Sono mesi che vi cuccate classifiche sull’architettura in Expo, video dai toni ispirati che decantano la sostenibilità e la pregnanza tematica dei singoli padiglioni, enfatiche iperboli scopiazzate qua e là. La verità è che l’Expo non ha molto a che spartire con l’architettura, perché è un tipo di evento con un format rigidissimo che prevede essenzialmente una serie di baracconi da fiera a perdere, dei parallelepipedi climatizzati che rispondono alle norme di sicurezza. Ma come, direte voi, e l’esposizione universale del 18xx a XYZ e del 19xx a ZYX, dove si cimentarono i grandi Xxx e Yyy? Il fatto è che un tempo l’Expo non era un format regolato dal BIE, ma un accrocchio di cose le più varie, e poteva ospitare qualsiasi cosa. Avere meno vincoli non rendeva i manufatti orientalisti del tempo necessariamente meno zarri, comunque. Allora come oggi – e questo lo diciamo senza moralismo alcuno – la chiave fondamentale per capire Expo è il fun. Per essere attraenti nel fierone bisogna divertire: tutta la retorica seriosa sull’impegno didattico è pura ipocrisia. Il problema per i progettisti non è di poco conto: come fai a fare divertire la gente con un’architettura scatolare su un lotto rettangolare come quelli del mercatino ma in scala gigante, alludendo al tuo Paese e al tema di turno? (Capirete perché l’idea degli orti era scartata in partenza, provaci te a ridere al decimo appezzamento di pomodori). Come si caratterizzano questi quasi 200 scatoloni? Qui di seguito, la nostra.
Playground
Partiamo da chi senza remore ha sposato la causa del divertimento: appena imboccate il cardo vedete sulla sinistra i bimbi che sguazzano dotati di ciambelloni nella piscina della Repubblica Ceca all’ombra di un inquietante uccello cromato. La scusa ufficiale è che il Paese tematizza l’acqua, in realtà fa pubblicità alle sue spa. Dietro la piscina un normalissimo parallelepipedo bianco con terrazza. Certo, l’Olanda ha fatto un vero luna park, e il Brasile la rete sospesa gigante, ma sono più per adulti che per bambini, e alla fine sono i piccoli quelli che giocano meglio di tutti.
Etnokitsch
Una costante nella storia dell’Expo è la deriva identitaria, che sfocia inesorabilmente nel kitsch. Moltissimi sono i Paesi che offrono una rappresentazione caramellosa e priva di fantasia del vernacolo architettonico locale: Thailandia, Nepal, Vietnam, l’orrido Qatar, ma l’Oman li batte tutti con una specie di presepe di cartapesta.
Architettura vera
L’unico caso di progetto architettonico reale, seppure finalizzato a una struttura effimera che verrà poi rimontata in patria, è il padiglione del Bahrain, già arcisegnalato, bellissimo, progettato dall’olandese Anne Holtrop: un giardino botanico racchiuso in percorsi curvi fatti di pannelli prefab di calcestruzzo bianco, eleganti e discreti.
Concept
Alcuni progetti sono interamente plasmati sul tema prescelto da Expo, e quindi legati all’area ciboagricolturaecologia. Il migliore è senza dubbio il grande alveare di Uk, scenografico soprattutto di sera. A molti piace più il bosco ossigenato austriaco, che ugualmente sostituisce un oggetto (bosco) all’architettura, che è asolo contenitore. Ma vuoi mettere quanto pompano le api?
Legnoso
Il tema sostenibile ha imposto una dominante lignea al paesaggio Expo: dalle colline del padiglione Zero di De Lucchi (che a luglio ha inaugurato anche il legnosissimo Unicredit Pavilion in città) alle belle strutture cilena o brasiliana, a quelle di tutti i Paesi mitteleuropei e scandinavi. Il Giappone ha ricoperto con un superficiale gioco di incastri in legno il suo scatolone metallico. Perché la gente si sottoponga alle sue lunghissime file resta un mistero. Bah
Vertical salad
Tramontata l’utopica Expo degli orti, piante e verdure si sono spostate dall’orizzontale al verticale (e qui a Milano ormai siamo degli esperti). Declivi erbosi appaiono nel curioso padiglione bielorusso, Israele mostra le sue colture su una parete di 70 metri, ma il top sono le lattughe appese alle pareti mobili del triste e noioso Usa pavilion.
Terroso
L’area Maghreb-medioriente tende a rappresentarsi come terrosa. Il fascino dei sistemi di raffrescamento naturale, dei canaletti di irrigazione, lo stacco dei palmeti sulla terra rossa… Il Marocco ancora ancora ci sta, ma Dubai????? Eppure Foster&Partners, senza mettersi scuorno, hanno progettato il padiglione UAE come un arcaico labirinto da Medina. Per arrivare al fresco interno dovete affrontare una fila infernale sotto il sole.
Squamato
Un genere di pelle che conserva sempre il suo fascino è la squamosa. Persino de Lucchi ha azzardato una squama bianca per Intesa. I re del Dragone però sono i cinesi, si sa: e non per il padiglione nazionale, ma per quello corporate, sul retro, vicino all’albero della Vita. Gli architetti di questo torciglione rosso cangiante sono gli Urbanus (di ShenzhenBeijing) per Vanke, re dell’immobiliare cinese.
Terrazza
L’elemento architettonico veramente discriminante in questa Expo è la terrazza. Chi non ce l’ha è un fesso integrale, e non sono tanti. Perché i visitatori vogliono a tutti i costi riposarsi con un drink in mano guardando possibilmente lo scenario dall’alto, più in alto possibile. La Russia (progetto di Sergei Tchoban, Alexei Ilin e Marina Kuznetskaya) batte tutti: da sotto, la lunghissima copertura slanciata verso il cielo è uno specchio. Da sopra, è un bar fichissimo e panoramico.
Smontabile
Il riciclo e riuso sono ovviamente un leitmotiv. Smontabilità e rimontabilità sono molto importanti per la comunicazione. Il padiglione CocaCola pare diventerà una palestra. Bahrain un orto botanico per i suoi cittadini. Quello dell’Azerbaigian sarà rimontato a Baku. UAE pure torna a casa (ma dove? su un’isola del Dubai World?). Svizzera si smonta al ritmo dell’ingordigia dei visitatori che arraffano le merci. Estonia è il più affascinante, perché è una scatola di scatole, con altalene e tanto skype (poco food) e queste scatoleunità saranno smembrate nei parchi e nei playgrounds.