in giro, oltre Calvairate.

Puoi togliere il ragazzo dal quartiere popolare, ma non il quartiere popolare dal ragazzo. Ti ci ritrovi?

Ci sono quartieri popolari un po’ più pesanti di altri. Se uno conosce il mondo sa che può trovare soggetti di un certo tipo anche in quartieri molto per bene. Sicuramente in queste realtà c’è un senso di povertà maggiore, c’è un senso di mancanza, di lacune, di mancanza di cultura. Esistono due tipi di persone: chi come me, patisce questa cosa e prova a rifarsi da solo e chi invece sta bene così. Entrambe le scelte sono assolutamente giuste e rispettabili. 

A differenza di altri rapper/trapper non hai mai usato il fatto di provenire dalle case popolari come uno status symbol. Come mai?

Io ho sempre pensato che chi vende troppo una determinata immagine non sia credibile. Spesso chi non arriva da determinate situazioni le acclama come se fossero oro. Io non ne parlo troppo perché certe cose le ho vissute e mi han fatto riflettere tanto, in più non è proprio nel mio modo di fare strumentalizzare troppo determinate cose. Io ci sono stato in mezzo alle persone di un determinato tipo e so che chi fa non parla, chi parla troppo o non fa o le ha solo sognate. Nella vita vera e nella musica diffido sempre da chi racconta troppo, perché poi spesso sono piccoli personaggi. 

A proposito di esibire, prima dell’avvento dei social l’artista manteneva quell’aria misteriosa, si sapeva veramente poco delle loro vite. Adesso è tutto evidente è tutto in pasto al pubblico. Tu come gestisci questa cosa?

Sono interessanti entrambe le versioni, io prediligo più quella di una volta, perché io sono più introverso e meno in grado di stare al centro dell’attenzione. Ci sono altri invece a cui viene più naturale e quando è così funziona, altrimenti un po’ meno. Sicuramente serve per il lavoro che facciamo, è importante che le uscite, i concerti, le novità del momento ci siano sui social, questo per arrivare al pubblico e farsi conoscere, poi passano gli anni e passano gli album e allora lì sicuramente rendersi un po’ più misterioso diventa una forza. Io sono uscito con il primo singolo nel 2016 ed era veramente il momento dei social, e in quel momento uscivano tanti altri artisti, che come me, avevano voglia di farsi conoscere, in quel caso ci veniva naturale condividere quello che facevamo, anche le cose stupide. Secondo me man mano che cresci ti stanchi, il tuo pubblico cresce con te e se poi fai musica bene vince solo la musica e non c’è assolutamente nient’altro

Hai partecipato al progetto 64 bars mixtape di Red Bull e una frase di quel beat è stata scelta per rappresentare Milano e diventare street art su un muro del quartiere, in via Monte Cimone. Una bella celebrazione per te.

Sì, anche se non è la prima volta che mi succede, è successo in Ortica dove hanno creato dei murales, che ancora si possono vedere, che rappresentano tutta la scena. Devo dire la verità che da una parte è una bellissima cosa, dall’altra non è un qualcosa che mi fa scrivere una canzone in più, mi fa sicuramente sorridere e pensare e sicuramente mi fa venire voglia di essere sempre sul pezzo e dare e fare ancora di più.

 

Quali sono i posti in quartiere a cui sei più legato?

Il cuore del quartiere è veramente piccolo, non si sanno bene quali sono le limitazioni e i confini, nel mio caso parlo sempre di via Calvairate, piazzale Molise, piazzale Cuoco, piazza Insubria per poi chiudere con Ciceri Visconti, quelli sono i confini del quartiere popolare, se no ci si può estendere fino a corso XXII marzo, allora trovi l’altro lato della medaglia a cui sono comunque legato, fino ad arrivare in Trecca, piazza Ovidio che è ancora un altro mondo a se. Se restiamo nei confini popolari se dovessi scegliere i posti più emotivi per me sceglierei via Calvairate e le varie piazze: Insubria, Marinai D’Italia, via Cipro, dove andavo a scuola

Dove ti porterà il tuo futuro? Te lo chiedo con due accezioni, sia come pensi che si evolverà il tuo percorso artistico, sia se troverai di nuovo un posto che chiamerai casa fuori dal quartiere.

Per quanto riguarda il mio percorso artistico non ho veramente in mente dove andrò, sicuramente so quali sono i miei gusti del momento e le mie certezze. Non ho un luogo immaginario dove finirò artisticamente, ho delle influenze nuove che voglio che prevalgano in un futuro non troppo prossimo, ho già dei progetti in ballo per i primi mesi del prossimo anno e vedremo. A me piace parlare poco del futuro, preferisco lavorare e dimostrare. Per quanto riguarda il posto fisico, sono in un momento un po’ nomade, tolto il quartiere, a cui voglio bene, ho sicuramente bisogno di trovare un nuovo senso di casa, potrebbe essere all’estero, non so esattamente dove. Intanto vorrei iniziare ad esplorare un po’ di più il mondo, ora che sembra di nuovo possibile viaggiare, poi chissà.