Il lavoro giornalistico dell’associazione antimafia Libera Bologna è sotto attacco. Le inchieste sulle ombre della crescita della ristorazione a Bologna condotte da Andrea Giagnorio e Sofia Nardicchione, dopo aver svelato la diffusione di pratiche malavitose, sfruttamento e lavoro povero hanno ricevuto negli ultimi mesi diffide, denunce per diffamazione e richieste di risarcimento danni, perlopiù a scopo intimidatorio, mettendo a rischio il proseguimento di un lavoro importantissimo che ha contribuito peraltro, a ottobre scorso, all’arresto di 16 persone e al sequestro di diversi locali.
Ultima in ordine di tempo è la diffida da parte di una società al centro dell’ultima video-inchiesta, La febbre del cibo. Bologna, il tuo odor di benessere, destinata a colpire addirittura chi organizza le proiezioni.
A raccontarlo è Libera stessa:
«Nel corso di questi anni – scrivono – abbiamo ricevuto diverse diffide, denunce per diffamazione e richieste di risarcimento danni. Ci siamo sempre difesi nelle sedi idonee, consapevoli che ognuno ha il diritto di procedere per vie legali, per verificare se effettivamente il proprio nome è stato diffamato o la propria attività ha subito dei danni. Rientra nelle prerogative che ognuno ha e noi, da giornaliste e giornalisti ci assumiamo la responsabilità di quanto abbiamo detto, raccontato, comunicato, pur avendo constatato negli anni come in alcuni casi le iniziative configurino “querele temerarie” per la loro palese infondatezza comunque astrattamente idonee a bloccare il lavoro di singoli freelance considerata l’entità delle pretese economiche.
Mai, però, ci era capitato quello che è avvenuto in questi giorni per l’ultima inchiesta “La febbre del cibo. Bologna, il tuo odor di benessere”. Oltre alla diffida di inizio aprile nei nostri confronti – continua Libera -, la stessa società, Puliè srl, che gestisce alcune delle attività di cui abbiamo parlato nel video, ha deciso di diffidare anche chi promuove e organizza le proiezioni. In particolare, la società ha chiesto al Comune di Ozzano – che ha organizzato la proiezione dell’inchiesta in programma il 26 maggio prossimo – di “non consentire la proiezione” e, in caso contrario, ha avvertito che procederà per vie legali anche nei confronti dell’ente. Il motivo: “In tale video vi sono affermazioni gravi, del tutto infondate e diffamatorie che riguardano i miei Assistiti”. La patente di infondatezza e diffamatorietà è statuita, insomma, arbitrariamente dagli stessi interessati senza alcuna decisione a livello giudiziario.
Questo per noi determina un salto di livello e costituisce un fatto gravissimo che riteniamo vada a ledere pesantemente il diritto all’informazione, diritto contenuto anch’esso nella Costituzione, in un articolo, il 21, che garantisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, specificando che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. E nemmeno a intimidazioni. A decidere se il nostro lavoro sia fondato su fatti veri, espresso in termini misurati e di interesse pubblico non può essere la società direttamente coinvolta, ma chi di dovere.
Viviamo in una città, Bologna, che crediamo abbia bisogno di luci su quello che avviene al suo interno, di lavori che possano mettere in discussione determinate modalità di azione e di impresa, che abbia necessità di strumenti per leggere quello che avviene. Ci stiamo provando e continueremo a farlo, convinte e convinti che l’informazione – seppur sempre messa più a rischio – continui a essere una sorgente di democrazia, un aspetto fondamentale di confronto e racconto. Nel nostro piccolo, abbiamo sempre cercato di andare in questa direzione e continueremo a farlo: un’informazione non complice, non pilotata.
Non abbiamo la presunzione di essere assolutamente nel giusto, ma abbiamo la fiducia che, se così non è stato, a deciderlo sarà la magistratura e non l’interessato, prospettando iniziative giudiziali verso terzi con l’intento di fare terra bruciata intorno a noi e nel tentativo di fermare il nostro lavoro.»
Per chi volesse recuperarle, le inchieste di Libera Bologna sono disponibili qui