Le lavoratrici e i lavoratori dei musei e delle biblioteche del Comune di Bologna sono sul piede di guerra. Dopo lo sciopero del 23 maggio scorso, convocato dalla FP CGIL di Bologna per la tenuta dei servizi pubblici della città metropolitana, giovedì 27 giugno si è svolto un incontro tra Amministrazione e Organizzazioni Sindacali sui servizi culturali comunali, ma sono ancora molte le domande e poche le risposte.
“Il quadro che è stato dipinto su musei e biblioteche è catastrofico – afferma il Sindacato Generale di Base SGB. Nel 2024 il Comune ha tagliato il 20% dei fondi ai musei civici. Il personale è ridotto al minimo, con la prospettiva di nuove uscite per pensionamenti, di cui l’Amministrazione non è stata in grado di fornire i numeri ai sindacati. La graduatoria dell’ultimo concorso sta scadendo, non ci sono le risorse per le assunzioni”.
18 le biblioteche e 11 i musei presenti in città oltre a quelli annunciati che dovrebbero aprire nei prossimi anni, ovvero il Museo dei Bambini e delle Bambine al Pilastro, il Polo della Memoria Democratica che dovrebbe nascere nell’area della Stazione Centrale, il Museo della Casa Popolare in Bolognina o, da ultima, l’acquisizione molto discussa di Palazzo Pepoli a seguito della crisi di Fondazione Carisbo e Genus Bononiae.
“Sarebbero buone notizie – afferma la FP CGIL di Bologna – se non fosse che i lavoratori dei servizi culturali del Comune di Bologna sono sempre meno e che gli appalti vengono rinnovati con riduzione di ore di lavoro, come accaduto per le biblioteche”.
E c’è il problema dei pensionamenti e delle uscite volontarie che non vengono rimpiazzate.
“Il Direttore della Cultura dott. Panaro – spiega SGB – ha assicurato che non c’è la volontà da parte del Comune di chiudere biblioteche e musei né di ridurre i servizi. Alla domanda, con quale personale saranno gestiti, la risposta è stata: “Si vedrà”. Ma cosa si potrà vedere? Forse Panaro spera nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci? Oppure l’Amministrazione ha ben chiaro cosaa farà della gestione dei suoi servizi culturali?”
Per il momento, afferma il Comune, nessun rischio di esternalizzazione, anche se l’utilizzo delle delle fondazioni, come Fondazione Innovazione Urbana (diventata la maxi Fondazione IU Rusconi Ghigi) o Bologna Welcome, lascia ancora molti dubbi poiché – temono i sindacati – proprio da lì potrebbero arrivare lavoratori a partite iva o altre forme precarie a mettere delle pezze.
“Il Direttore – continua SGB – ha dichiarato che non stanno esternalizzando, che la Fondazione Bologna Welcome non sostituisce la gestione pubblica ma che il futuro sarà il modello misto Pubblico/Privato e che il privato va responsabilizzato e deve contribuire!”
Eppure una graduatoria dalla quale attingere nuovo personale ci sarebbe, ma scade tra meno di tre settimane e non si sa che fine faranno le 46 persone non ancora assunte tra le 92 vincitrici del bando fatto due anni fa.
Da qui anche la lettera inviata al Sindaco e diffusa da una “precaria della cultura” anonima tra le persone ancora presenti in quel limbo: “Caro Sindaco – scrive – essendo precaria preferisco non metterci la faccia, perché noi precari siamo fragili, ricattabili e licenziabili in ogni momento […] Le biblioteche e i musei del Comune di Bologna hanno drammaticamente bisogno di personale. È già un miracolo se finora non sono stati ridotti gli orari di apertura. Il personale comunale che ci lavora è allo stremo, abbandonato a se stesso e inascoltato; c’è grande malessere e molta frustrazione. È questo il modo di trattare i “suoi” dipendenti? Perchè da Sindaco sta lasciando scadere una graduatoria di un concorso pubblico fatto con tanto impegno e con tanti proclami quando era Assessore alla Cultura? Mentre studiavo per il concorso avevo letto un documento che era quasi un mea culpa sull’esternalizzazione della biblioteca Lame, primo caso di esternalizzazione di un’intera biblioteca e non solo di una parte di lavoratori, e avevo pensato “finalmente un’amministrazione illuminata, che ha capito!”. Mi sbagliavo di grosso. È questa la via che vuole continuare a perseguire, quella delle esternalizzazioni? O del servizio civile, del lavoro volontario, di altre forme di “lavoro” del genere? È quella delle fondazioni? Tutto questo ha un nome, si chiama: precarizzazione selvaggia. […] Mi permetta, in chiusura, di farle ancora un’ultima domanda: lei crede nel settore pubblico?”