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Dentro la Festa della Luna di Colere: storia e foto di un raduno predigitale

Frammenti di un incontro sottoculturale sotto lo sguardo delle alpi Orobie.

Scritto da Carlotta Magistris il 15 dicembre 2025

Tutte le foto sono reperti di gruppi Facebook o stills da diggate su Youtube.

Siamo all’inizio degli anni Ottanta, quando a macchia d’olio trasversalmente fra grandi città e posti isolati i raduni spontanei di una gioventù sempre più irruenta prendono piede: esperienze comunitarie, raduni hippie, i primi rave. Da qualche parte sulle alpi Orobie in piccola scala succede qualcosa del genere, precisamente nella frazione di Colere, in val di Scalve: sulla fine di luglio, giovani freschi e fresche di zona si radunano per tre giorni in quella che forse è la prima forma di aggregazione comunitaria spontanea del Nord Italia: senza permessi, barriere, sponsor, booking o biglietterie.

Colere, isolata e montana, offriva spontaneamente un ambiente che permetteva di sentirsi liberi dalle dinamiche di socialità quotidiane. La distanza dalle città, ieri più che oggi, creava un clima di sospensione in cui era possibile sperimentare, socializzare e stare up tutta la notte senza disturbare nessuno. In quell’epoca pre-digitale, la montagna incarnava un territorio sospeso, fuori dal controllo e lontano dallo sguardo pubblico che valuta se stai vivendo la tua notte nel modo giusto. Una libertà sregolata e autentica: si arrivava come si voleva, si restava quanto si voleva, si faceva quello che si voleva.

La montagna incarnava un territorio sospeso, fuori dal controllo e fuori dallo sguardo pubblico che valuta se stai vivendo la tua notte nel modo giusto.

Se nei primi anni la vibe dell’aggregazione aveva un retrogusto deliziosamente hippie con chitarre, fuochi, tende, vino e cannette, con l’inizio degli anni Novanta arriva la musica elettronica, i sound systems e l’ondata delle nuove droghe sintetiche. In poco tempo la Festa della Luna diventa un fitto crocevia di sottoculture: vecchi freak e giovani alternativi, si iniziano a vedere i primi esemplari di clubber in fuga dalle città e ravers nomadi. Una specie di Woodstock alpina minore, in cui convivevano generazioni e stili diversi, senza che nessuno ancora arrivasse a porsi domande tipo “che scena è?”.

Vista col senno di poi, La Festa della Luna non era solo la festa di Colere: era un modello spontaneo di comunità temporanea che anticipava molte delle dinamiche delle controculture italiane successive. Guardarla oggi significa osservare il DNA dei raduni liberi prima che diventassero rave per i giornali o festival per il mercato: un territorio caldo, vivo e non codificato, in cui l’assenza di definizioni rendeva ancora tutto possibile. 

Vista col senno di poi, La Festa della Luna non era solo la festa di Colere: era un modello spontaneo di comunità temporanea che anticipava molte delle dinamiche delle controculture italiane successive.

Ma la storia della Festa della Luna è anche la solita storia: l’incontro di due mondi che si toccano e non riescono a capirsi, l’eterna sintesi impossibile che arriva fino ai free party di oggi. Da un lato i partecipanti: giovani, outsiders, tribù mobili che per un weekend trovavano nella montagna un portale per l’evasione, il proprio rifugio. Dall’altro gli abitanti della Val di Scalve, una piccola comunità montanara legata ai ritmi agricoli e alle regole non scritte della convivenza ravvicinata, che inevitabilmente vedevano nel proprio territorio uno spazio da proteggere.

Quando sul finire degli anni Novanta i numeri sono esplosi, portando con sé traffico, sporcizia, consumo visibile di sostanze e rumore continuo, lo scontro è diventato inevitabile: la libertà degli uni iniziava a sconfinare nella libertà degli altri, e in mezzo le istituzioni (Comune, forze dell’ordine varie ed eventuali) portate a decidere pragmaticamente da che parte stare. La solita storia: la socialità informale perde quando entra in conflitto con la socialità istituzionale.

Resta difficile capire com’è che sia finita la magia di questo raduno non formalizzato. L’ultima edizione di cui abbiamo traccia è attorno al 2005, a quanto pare dopo un lento processo di repressione morbida (controlli, ordinanze, accessi limitati), condannando la Festa della Luna a una morte per asfissia. Rimangono oggi delle tracce in un internet arcaico, fatto di forum, gruppi facebook e commenti sotto a video di YouTube self-made che raccontano con spontaneità scene di quell’atmosfera sospesa, frammenti diari del cuore-coded di un’epoca in cui la comunicazione ancora non era una struttura monolitica e necessaria. 

Diggare il passato in questi modi non è un esercizio nostalgico, ma un tentativo di rileggere il presente attraverso storie che sanno di universale. Riti come la Festa della Luna ci mostrano quanto l’umanità, pur trasformandosi, tenda spesso a ripercorrere gli stessi passi. Ancora oggi, sullo sfondo, la montagna resta: immutabile, continua a offrire rifugio ed evasione.

D’altronde, ciò che dura secoli o millenni, ha dalla sua un richiamo ancestrale che tutti conosciamo, e si ripete di generazione in generazione; ma intanto tutto scorre nei cambiamenti dei momenti storici.