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Intervista a Matias Aguayo

Venerdì 2 ottobre torna a Milano Matias Aguayo con il carico di suoni della sua label Cómeme. Questa è l'intervista che ci ha concesso a luglio in occasione della rassegna Summer Casino all'Hangar Bicocca.

Scritto da Emanuele Zagor Treppiedi il 29 settembre 2015
Aggiornato il 2 agosto 2016

Quest’estate grazie all’Hangar Bicocca quest’estate abbiamo avuto l’onore di fare due chiacchiere con Matias Aguayo. Già ci stava simpatico a prescindere, poi parlandoci e conoscendolo anche di persona ne abbiamo avuto conferma. Era persino indeciso e non sapeva se indossare una maglietta gialla bucherellata o la maglietta con le grafiche della label. Ah non sapeva che a Milano a luglio si schiattava di caldo e si è dovuto far prestare degli “hot-pants” dalla nostra collaboratrice, e sua cara amica, Federica Linke.

Detto ciò venerdì 2 ottobre torna a Milano dai nostri amici di Le Cannibale e siamo sicuri che troverà la situazione ideale per il suo dj set che sicuramente verrà inserti vocali e da stamburellate live.
Qui di seguito riportiamo l’intervista così potete arrivare preparati a Le Cannibale Club e Matias vi starà ancora più simpatico.

Ciao Matias, tutto bene?
Sì sì, tutto ok, grazie.

Cominciamo in un modo un po’ insolito, tipo interrogatorio: che cosa stavi facendo ieri sera a mezzanotte?
A mezzanotte ieri sera…. ero con alcuni amici cileni, che mi sono venuti a trovare a casa e con cui ho ascoltato un po’ di musica. Mi hanno fatto sentire alcune tracce, abbiamo fumato un po’, bevuto qualche drink.

Musica che sentiremo su Cómeme?
È stato più per piacere, che per la label. Comunque sì, dopo un po’ abbiamo anche ascoltato cose che dovranno uscire. Ero con Valesuchi, una ragazza di Santiago, che non ha ancora pubblicato su Cómeme ma lo farà, e Vaskular che invece per noi è già uscito.

A Zero ti seguiamo dal progetto Closer Musik e Maria è una delle nostre tracce preferite. Ora ci piace molto anche lo stile percussivo del tuo lavoro più recente, El Rudo de House. Com’è cambiato il tuo approccio alla musica nel corso della tua carriera? Ricordi qualche momento fondamentale?

Qualche volta ho un approccio molto personale, quasi biografico. Ci sono momenti più introspettivi o solitari, che influenzano il suono in maniera diversa da quando sono più spensierato o in fase di ricerca sonora. Tutto dipende da come sto: faccio musica da sempre e la faccio per tutto il tempo a mia disposizione. Per questo non mi capita mai di pensare prima a cosa possa fare con un sound ispirato dal momento.
Sono sempre in un mood creativo e mi piace creare un’atmosfera speciale per registrare: fare in modo che questa mi porti mentalmente da qualche parte è per me uno stile di lavoro. E se il processo creativo funziona, in progressione provo ad aggiungerci qualche strumento, una linea vocale, o software musicali specifici, che possano suggerirmi direzioni diverse.

Probabilmente il prossimo lavoro sarà lontano da El Rudo de House, i cui elementi sono molto legati alla componente dance e al corpo. Cerco sempre di mantenere la massima libertà creativa e di usare la musica come uno spazio libero dove mettere tutto quello che mi piace. Per questo non ho preconcetti e non voglio essere riconosciuto per uno stile o un genere specifici. Non voglio sentirmi costretto a utilizzare suoni o un ritmo determinati.

Raccontaci un po’ del tuo background musicale?
È molto vario: il primo ricordo che ho della musica è legato a quella che ascoltavano i miei genitori, artisti cileni come Victor Jara. Crescendo ho ascoltato molta disco music e funk. Quando avevo 10-12 anni, un dj amico di mio padre mi regalava sempre casette di D-Train, Grace Jones, Colonel Abrams. Sono quelle ad aver avuto un’influenza importante su di me. Durante l’adolescenza, sono entrato nel darkside mood ascoltando i Cure, Tuxedomoon e gruppi simili legati alla new wave. E dopo un po’ sono approdato all’house e alla techno.

A che età ti sei trasferito in Germania e com’è stato questo cambiamento?
Avevo solo due anni quando con la mia famiglia mi sono spostato dal Cile. Prima siamo andati in Perù, poi, quando avevo dieci anni, ci siamo trasferiti in Germania. Era il periodo in cui ovunque trovavi la breakdance, dalle radio alle tv, e la cosa mi piaceva molto.

Descrivici il progetto Cómeme.
È un contesto di musicisti provenienti da zone diverse dell’America Latina come Cile, Argentina e successivamente Messico e Colombia. Ci sono anche l’influenza di Colonia e dei musicisti che lavorano in questa città, e di alcuni dj come Christian S. In poche parole, è un gruppo di persone radunate sotto lo stesso sound.
Non sono partito con l’idea di voler creare una label e non ho mai avuto l’esigenza di averne. È semplicemente qualcosa che è successa.

Come sei entrato in contatto con tutti questi ragazzi?
Per ognuno di loro c’è una storia diversa. Alcuni, come Christian S, erano dj da molto tempo, qualcuno l’ho conosciuto mentre ero in tour, altri me li hanno semplicemente suggeriti. Ho fatto molta ricerca, sono sempre attento alle cose nuove, e questo ovviamente aiuta a crearsi contatti.

Qual è secondo te il modo migliore per essere sempre aggiornato sulla nuova musica?
Oggi tutti possono ascoltare una quantità di musica prima inaccessibile, e questo aiuta soprattutto le periferie delle città. Non è più necessario vivere in una metropoli per avere a portata un buon negozio di dischi, o per sapere cosa stia succedendo altrove. È una cosa positiva. Ma con un lato meno piacevole, perché c’è un esagerato flusso di informazioni e l’ascolto alla vecchia maniera, quello ripetuto per cui con un disco finivi per avere una sorta di relazione, diventa impegnativo o difficile.

Come musicista e produttore penso che la cosa importante sia sviluppare la propria piattaforma, che nel mio caso si tratta di Radio Cómeme, e fare in modo che crescano una forma di opinione e un canale per condividere le influenze.

In sintesi, è un momento molto eccitante perché innovazioni e cambiamenti ti portano a riflettere su come progredire con la musica, su come diffonderla e migliorarla, portandola alla gente, affinché tutti ne possano godere. Allo stesso tempo è un periodo confuso perché non siamo ancora capaci di relazionarci con questo aspetto. Magari le generazioni future troveranno il modo migliore, ma per il momento è difficile orientarsi.

Se una persona vuole davvero sapere cosa sta succedendo nel mondo della musica, penso debba trovare il proprio canale di informazione. Facendo affidamento solo sui blog o i siti più popolari, c’è il rischio di rimanere parzialmente informati, perché quelli sono quasi tutti collocati geograficamente nell’emisfero del Nord, guidati da persone per lo più bianche, metrosessuali e con background simili. Ovvio che tutto questo abbia un’influenza sul giudizio di quale sia la musica buona o meno. È un po’ problematico, ma è anche divertente.

Matias Aguayo da Serendeepity in C.so di Porta Ticinese
Matias Aguayo da Serendeepity in C.so di Porta Ticinese

Conosci qualcosa della musica italiana?
L’Italia ha un’ottima tradizione. Ci sono diversi musicisti che ho ascoltato grazie ai miei genitori come Celentano o Mina, fino a cose disco o cosmic più recenti. Le produzioni di Maurizio Dami mi sono molto familiari, così come quelle più techno di Leo Annibaldi o Marco Passarani. Adesso mi piacciono molto le pubblicazioni di Boot & Tax, oltre a quelle capitatemi per caso o di cui non conosco le origini, ma che apprezzo molto.

Per Radio Cómeme, tramite un’amica che so essere comune a entrambi, Federica Linke, avevamo preparato uno mixshow con un dj italiano, David Love Calò: rimasi molto colpito perché propose un sound super interessante e a me sconosciuto, crazy e underground. Dobbiamo ancora metterlo on line e credo, con Federica, di farlo presto.

Oltre alla musica hai altre passioni?
Mi piace molto cucinare, perché ho la fortuna di vivere con persone che cucinano e mangiano molto bene. Provenendo tutti da posti diversi, mi fanno provare piatti con tantissime influenze. Inoltre, viaggiando molto, amo assaggiare cose particolari, mi faccio influenzare da quello che mangio, e anche quando sono lontano, la cucina è qualcosa capace di farmi sentire a casa. Ho antenati italiani nella mia famiglia, che mi hanno lasciato tantissime ricette.

Collezioni qualcosa?
No, non riesco a farlo. Qualche volta c’ho provato, ma senza successo. Piuttosto preferisco usarle, le cose. Ovviamente ho una collezione di dischi, ma i dischi li ascolto, collezionare è qualcosa di molto diverso. Una cosa che faccio abitualmente, ma non è paragonabile a una collezione, è scrivere molto, magari testi di canzoni su libri o agende e non sul computer. In ogni Paese nuovo mi piace comprare un note book del luogo, meglio se in qualche modo legato alle tradizioni o alle bellezze locali, e lo uso per annotare di tutto. Sono una persona per niente ordinata e non sarei in grado di tenere un archivio.

Chi è il tuo eroe e perché?
Un eroe per me è una persona che ha avuto qualcosa a che fare con me, qualcuno che mi è stato vicino e per questo ha potuto in qualche modo influenzarmi. Non penso all’eroe tipico, quello di cui leggi sui libri o sui giornali, come Nelson Mandela. Motivo per cui non ho un eroe in particolare, però penso di conoscere molte persone dalle attitudini eroiche, magari per la dignità o la forza d’animo. Se dovessi sceglierne uno sarebbe mia nonna. Lei ha vissuto la dittatura e ha dimostrato molto coraggio nei confronti delle autorità cilene. Ha avuto e ha una grande influenza su di me. Se mi sento un po’ giù, o sono sopraffatto dai pensieri, penso a lei.