Oggi ho scoperto che un buco nero, se ha un campo gravitazionale particolarmente intenso, forgiato da secoli di storia di favoritismo artistico, può generare intorno a sé il cosiddetto orizzonte degli eventi, una specie di red carpet delimitato da un grande hula hoop rosso da cui nulla che entra può uscire. Ci sono anche diverse teorie nella fisica quantistica che spiegano come si interagisce con un buco nero. Diciamo che normalmente, fuori dall’hula hoop rosso, le interazioni tra particelle sono abbastanza tranquille: si incontrano e cambiano stato, si influenzano, chiacchierano, si bevono una birra e l’andazzo di questo match, oltre a poter essere monitorato dal tasso alcolemico e dalla nascita di buone idee, viene misurato da un parametro che si chiama scattering. Lo scattering, o matrice S, ci dice di quanto la nostra particella ha cambiato traiettoria dopo la collisione con l’Altro-da-sè, così che, nel caso in cui tutto vada male, possiamo sempre andarla a riprendere da qualche parte in giro per l’Universo.
La particella sparisce, come tutto il resto, nel buco nero e continua a vivere lì dentro, solo che noi non sappiamo cosa cavolo stia facendo.
Cosa succede però se una particella incontra un buco nero? O meglio, creando un parallelismo, se una particella come voi o come me decide di entrare nella “settimana dell’arte”, che cosa succede? Se l’era chiesto anche Stephen Hawking, già ben inserito nella scena artistica milanese anche solo per il suo amore per i matrimoni multipli e le minorenni, e negli anni Settanta si era risposto qualcosa che sconvolse il mondo: non succede niente o meglio nulla che noi da fuori possiamo vedere. La particella sparisce, come tutto il resto, nel buco nero e continua a vivere lì dentro, solo che noi non sappiamo cosa cavolo stia facendo.
Come combatterla, quindi, questa enorme asimmetria di informazioni tra il dentro e il fuori? Come spezzare le trame dell’hula hoop che non ci vogliono far capire nulla di cosa succede in questa settimana in cui “Milano dall’8 al 14 aprile si anima” di arte e derivati? Scrivendo un bollettino. Oppure un paradosso, nel quale tutto succede nello stesso momento ma in dimensioni differenti.
LUNEDÌ 8 APRILE
Buongiorno Milano! Oggi il meteo prevede una giornata da piena emergenza climatica e immobiliare, ma noi, non ci pensiamo. Carichiamoci di carta, penna e auricolari e cominciamo il nostro viaggio. L’orario di punta è alle h 18.00 e la traversata è verso sud. Qui Fondazione ICA divide lo spazio per due mostre: Notizia dell’artista visiva Erika Verzutti e Formafantasma. LA CASA DENTRO. Sarà che io penso che in Italia il design sia stato il più memorabile mezzo di ricerca sullo stato delle cose importanti (come vive la gente) – più delle arti visive e più del cinema. Sarà che sono d’accordo su quanto il lignaggio di retorica maschile sull’abitare abbia contribuito all’emergenza in cui ci troviamo oggi, ma La Casa Dentro, il progetto del duo di designer Formafantasma, a cura di Alberto Salvadori, mi sembra, tra le due, la visione in assoluto da non perdere. Lunedì chiudono anche due mostre che vi segnalo. Sul naviglio – quello vero e nebbioso che porta in Piazza Abbiategrasso e poi a Pavia – c’è questa giovanissima galleria di ricerca che si diverte con un connubio sinestetico tra le opere di Noemi Mirati e un sound piece di Giuseppe Bergamino, in una mostra dal titolo La memoria sogna forme liquide. Questo spazio si chiama StudioHomeAwareness e potrebbe essere il naturale proseguo di un tour al di sotto della circonvallazione.
MARTEDÌ 9 APRILE
Per me non è un’offesa e spero che non passi così, ma ci sono degli spazi espositivi che mi fanno pensare: madonna dovrei comprare la sigaretta elettronica e fumarla qui dentro. Non so cosa voglia dirmi questa sensazione: che le pareti sono troppo bianche e ho paura di fumare una sigaretta normale? che le opere sono troppo lucide, patinatissime come una rivista di Vogue? Comincerei dalla Galleria Giò Marconi, che ultimamente ha lanciato delle mostre con artisti lucidissimi – metaforicamente – e altre – come l’ultima – dove di tirate a lucido c’erano solo le opere. In questo caso, però, secondo me Alex Da Corte abita entrambe queste lucidità. World Leader Pretend è una mostra di dipinti, sculture e installazioni inedite dove il punto di partenza è quello spazio che si apre tra fiction e realtà. Per chi dopo il patinato vuole mangiarsi le sagne e fagioli tipiche della zona della ciociaria romana, consiglio di spostarsi da ArtNoble. Qui una personale di Giulia Mangoni: una pittrice dall’immaginario originalissimo che non crede nel locale ma piuttosto mette le radici nell’innaturalezza del transnazionale. In serata, alla Triennale di Milano, i MASBEDO, con la curatela di Cloe Piccoli, presentano la prima tappa performativa di Ritratto di Città, progetto che ha vinto l’edizione 2022 dell’Italian Council. I MASBEDO sono un po’ come quegli alunni che piacciono non solo alle maestre ma anche a tutti i compagni di classe, che fanno bene i compiti, che provano una certa reverenza per i grandi che li hanno preceduti e a cui piace spiare ogni tanto qualche parolina da scopiazzare da loro. Per il progetto al MAXXI dell’Aquila si erano ispirati a Bruce Nauman, per Milano si sono andati a riascoltare gli interventi di John Cage, Luigi Nono, Henri Pousseur, Armando Gentilucci e tanti altri allo Studio di Fonologia della RAI di Milano che, fondato nel 1955, oltre a produrre commenti e colonne sonore a uso radiofonico, ha lavorato su grandi pezzi di musica concreta ed elettronica dell’epoca. Chissà che suono aveva Milano durante la rinascita del dopoguerra e chissà che suono potrebbe avere ora. Sempre in Triennale potete catturare due piccioni con una fava andandovi a spulciare anche la mostra dedicata agli iconici padiglioni di Dan Graham.
MERCOLEDÌ 10 APRILE
Se martedì è stata la giornata dell’iqos io spero per voi che questo mercoledì sia quella delle grandi sorprese. Qui esco dalla mia comfort zone per consigliarvi delle mostre e degli eventi dei quali non riesco a prefigurare il contenuto. Come saranno? Cosa saranno? Boh. Un palazzo in esilio, la mostra personale dell’artista cipriota Theodoulos Polyviou da Fondazione Elpis è il terzo capitolo di un progetto itinerante, Transmundane Economies, nel quale l’artista, con media espansi come la realtà virtuale e aumentata, ragiona sulla strumentalizzazione dell’architettura a scopi propagandistici e coloniali. Un’altro progetto che avrà pochissimo a vedere con la realtà è quello che gli artisti Luca Trevisani e Lorenzo D’Anteo hanno deciso di mettere insieme con lo studio Edizioni Brigantino. Dico progetto e non mostra perché La Volpe salta sul Ghiro Marrone E Gioca con lo Zaino Blu già dal titolo è un’ode all’ars combinatoria dimenticata nell’arte, all’artista come bagatto e trickster imbrigliato a giocare con il fuoco dei tanti elementi. Durante il mese di Aprile, gli ingredienti di questa gelatina ripiena di mondi saranno dischi, serigrafie, zine, talk, rinoceronti, guanti e cotton fioc.
Ah, dimenticavo! C’è anche Settantaventidue, che sa di pipa e scavi negli archivi, e che, come di consuetudine, ci fa scendere giù alla scoperta delle nostre amnesie: Architettura Radicale ripercorre quella congiunzione astrale che negli anni Sessanta spinse gruppi di designer italiani a occuparsi di architettura, mentre una piccola retrospettiva è dedicata all’artista concettuale Stanley Brouwn, che, outsider per scelta, non ha mai voluto che le sue opere venissero recensite, commentate e riprodotte. E forse non vorrebbe neppure che io stia qui a raccontarvi qualcosa di più su di lui.
GIOVEDÌ 11 APRILE
Giovedì… il giorno dello yoga in pausa pranzo, il giorno dei pesci che si accoppiano nel Mediterraneo, della morte in GPS. Comincerei con il recuperare due mostre che hanno aperto la settimana scorsa. L’artista protagonista di Fishphonics: Accelerando negli spazi di Matta è Clara Hastrup e basta farsi un giro di stalking tra i suoi profili per capire quanto siano ingegnosi e – non meno importante – spiritosi i marchingegni che inventa: per far parlare un cactus, per illuminare un frullatore, per far correre i pesci. Da Ncontemporary, una galleria in zona Loreto giusto giovedì scorso hanno inaugurato due personali, di cui una di Salvatore Vitale che si intitola Death By GPS. La mostra riprende le fila del tecnoluddismo, affrontando, tramite la fotografia e il video, il tema del sabotaggio tecnologico nella vita della nuova working class, quella del lavoro a chiamata e da remoto (ovvero noi). Visto che oggi ci siamo già stancati, due note a piè di pagina: giovedì è anche la prima giornata di apertura di MIA Photo Fair, la fiera internazionale di fotografia che si tiene ogni anno a Milano. Il tema quest’anno è changing: come cambia la fotografia documentaristica nel momento in cui l’attenzione e la proliferazione sono tutte rivolte alle immagini amatoriali dai luoghi di conflitto? Delle tre sezioni previste vi segnaliamo “Oltre i confini del Mediterraneo”, organizzata da Rischa Paterlini, intorno al mare nostrum di cui, da sempre, l’Italia ha così paura. Immigrazione, blocchi ai commerci, terrorismo, conflitto mediorientale: sono tutti temi che in questo momento la politica estremista vede come emessi dal vapore di questo mare surriscaldato e che forse il racconto di fotografe come Johanna-Maria Fritz potrebbero aiutare a far sbollire un po’. Ultima chicca della giornata: alle h 19.00 un salto da Ècate Caffè Libreria per la fiaba letta al buio di Cult of Magic.
VENERDÌ 12 APRILE
Cominciamo dall’origine di quella che oggi chiamiamo “Settimana dell’Arte”: oggi apre la 28esima edizione di miart con tema no time no space, una citazione di Battiato, oppure un felice presagio su come ormai questa fiera sia riuscita a portare le sue 180 gallerie e suoi progetti collaterali anche nello spazio. Tra i portali aperti sulla città non posso non citare le matinée di Careof al cinema Anteo: un programma di screening di film d’artista che include opere di Ugo La Pietra, Beatrice Marchi, Ra di Martino, Corinne Mazzoli e tanti altri. Il programma completo lo trovate qui su Zero. La seconda finestra di questo venerdì, invece, dà sull’ edificio progettato da Vittorio Gregotti sul sito della ex fabbrica Pirelli in zona Bicocca, oggetto a breve di una delle tante rigenerazioni urbane che invaderanno la città. Con la mostra di David Horvitz da BiM, a cura del direttore artistico di miart Nicola Ricciardi, ritorna il tema di abbandonare il locale o meglio reimmaginare le distanze come un bel viaggio fantasioso. Il successo di Perfect Days, infatti, sembra essere stato solo la punta dell’iceberg di un ritorno a storie e quindi anche artisti che rendono eccezionale la quotidianità, le morning e le night routine che ci attendono per il resto della nostra vita. David Horvitz è uno di loro. Con Evidence of Time Travel ha vissuto in Europa regolando la propria vita sul fuso orario della California. In For Kiyoko, un lavoro del 2017, invece, quella che sembra essere la più comune tra le immagini di un cielo stellato si scopre contenere le stelle che la nonna dell’artista guardava 75 anni prima da un campo di internamento costruito durante la Seconda Guerra Mondiale. Alle h 18.00 invece ad aprirsi saranno le pagine di una tra le fanzine che hanno fatto la storia dell’editoria indipendente in giro per il mondo. Compulsive Archive e Ten Thousand Feet decidono di regalarci un affaccio su Punk Planet, la zine punk fondata nel 1994 a Chicago, con lo scopo già pioneristico di essere più inclusiva delle riviste di musica tradizionali, dando spazio ad artisti slegati dalle etichette mainstream, ma che poi diventò molto di più: un pezzo della storia che ci ricorda come si fa a schierarsi politicamente, non facendo attivismo, ma facendo buona arte. Poi, c’è un’ultima cosa di cui vi vorrei parlare oggi. Un mesetto fa un conoscente della mia città natale mi ha scritto su Instagram girandomi un post di @SAGGNAPOLI dove lei tiene in mano un fucile e scrive “I thank God for the pain cause it made me this”. Il testo del messaggio del mio amico recitava “Grazie per avermi fatto seguire questo profilo senza senso” e ci ho pensato appena ho visto che sarebbe stata inaugurata una sua bipersonale con Betty BEE da Zaza’, in via Gasparotto 4. Una mostra apparentemente senza senso, caotica e camp, maestosamente napoletana, a cura di un curatore che di solito custodisce le più belle pratiche delle artiste contemporanee: Milovan Farronato. L’opening è stato il 7 ma c’è sempre tempo per fare un salto.
SABATO 13 APRILE
Il programma della giornata potrebbe essere quello di fare un giro tra le fondazioni, per capire che cosa hanno combinato per questa Art Week. Di solito il mio indice di gradimento sulle mostre in istituzioni va in alto quando è difficile scriverne una recensione-contenitore e questa difficoltà è emersa per tutte e due le mostre che vi sto per presentare. Di Nari Ward all’Hangar Bicocca, con la curatela di Roberta Tenconi, non ci sarà mai bisogno di scrivere “è una mostra necessaria” perché lo è davvero. Ward è un artista capace e sincero che non ha mai delegato a nessun team di tecnici il suo rapporto con l’arte, le comunità e i materiali. La sua ricerca racconta un’esistenza particolare, una vita che può avere luogo solamente nelle parti più desertiche degli Stati Uniti. E lo fa parlandoci di quel salto di secolo che l’Occidente non è mai riuscito a completare: dai metallici anni Novanta con i loro muri di suoni affacciati su nebulose di spazzatura, al ventunesimo secolo del benessere con la corsa agli aeroporti e ai duty free shop esotici. Sabato in due orari – alle 15.30 e alle 17.00 – parte di questa grande mostra personale si attiva con una performance sonora in collaborazione con Justin Randolph Thompson, Andre Halyard e Mackda Ghebremariam Tesfaù. Un’altra mostra imperdibile è sicuramente la retrospettiva di Pino Pascali, a cura di Mark Godfrey, in Fondazione Prada. Qui l’artista serpente, l’artista dei tre anni di esposizione, le cui opere hanno cambiato una miriadi di pelli viene finalmente presentato in maniera originale, con una mostra di ricerca che vuole restituire a Pascali il suo scettro di exhibition maker e di maestro dell’anti-monumentalità. Il weekend, poi, potrebbe essere il momento giusto per dedicarsi a una caccia al tesoro. A quest’ora, infatti, vi sarete già imbattuti in qualcosa che non posso più tenere nascosto: il progetto diffuso della Fondazione Trussardi. Italia 70: I nuovi mostri è un remake di una mostra del 2004 dove sedici artisti – allora emergenti – diffondevano le loro opere sotto forma di poster in giro per Milano. Allora l’uso della cartellonistica e l’occupazione più o meno irriverente della città potevano ancora costituire un esperimento pionieristico, sicuramente oggi non lo sono più. Tuttavia, potrebbe essere l’occasione per far camminare in giro per Milano qualche curatore che da anni prende solo taxi? Scherzo. A noi probabilmente servirà per dare un’ultima occhiata a quelle opere che hanno dato vita all’atmosfera dell’arte che, in senso dantiano, abitiamo ancora oggi. Maurizio Cattelan, Paola Pivi, Diego Perrone, Francesco Vezzoli, Yuri Ancarini sono solo alcuni dei settanta artisti coinvolti e alcuni di loro hanno prodotto delle opere ad hoc per il progetto e chissà che queste non parleranno un po’ più da vicino dei mostri di questa nuova Italia, ben diversa da quella del 2004.
DOMENICA 14 APRILE
Domenica fingiamo una piccola gita fuori porta. Tra Dergano e Maciachini il parco Nicolò Savarino potrebbe accoglierci con un bel brunch open studio da Studio Armenia. Eh si, non lo sapevo neanche io, Nuovo Armenia ospita da un po’ quattro artisti – Andreas Zampella, Margaux Bricler, Pietro Catarinella e Mirko Smerdel – e ne sta per accogliere altre tre: Fabiola Skraqi, Martina Zanin e Melissa Pallini. Se siete interessati a vedere che aria tira nella pittura e vi piace la colazione salata siateci, alle h 11.00. In serata, invece, torniamo in zona NoLo, dove SPBH Space con la mostra Friendly Fire riesce a declinare anche il tema dell’intelligenza artificiale in senso comunitario. Al centro del progetto del duo di artisti AATB e dello studio di design Unstated c’è un braccio meccanico che mima i movimenti dei visitatori al di fuori della vetrina dello spazio: una riflessione su come l’arte contemporanea dovrebbe ragionare sull’intelligenza artificiale a cuore aperto, senza rinchiudersi, come Thoreau, in qualche bosco a fabbricare ordigni espositivi e totem analogici che, sì, sono familiari, ma, purtroppo, non hanno più nulla a che fare con noi.