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Giannis Galiatsos di Movement Radio

Quattro chiacchiere a tu per tu con uno dei fondatori della radio di Atene in occasione della loro partecipazione all'Ortigia Sound System festival

Scritto da Tommaso Monteanni il 20 luglio 2023
Aggiornato il 1 dicembre 2023

Poche cose sono in grado di influenzare il presente di un popolo e di una società come la sua storia, una cosa talmente banale a tal punto da esser spesso dimenticata. Proprio come delle vere e proprie radici, la storia arriva a definire l’identità e l’infrastruttura sulla quale si va a costruire un popolo, a partire dalle parti più inconsce e meno tangibili, come abitudini e modi di pensare delle persone, fino a quelle più “concrete” come spazi e luoghi fisici dove talvolta è possibile percepire addirittura strati di storia pregressa – basti pensare ai turisti americani, che vivono l’europa come un grande parco giochi preistorico dove collezionare foto davanti a monumenti.

A proposito di storia, la prima cosa che ho notato prima e durante la chiacchierata fatta con Giannis Galiatsos è la presenza di una connotazione imprescindibilmente politica in tutto il lavoro fatto da Movement Radio – guarda caso Movement è una radio di Atene, Grecia, proprio dove Aristotele coniava per la prima volta nella storia il termine “politica”.
Movement Radio è una piattaforma con una missione che è molto più grande della musica in sé, ma che ovviamente rimane il soggetto principale, venendo utilizzata anzi come mezzo prediletto per andare a scavare sia nel passato che nella contemporaneità al fine di raccontare storie di flussi e movimenti che non sempre sono legittimati dai media canonici.

sentivamo che c’era bisogno di una discussione significativa e approfondita da parte delle stesse persone che producono la musica, e volevamo soddisfare questa esigenza

In questa mezz’ora abbondante di chiacchierata ho avuto modo di scoprire insieme a Giannis i capisaldi di questo progetto, di approfondire una serie di discorsi sul Mediterraneo, punto di partenza del lavoro fatto da Movement, e di farmi raccontare qualcosina in più sulla collaborazione con OSS.


Tommaso Monteanni: Ho fatto un po’ di ricerche per prepararmi all’intervista e in tutta onestà non sono riuscito a trovare quando è nata la radio. Quando avete iniziato e come?
Giannis Galiatsos: La radio è nata nella sua prima forma nel 2020. Le persone con cui lavoro, Quetempo e Voltnoi, sono un gruppo curatoriale chiamato “DETACH“, e collaboravano spesso con Onassis Stegi, il centro culturale che finanzia la nostra radio. Nel 2020 hanno curato il Movement Festival, un evento diffuso in vari punti di Atene, e all’interno della programmazione di questo evento c’era per dieci giorni una stazione radio pop-up allestita all’interno di una sala giochi nel centro di Atene. È così che è iniziata, all’interno del Movement Festival c’era già la prima espressione delle idee che continuiamo a esplorare come radio. Più tardi, all’inizio dell’anno successivo, è arrivata la pandemia e ha avuto senso continuare a spingere verso il progetto della radio online. Così la radio è stata lanciata ufficialmente nel novembre 2020.

TM: Quest’anno parteciperete all’Ortigia Sound System festival (OSS). Come è nata la vostra collaborazione e quale sarà il vostro contributo al festival?
GG: Siamo stati contattati dal festival e con OSS abbiamo trovato subito molti punti in comune, da un punto di vista musicale, curatoriale e politico. OSS come festival ha una visione della Sicilia come regione, del suo passato, del suo futuro e di come sarà trasformata dalle forze geopolitiche e dai cambiamenti climatici. Direi quindi che condividiamo lo stesso approccio all’indagine e alle domande, ed è per questo che non abbiamo avuto bisogno di pensare troppo alla nostra collaborazione, è avvenuta in maniera piuttosto organica.

Mercato di Ortigia

TM: Ti sei già fatto un’idea di cosa suonerai durante il tuo DJ set?
GG: Non conosco esattamente lo spazio, ma immagino che sarà un punto di passaggio, quindi qualcosa che si possa ascoltare mentre si fa una pausa, ma anche della musica che si possa ballare per un po’ e poi andare avanti con la propria giornata. Qualcosa del genere.

TM: A proposito di punti in comune, con Ortigia condividete la stessa parte del Mar Mediterraneo, che insieme al resto del bacino sembra uno dei focus principali dei vostri progetti e contenuti. Quali sono i capisaldi che fin dall’inizio definiscono la radio e la sua linea editoriale?
GG: Siamo partiti da un punto di vista geografico, partendo da Atene e dalla Grecia, che è un crocevia all’interno del Mediterraneo, tenendo anche conto che il Mediterraneo stesso può essere considerato un crocevia. La nostra prospettiva parte da qui, cercando di creare una connessione tra la scena musicale di Atene e della Grecia e le altre scene musicali del Mediterraneo, poi del Medio Oriente e così via estendendosi al mondo intero. Per quanto riguarda i capisaldi direi: il movimento delle persone; un punto di vista analitico e investigativo verso la musica e la storia, che include una prospettiva per cui la musica non è vista come semplice intrattenimento, ma come qualcosa che contiene tracce di storia e narrazioni che molte volte non sono le narrazioni “ufficiali”, come quelle caratterizzate dai governi e dai confini; un’attenzione alle comunità, sia nelle città che nelle comunità di migranti. Direi che questi sono i cardini principali della nostra radio; inoltre, vorrei citare una frase che usiamo spesso, che può essere considerata un altro cardine, ed è “portare la periferia al centro“, dare visibilità a quella parte della musica che è stata messa o che viene messa spesso in disparte, o in passato o da altri media che non la considerano, mettendo in evidenza scene musicali, sottoculture e sottogeneri.

TM: Ho l’impressione che stiamo vivendo un momento storico in cui c’è una “vibe” mediterranea che viene messa fortemente in evidenza, con diverse persone che fanno ricerca o producono musica intorno a questo macro tema. Sei d’accordo con questa percezione?
GG: La metterei su uno spettro, che va dal genuino interesse per la scoperta di quest’area che ha una storia molto ricca, allo sfruttamento di quest’area perché è una buona destinazione turistica. C’è anche un lato più oscuro, quello in cui il Mediterraneo è troppo spesso al centro delle cronache per barche che affondano e morte di migranti. È un complesso insieme di ragioni interconnesse, dalla curiosità politica a quella per la musica d’avanguardia. Il nostro obiettivo in questa complessità è quello di promuovere alcuni aspetti, non stiamo cercando di dire che è solo una destinazione turistica cool, vogliamo evidenziare la storia e il clima politico. Sono d’accordo sul fatto che, dal punto di vista musicale, ci sono molti artisti che cercano di attingere a questa atmosfera mediterranea, ma credo che non sia un fenomeno direttamente legato a quest’area: per esempio quando abbiamo visto aprirsi la nuova scena dei club a generi come il reggaeton e il baile funk, abbiamo visto la musica elettronica uscire dall’essere prevalentemente bianca, e dall’essere principalmente nelle grandi metropoli come Berlino, Londra e New York, e spostarsi verso scene locali prendendo generi e infondendoli con i loro background culturali, e credo che questo sia ciò che sta accadendo ora con il Mediterraneo. Quello che sta accadendo nel nostro bacino fa parte di un fenomeno più ampio. Il suono dei produttori è ovviamente unico e legato alle loro aree: per esempio abbiamo realizzato un festival online chiamato “Mediterranean Futures: Barcelona” che metteva in luce la loro scena e come gli elementi della tradizione spagnola si fondessero con stili più sperimentali come l’ambient, il drone, il new club e cose del genere. Penso che sia un fenomeno che si distingue in maniera peculiare in ogni singolo luogo e questo è ciò che lo rende molto interessante.

TM: E perché secondo te in questo momento c’è una così forte rivendicazione dell’identità culturale?
GG: È un momento in cui le persone in generale, e i musicisti e gli artisti in particolare, hanno un’opportunità storica, quella di utilizzare uno spazio per far sentire voci che prima non venivano ascoltate, considerando anche che molti di loro potrebbero aver avuto un rapporto più complesso con il proprio background, ad esempio per questioni di repressione. È una nuova possibilità per gli artisti di avere una conversazione con se stessi e con gli altri artisti della scena, di portare in primo piano quel background e di decolonizzare la scena. Inoltre quello che ho visto attraverso la radio è la volontà di molti artisti di promuovere altre persone della scena, che possa essere per interessi musicali o caratteristiche culturali, per spingere le scene locali, e questo è un modo per le scene di darsi potere e di mettere la propria identità in primo piano.

TM: Quali sono state le ragioni che hanno spinto voi di Movement Radio ad approfondire questa prospettiva mediterranea?
GG: Volevamo creare una piattaforma che potesse essere un punto d’incontro per le persone, non solo del bacino del Mediterraneo ma di tutto il mondo. Non ci concentriamo solo sulla musica, abbiamo podcast e interviste, e ci sembrava importante sostenere un discorso creato dalla scena musicale stessa. La musica è importante, naturalmente, ma sentivamo che c’era bisogno di una discussione significativa e approfondita da parte delle stesse persone che producono la musica, e volevamo soddisfare questa esigenza.

TM: Ritiene che sia possibile classificare geograficamente alcuni suoni e influenze nelle aree all’interno del bacino?
GG: È davvero difficile categorizzare in questo modo. Se si fa uno zoom in abbastanza profondo si possono trovare alcune influenze comuni in certi gruppi e aree, ma credo che lo stato della musica sia che tutto è in continuo mutamento, e lo dico in senso positivo. Ci sono sicuramente artisti che cercano di mettere in evidenza alcuni aspetti della loro cultura, ma allo stesso tempo ci sono collegamenti e attraversamenti che non sono delimitati dalla geografia, e credo che quando ciò avviene in modo organico e con rispetto verso la cultura che si sta assimilando nella propria musica e non come tendenza, che si intende quando un genere diventa una tendenza e tutti iniziano a suonarlo, penso che sia una cosa davvero buona. Questa fluidità dei confini è la nostra posizione nei confronti dei confini in generale, tutto dovrebbe essere aperto. A proposito di confini, stavamo lavorando a un festival online chiamato Trans Balkan Express: nello stesso modo in cui indaghiamo il Mediterraneo, volevamo immergerci nei Balcani, considerando anche che la Grecia ha un piede nel Mediterraneo e l’altro nei Balcani; è un’area con molte turbolenze e molti confini fluidi che però sono stati settati in maniera violenta nell’ultimo decennio. È un luogo in cui ci sono molte giustapposizioni interessanti tra il vecchio e il nuovo, sia nelle città che nella scena musicale. A Ioannina, che si trova verso il confine nord della Grecia e che è di conseguenza un punto di incontro nei Balcani, abbiamo curato la parte musicale di una mostra concettualmente legata al Trans Balkan Express chiamata Plásmata II: Ioannina: in questa città si può notare come ci siano strati di storia uno sopra l’altro, e se si scava in profondità se ne possono trovare ancora di più.