La Fossa è quel lembo di terra che sfugge a Parco Sempione, che a nord-ovest sguscia dalla recinzione progettata nel 1933 da Giò Ponti e si determina come sede di un “terzo paesaggio” [Gilles Clément, “Manifesto del Terzo Paesaggio”] metaforico, i cui valori di ‘residuo’ e ‘riserva’ si applicano al mondo vegetale come alle complesse dinamiche di quello umano. Il nome – non convenzionale – dell’area comprende quella lingua di terra percorsa da Viale Emilio Zola che costeggia Viale Alemagna, incrociando a metà il cavalcavia di Viale Pietro e Marie Curie, per poi biforcarsi a sentiero quando sbuca su Viale Pagano.
Arrivando da Cadorna ci si trova in una di quelle rare occasioni in cui l’asfalto sfuma nella terra e ci si immerge in un ecosistema di Platani, Carpini, Olmi, Aceri, Tigli, Faggi, Catalpi e Bogolari con ampie zone d’erba, ma l’immersione è letterale, perché avanzando aumenta il dislivello con la strada e aumenta l’altezza delle rocce artificiali, composte da masse informi di cemento, incastonate di pietre, intarsiate di muschi e licheni – tipiche dei parchi di fine ‘800 – che delimitano il percorso sterrato.
La Fossa è un luogo che non esiste, non appartiene allo spazio/tempo di Milano, non si sincronizza al suo ritmo produttivo.
La Fossa è un luogo che non esiste, non appartiene allo spazio/tempo di Milano, non si sincronizza al suo ritmo produttivo, definita ufficialmente come zona ‘non valorizzata’, ‘dimenticata’, ‘poco sfruttata’, ‘non attrezzata’ e in qualche modo ‘irrisolta’ nel suo rapporto con la città, che non riesce a trarne profitto.
Nel suo essere invisibile sono relativamente poche le persone che la conoscono o che l’hanno attraversata ed è proprio in questo basculare di caratteristiche indecise che si definisce la sua prepotente urgenza di esistere, in uno spazio/tempo non specifici, paralleli, sovrapposti, intrecciati e accartocciati tra una mescolanza di attività che si svolgono più o meno agevolate dall’andamento del terreno stesso, costituito – sul lato lungo i binari della stazione – da una conformazione a ‘onda’ che crea così una ‘quinta’ naturale profonda, ideale per schermare qualsiasi sguardo dalla strada e avere il climax perfetto per chi è alla ricerca di una particolare intimità urbana.
C’è chi fa cruising a qualsiasi ora del giorno e della notte, in un rituale di prossimità libera, come viene descritto nel 1983 dall’intellettuale/attivista Mario Mieli, co-fondatore del collettivo FUORI! [Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano! 1971], nel suo romanzo autobiografico “Il risveglio dei faraoni” in cui scrive: «Di giorno andavo a scuola truccato, partecipavo alle occupazioni, di notte andavo a battere sotto il ponte della ‘Fossa’ che è un po’ il cuore di Milano e quando piove molto sembra Venezia».
In queste occasioni tutto può succedere, come incrociare l’amico artista Corrado Levi facendo finta di non riconoscerlo o trovarsi in situazioni in cui qualcuno potrebbe approfittare del momento, tra estorsioni o raid neofascisti. Possibilità che non dovrebbero esistere a prescindere, ma che sono specchio della società nella quale anche la Fossa, a sua volta, è immersa.
E allora può accadere che quel breve tunnel diventi riparo per persone senza fissa dimora, che ricavano da alcuni tronchi tagliati gli elementi di una convivialità spartana per condividere un piatto di pasta, in cerca di un po’ di serenità, fissando alla parete alcune buste di plastica con i pochi effetti personali nella speranza che nessun raid dia fuoco a quell’ambiente, a suo modo domestico. Tutto convive, in un fade-in fade-out di azioni differenti: la persona che fa jogging, che porta fuori il cane, che cammina, che la trasforma in uno spazio temporaneo di vita o in un luogo di breve sosta tra una consegna e l’altra di un lavoro precario, che potrebbe fare una di queste cose e allo stesso tempo fare cruising.
Come frammento di una coscienza collettiva queer, la Fossa diventa simbolo dell’anti-istituzione, di un’istituzione al contrario, rifugio per la diversità. Qui la forma dell’istituzione è scacciata: la Fossa è priva di barriere architettoniche, di una funzione economica, accessibile nella sua potenziale accoglienza degli opposti e dei contrari, che interroga senza sedare, creando un cortocircuito nel sistema de “L’invenzione di Milano” [Lucia Tozzi, “L’invenzione di Milano”]. Qualcuno mormora che nella notte del 5 aprile 2022 ci sia stato anche un rave per celebrare la data nel 1972, in cui si è svolta la prima protesta pubblica organizzata dal FUORI! davanti al teatro del Casinò di Sanremo, contro il Congresso internazionale di Sessuologia sul tema ‘Comportamenti devianti della sessualità umana’.
In un’ipotesi di dare voce propria alla Fossa citiamo alcuni estratti dell’articolo “Storia palpitante e violenta”, apparso sulla rivista FUORI! nel numero di marzo 1973, scritto dall’architetto/artista e molto altro Corrado Levi, negli anni in cui ha più assiduamente frequentato questo luogo: il nostro corpo diventa per noi uno strumento, fra gli altri, di conoscenza. Sperimentando tutte le possibilità che esso offre – invertendo ed assumendo tutti i ruoli, anche a partire da quelli tradizionali, ponendo l’attenzione sulle reazioni di piacere, ma soprattutto su quelle di dispiacere, di disgusto, di repellente, tentiamo di isolare da queste il loro aspetto culturale che è generalmente legato ai valori sociali correnti siamo convinti che non si dà vera vita nella falsa, come ci ricorda Adorno nei “Minima Moralia”, e che il regno della libertà non ci è dato immaginarlo, come ci dice Sartre nella sua “Critica”, e quindi non ci lasciamo tentare dalla seduzione soggettiva immaginifica di desiderio o di amore proiettato al futuro verso tutto e tutti, mentre la vita permane ‘falsa’ per gli attuali rapporti di produzione, l’impronta maschile e il dominio sulle donne, che non le permettono di incamminarsi verso la ricerca e la progettazione della sua verità. Siamo cioè convinti che non si darà un radicale rinnovamento sociale senza mutare entrambe matrice patriarcale, istituzionale e psichica e struttura di classe.