Nel giorno dell’immacolata, l’8 dicembre, è arrivata di nuovo: l’acqua alta. Molto alta, troppo. Un giorno di festa a Venezia, per effetto del meteo, si è trasformato in un giorno di apprensione e rabbia. A metà pomeriggio, ore 16.25, la marea ha raggiunto quota 138 centimetri sul medio mare. Le previsioni dell’ultim’ora erano ancora peggiori, indicavano un massimo di 145 alle 16.40. Le previsioni del giorno prima, però, erano più ottimiste: 120, massimo 125 cm. Ed è per questo che il Mose, alla bocca di porto del Lido, non è entrato in funzione quel giorno. Le paratie sono concepite per alzarsi in caso di maree eccezionali superiori ai 130 centimetri.
Previsioni sbagliate, città allagata e molte attività di nuovo inzuppate. A poco più di un anno da quella seconda “aqua granda” del 12 novembre che arrivò a quota 187 centimetri, seconda solo al disastroso alluvione del 1966 (194 centimetri), Venezia torna fare i conti con il suo incubo più ricorrente. Si è parlato di errore umano, uno di quelli che la natura non perdona. Sono entrati in gioco fattori imprevisti: la sessa (una specie di risonanza che si forma nell’alto Adriatico come se fosse un grande catino d’acqua), le piene del Tagliamento e del Piave, un forte vento inatteso.
Al di là delle valutazioni metereologiche, però, nell’acqua alta dell’immacolata si è sciolta soprattutto la fragile sicurezza a cui Venezia si era abituata con le prime positive sperimentazioni del Mose. La diga “invisibile” sorge dall’acqua e il centro storico si salva. Troppo facile. Immaginare di separare eternamente la laguna dal mare al momento del bisogno, è come mettere la polvere sotto al tappeto.
Per quanto l’evento dell’8 dicembre abbia contribuito a sollevare un necessario dibattito sulla catena decisionale che sta alla base del funzionamento del Mose, è altrettanto evidente che non si può ridurre tutto a una questione di centimetri. Venezia ancora una volta è l’emblema di una città che muore, che può scoprirsi improvvisamente inospitale, difficile. Niente poesia.
Le foto in presa diretta che Riccardo Marchiori ha scattato nella zona delle Zattere entrano nella carne liquida di queste difficoltà: un imbarcadero che sembra una rampa di montagna, un confine che si fa invisibile tra fondamenta e canale, passerelle in balia della corrente, negozi alle prese con pompe e varie altre azioni di “salvataggio”.
Il Mose non è per sempre e non sarà mai infallibile. Sarà efficace, forse, per lo stesso tempo che c’è voluto a concepirlo e a realizzarlo: qualche decennio. I cambiamenti climatici bussano alla porta, non facciamo finta di non vederlo, non facciamo più finta, per favore.