Gianmaria Aliverta, 32 anni, è nato sulla sponda piemontese del Lago Maggiore da genitori milanesi. Appassionato di musica sin da piccolo ha iniziato a studiare canto in Civica per poi rendersi conto che la sua strada era quella della regia. E così, tra corsi e un lavoro come cameriere a Stresa per mantenersi, ha iniziato a creare i suoi spettacoli da sé, fondando l’Associazione VoceAllOpera, il cui obiettivo è realizzare eventi che diano la possibilità a giovani cantanti, registi, scenografi, musicisti e direttori di debuttare e cimentarsi nel panorama lirico. Grazie a produzioni low cost, un continuo rinnovarsi di idee, flash mob in metropolitana e svariate attività, la realtà di VoceAllOpera ha iniziato a prendere piede e, tramite anche alla gavetta e alle produzioni di questi anni, Aliverta è stato effettivamente notato come regista: a Martina Franca si è occupato dell’Incoronazione di Poppea, è stato poi chiamato al teatro Malibran (Teatro della Fenice di Venezia) e infine a Firenze. Il 31 gennaio andrà in scena una sua Traviata a Trento, opera che già con VoceAllOpera è stata portata sul palcoscenico del Filodrammatici la scorsa stagione in due versioni: una moderna e un’altra con abiti storici. «E perché no – dice lui – si potrebbe rifare nuovamente, con Luisa Mandelli, a casa Verdi! Noi gliel’abbiamo proposto, vediamo se accetta…». Ci incontriamo in un bar a Milano, per parlare della sua formazione, della storia di VoceAllOpera – incluso il motivo per cui, quest’anno, la stagione salterà un turno -, di Milano e del rapporto tra giovani e opera lirica.
Gianmaria, parlaci un po’ di te. A Milano come sei arrivato?
Sono nato sul Lago Maggiore e cresciuto in diversi paesini della sponda piemontese, ma i miei sono di Milano e fin da piccolo ho iniziato a studiare qui: facevo canto alla Civica. Crescendo ho deciso di prendere casa in condivisione con altri ragazzi, finché 4 anni fa mi sono trasferito definitivamente. Nel mio paese ho fatto di tutto, dal presidente della pro loco all’organizzatore, ma oramai era saturo, non avevo più possibilità di crescita.
E VoceAllOpera è nata qui a Milano?
Si. Milano è una città che ti dà tanto, dal punto di vista dell’offerta, della vita… La cosa che ho capito di Milano è che dà una possibilità a chiunque, quindi l’Associazione non poteva che nascere qui. Poi sta al singolo inventarsi e andare avanti, ma non è una città che tarpa le ali a priori, cosa che invece nei paesini avviene: lì se sei bravo cercano di “oscurarti” un poco, perché troppi polli in un pollaio non vanno bene. Purtroppo, però, a Milano c’è stato un invecchiamento dell’opera e una divisione dei ruoli troppo netta per cui c’è stata l’epoca dei grandi direttori, dei grandi cantanti, ora dei registi… Quello che voglio fare io con VoceAllOpera è proprio ritornare all’opera, far sì che tutti questi fattori non remino l’uno contro l’altro per far vedere chi è più forte, ma si uniscano per far vedere uno spettacolo.
Esatto, quali sono gli obiettivi di VoceAllOpera?
Quello che voglio fare io è dare la possibilità di farsi conoscere a chi non l’ha avuta. Mi rivolgo a cantanti, direttori, anche registi! È importante palare a un pubblico giovane e far capire che l’opera piace perché tratta di temi universali e quindi non è una realtà vecchia e distante. È necessario riuscire a incantare i giovani. Attualizzare secondo me funziona molto perché permette ai ragazzi di immedesimarsi: ad esempio, pensiamo alla vicenda di Violetta in Traviata…
E come mai è stata annullata la stagione di quest’anno? Cosa bolle in pentola?
Ci sono diversi motivi. Noi siamo cresciuti in questi anni e non possiamo più permetterci di provare in poco tempo e male per offrire spettacoli mediocri. Purtroppo ci sono teatri piccoli gestiti da privati o preti che non hanno intenzione di aprirsi all’opera, mentre in quelli più grandi ci sono programmazioni molto fitte e noi non riusciamo a provare come vorremmo. Inoltre ho un po’ di idee: spero che tra il 2016 e il 2017 si riesca già ad attuare il mio progetto di proporre le opere delocalizzate. Mi piacerebbe eseguirle in spazi non convenzionali per l’opera, non so, all’aperto, o sul tetto di un grattacielo (il Pirellone magari?) in modo da portare l’arte a contatto col pubblico gratuitamente. Insomma, siamo a Milano, dove tutto accade. Milano è quella realtà che dà cassa di risonanza all’evento; inoltre offre grandi possibilità e tanti spazi. È però difficile capire qual è il momento migliore per attuare una cosa del genere, perché d’estate si svuota, sotto Natale è troppo frenetica…
Che zone di Milano frequenti?
Maggiormente i navigli, forse anche per il legame con l’acqua, che mi ricorda i miei posti… È la zona che in assoluto amo di più. Anche se non frequento assolutamente la movida, i locali non mi piacciono tantissimo, sono troppo affollati, non c’è la possibilità di dialogare. Vado spesso fuori a cena ma sono più per invitare amici a casa, è più intimo. Poi frequento diversi ambienti: ho studiato in Civica, in Conservatorio e due anni fa ho fatto un piccolo corso di regia alla Paolo Grassi. Ho un forte rapporto con quelli che sono i miei ex colleghi con cui si è creato anche un rapporto lavorativo.
E quali sono i Teatri milanesi in cui ti piace andare?
Per l’opera alla Scala. Poi sicuramente al Piccolo, uno dei teatri che mi piace di più. In aggiunta quasi tutti gli anni c’è una messa in scena di Michieletto che a me piace moltissimo. Secondo me lui ha il grande merito di spaziare tra la lirica e la prosa e avvicinare il pubblico che lo segue ad entrambe le realtà. A queste due realtà aggiungo il Teatro Libero che mi piace molto, è vicino a casa e fanno degli spettacoli molto carini. Non sono ancora mai stato al Carcano e vorrei andare, mentre un’altra realtà che seguo è Quelli del Grok. Un altro posto che mi piace è il Filodrammatici dove abbiamo fatto la stagione lo scorso anno. Quello che amo di più, comunque, è lo Studio Melato del Piccolo perché è un luogo sperimentale. E un’altra realtà sperimentale interessante è Isola Casa Teatro, che è di fatto un appartamento in cui fanno teatro!
Quali sono i registi che ami, oltre Michieletto?
Io le chiamo le tre M, i tre registi italiani che amo di più: Michieletto, Micheli e Muscato.
Qual è la sede di VoceAllOpera?
In realtà non c’è una sede, è tutto autogestito, perché non ci sono soldi. Abbiamo un magazzino dove conserviamo le scene. In genere i ritrovi si fanno a casa mia e del mio coinquilino che è segretario di VoceAllOpera (Vittorio, anima pia, fondamentale per l’associazione perché lavora moltissimo e soprattutto sa ascoltare e sopportare tutte le mie elucubrazioni…) quindi durante le produzioni casa diventa un’enorme scenografia in cui è difficile entrare.
Ma va bene così; di fatto nell’Associazione le persone fisse oltre a me sono due: Vittorio e Gaetano, l’ufficio stampa, che si è occupato di tutta l’uscita editoriale e di critica. Poi intorno ci sono persone con cui il rapporto è andato sempre di più consolidandosi. È bello perché fa veramente parte di noi questa realtà.
E come fai a “staccare”?
Mi piace molto andare al cinema e a teatro e dedicarmi anche alla casa, arredare, cambiare… Mi piacerebbe aver più tempo e maggiori possibilità economiche per viaggiare di più. Così magari finita un’opera potrei “staccare” facendo un viaggio, cambiando ambiente. Anche perché a differenza di un cantante, che sfoga tutta la propria tensione sul palcoscenico, il regista interiorizza molto; il viaggio potrebbe essere una buona valvola di sfogo.
Ci sono tanti giovani che frequentano l’Associazione?
Si! Elena Caccamo, Michele Spotti o Barbara Massaro sono i miei pupilli perché, a differenza di una persona di 40 anni che oramai è formata, loro sono giovanissimi, hanno una duttilità sul palcoscenico pazzesca e hanno una musicalità eccezionale; insomma, un alto potenziale ma anche dei difetti, legati al fatto che hanno 20 anni. A me questo interessa: trovare giovani talenti che possano muoversi in un ambiente che li accoglie, li fa sentire a proprio agio e li fa crescere. Ad esempio li ho portati a un’audizione dal Maestro Triola a Martina Franca, sono stati presi e hanno debuttato a un festival internazionale!
Attualmente capita che direttori artistici mi chiedano se ho cantanti da proporre, significa che abbiamo lavorato bene, che siamo visti con serietà, che gli enti si fidano di noi. Questo è molto bello perché sempre più si sta instaurando un rapporto di serietà, professionalità e fiducia reciproca.
Avete tanta affluenza alle audizioni?
Direi di sì. Ultimamente abbiamo alzato un po’ gli standard quindi si presenta meno gente perché c’è più paura di non essere all’altezza (comunque alle ultime audizioni i candidati presenti erano ottanta!!!). Quest’anno, poi, abbiamo avuto il grandissimo onore del supporto per le audizioni dell’Accademia Rodolfo Celletti di Martina Franca e avevamo come giurato Fabio Luisi!