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L’umanità di spalle nei poster di Vantees a Bologna

Scritto da Salvatore Papa il 20 luglio 2023

Luogo di nascita

Paraná (Brasile)

Luogo di residenza

Bologna

Di spalle nell’atto di camminare o attendere; persone senza un volto accomunate spesso da una quotidianità faticosa, rappresentata dalle buste o le borse che si portano appresso: sono i poster a grandezza naturale di Vantees, nome d’arte del 34enne brasiliano Stjepan Reder, da alcuni anni residente a Bologna. Opere le sue che fanno ormai parte del paesaggio visivo della città, che appaiono all’improvviso tra le strade del centro o quelle della periferia in un dialogo costante con lo spazio pubblico, esaltate da un contesto urbano in continuo divenire.

– scorri sulle foto per sfogliare la gallery –

Potresti raccontarci la tua storia prima di arrivare a Bologna?

Mi sono laureato in comunicazione sociale in Brasile e la mia tesi di laurea riguardava l’intervento urbano, i graffiti nello spazio pubblico. Ho iniziato con la tecnica dello stencil e dei piccoli poster. Poi ho iniziato a utilizzare le mie fotografie fatte in strada con la tecnica che in Brasile chiamiamo Lambe-Lambe (Poster manifesti): a questo progetto ci lavoro da oltre 13 anni. A Bologna mi sono trasferito per amore.  

Perché hai iniziato a ritrarre le persone di spalle?

Lavoravo in un ufficio finanziario ed ero quotidianamente a contatto con gli sportelli bancari. In quelle situazioni c’erano sempre code, in cui ascoltavo storie e guardavo la gente sempre di spalle mentre aspettavo il mio turno. E mentre camminavo per la città questa memoria fotografica si riaccendeva…Ho iniziato così a osservare e documentare le persone per strada attraverso questa visione. Era come se io potessi vederle solo in questo modo e a loro insaputa: nel modo in cui camminavano, con le cose che si portavano appresso, con i loro vestiti e il ricordo affettivo che mi trasmettevano. Mi sono avvicinato all’ignoto del loro volto e al fascino di proporre un’immagine a sua volta ignota a chi guardando in avanti non conosce la sua visione da dietro.

Cos’è che ti colpisce nei soggetti che fotografi e che poi porti sui muri e quali sono quelli che preferisci?

I loro corpi comunicano con me. Il modo in cui si presentano nella vita di tutti i giorni. Credo che ognuno abbia un’espressione corporea unica che mi colpisce e mi trafigge. È una selezione intuitiva. Se potessi li stamperei tutti.

Il dibattito sui graffiti e la cosiddetta street art sono argomenti molto sentiti a Bologna e quando se ne parla spesso salta fuori anche la questione del “decoro urbano”. Tu cosa ne pensi?

Penso che la città esista per essere occupata. Il decoro urbano è uno standard illusorio imposto dall’alto verso il basso. Se uno pensa che i muri puliti possano nascondere il marciume del sistema politico e socio-economico e non riesce a vedere l’essere umano e le sue libere espressioni che fanno esistere la città, riceverà al mattino sulla sua strada un getto di spray in faccia prima di comprare la sua brioche. 

Hai mai avuto problemi durante i tuoi interventi?

Qualche volta, ma niente di grave. L’episodio più al limite è successo in una proprietà abbandonata della Bulgari a Castiglioncello – una villa tappezzata di graffiti all’interno. Mi ha sorpreso il custode e mi ha fatto staccare l’opera, minacciando di chiamare la polizia.

Come scegli invece i luoghi dove fissare i tuoi soggetti? E come vorresti che la tua arte interagisse con lo spazio urbano?

Scelgo mentre cammino per la città. Dopo aver attaccato i poster nello spazio urbano, lascio che il tempo e la città stessa creino spontaneamente un’interazione e consumino il senso dell’opera. 
Dove c’è un muro c’è una possibilità. Sono sempre ispirato quando scopro una nuova strada, una nuova zona che non avevo mai attraversato prima.