Per molti un rito, sacrosanto quanto intoccabile, quasi un religione con il suo altare e i propri simboli, che si celebra da oltre un secolo all’ombra del Duomo. Il Camparino è Milano, ambasciatore di savoir faire e di artiginalità non solo in città ma nel mondo intero, icona dello spirito meneghino e della sua intraprendenza. Una storia che si lega con le vicissitudini dei suoi frequentatori, artisti, intellettuali, gente comune, che qui sotto la Galleria Vittorio Emanuele hanno scelto di eleggere la propria casa putativa. Ci trovate dentro personaggi molto diversi tra loro: l’avvocato che ha finito la propria giornata, il turista attento e appassionato, i giovani creativi della città, la sciura che prende il cappuccino la mattina. Ogni ora della giornata vive di vita propria, ha il proprio pubblico, il proprio rituale, le proprie regole. Camparino è soprattutto la casa dell’aperitivo, quel segmento di spazio che riempie la vita dei milanesi – e non solo – da sempre, simbolo di italianità, qualità e saper fare. Un bar storico, infatti chi varca la vetrate del Camparino respira passato, presente e futuro che convivono insieme in maniera elegante e contemporanea.
Camparino è soprattutto la casa dell’aperitivo, quel segmento di spazio che riempie la vita dei milanesi, simbolo di italianità, qualità e saper fare
Partiamo dall’inizio. Come ogni storia che si rispetti bisogna fare un passo indietro, nel 1867. La Galleria Vittorio Emanuele II era stata ultimata da poco e Gaspare Campari – inventore dell’omonimo bitter – aprì il famoso Caffè Campari, all’angolo con Piazza Duomo. Il 14 novembre dello stesso anno nacque Davide Campari, figlio di Gaspare, entrato nella storia di Milano anche per essere stato il primo cittadino venuto alla luce in Galleria. Nel 1915, dopo alcuni anni dall’apertura, Davide Campari aprì il Camparino come fratello minore del Caffè Campari. Si distinse subito in zona proprio per una caratteristica che lo consegnò alla storia, ancora ad oggi uno dei motivi del suo successo: il Camparino era dotato di un moderno e innovativo sistema che garantiva un flusso continuo di acqua di seltz refrigerata direttamente dalle cantine, offrendo così ai clienti un Campari e seltz sempre perfetto e raffreddato alla giusta temperatura. In Galleria Vittorio Emanuele II, il Campari Seltz diventò così sinonimo dell’aperitivo moderno e disegnò una nuova e moderna ritualità per la città di Milano. A Davide Campari si deve molto per lo slancio che diede all’attività nel corso degli anni. Se Gaspare è il fondatore dell’azienda e l’inventore del famoso Bitter, la cui ricetta è ancora oggi segreta dal 1860, Davide è ricordato come l’innovatore. Uomo di comunicazione, grande osservatore della contemporaneità, pioniere di una strategia pubblicitaria strutturata che apre il business a forti contaminazioni con i linguaggi artistici del Novecento in veri e propri sodalizi con artisti chiave dell’Art Nouveau o del Futurismo. A partire dagli interni: gli arredi Liberty, realizzati da famosi artisti e artigiani italiani in linea con i canoni estetici di uso in Europa con l’Art Nouveau. Il bancone in ebano, le decorazioni a parete in mosaico con decorazioni floreali e di volatili sui toni del verde e dell’azzurro e i lampadari in ferro battuto: qui lavorarono il celebre ebanista Eugenio Quarti, il mastro ferraio Alessandro Mazzucotelli e il pittore Angelo d’Andrea, che fu autore dell’iconico mosaico simbolo del Bar di Passo.
Un luogo consegnato alla storia anche per le sue celebri frequentazioni: proprio qui, sotto la Galleria, erano soliti fermarsi noti personaggi dell’epoca, che con un Campari Seltz in mano discutevano di politica e cultura. Arrigo Boito, Tommaso Marinetti e altri esponenti del movimento del Futurismo passavano le proprie giornate al Camparino. Un fil rouge, quello con l’arte, che Camparino e Campari hanno stabilito per tutta la vita. Proprio Davide Campari ingaggiò nel 1932 la fortunata e iconica collaborazione con l’artista futurista Fortunato Depero. Proprio lui infatti progettò la straordinaria bottiglietta a tronco di cono senza etichette del Campari Soda, rimasta pressocché invariata da allora. Una storia che subì solo una battuta d’arresta fra il 13 e il 15 agosto del 1943, quando la Galleria e il Camparino furono pesantemente colpiti dai noti raid aerei degli alleati. Tuttavia, al termine del secondo conflitto mondiale, il locale venne preso in gestione da Guglielmo Miani, sarto pugliese arrivato a Milano nel 1922, e dalla sua famiglia che ne è rimasta alla guida fino al 2018.
Proprio in questo anno il locale torna sotto la gestione del Gruppo Campari, supportati da un’importante restyling che ha riconsegnato alla città di Milano questo pezzo di storia. Tutto si trasforma, nulla si distrugge in questa nuova veste che non stravolge gli ambienti del vecchio bar di Vittorio Emanuele ma li restituisce in una nuova forma che piace alla città. Due sale che si snodano intorno al Bar di Passo, che continuerà a offrire ai passanti i classici come Campari Selz, Negroni, Shakerato, accompagnati da piccoli finger home made. Due piani – uno superiore dedicato al concetto di pairing dello chef Davide Oldani che firma la carta food, e uno inferiore più intimo, dedicato a Gaspare Campari. Sotto la direzione di Tommaso Cecca, Store Manager e Head Bartender, e Mattia Capezzuoli, Mixologist, i ragazzi vestiti di bianco dietro al bancone offrono una cortesia che non è mai affettata, sorrisi mai di circostanza e una qualità – in miscelazione e non solo – indiscutibile. Un sorso di storia di colore rosso, shakerato, lavorato, twistato. Milano non ci è sembrata mai così bella.