La supernova di decibel esplosa durante il concerto dei Boris resterà un momento indelebile negli annali torinesi dedicati alla musica dal vivo e ha chiuso la tre-giorni di Jazz is Dead al Bunker nel migliore dei modi, ovvero il più catartico e rumoroso possibile. In questa edizione abbiamo esplorato un Mediterraneo inedito con la tarantella mistica di Nziria, incontro conturbante tra la techno più rarefatta e il dialetto napoletano. Siamo rimasti sbalorditi di fronte al diddley bow suonato con due bacchette da Gerald Cleaver. Abbiamo infuocato il dancefloor col rock turco dei Lalalar e goduto per l’ennesima volta della classe sopraffina di Valentina Magaletti dietro alle pelli coi Moin (la batterista tornerà da queste parti per il Kappa Futur Festival col progetto Holy Tongue, visto per la prima volta proprio qui a Jazz is Dead l’anno scorso!).
Ora, con le orecchie ancora che fischiano, c’è una scena post-titoli di coda da vedere, anzi due. Un epilogo diviso in due atti.
Per prima, una produzione ad hoc sull’asse JID/Museo del Cinema: il collettivo avant-jazz americano Irreversible Entanglements, con alla voce Moor Mother (anche lei tra i protagonisti della scorsa edizione), proverà a creare una sorta di colonna sonora per l’antologia di immagini della Torino degli Anni 30-40 firmate dal fotografo Vittorio Zumaglino. Un dialogo/cortocircuito tra la narrazione stradaiola dal gusto neorealista di una città-cantiere e le invettive della poetessa-attivista di Philadelphia, coadiuvate dal tappeto rumorista di fiati e percussioni dell’ensemble.