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Operazione Tropicale

Due compilation (dal fortissimo dna romano) raccontano la passione per i ritmi caraibici di compositori e autori pop italiani

Scritto da Giulio Pecci & Nicola Gerundino il 10 luglio 2024
Aggiornato il 13 luglio 2024

Aveva un altro gusto. Quello della fine di tempi orribili e di una nuova rinascita. Di una serenità appagante, come l’alba sul mare dopo una notte di tempesta. Anche quello di una tecnologia ancora a misura d’uomo, con le prime utilitarie pronte a essere stipate fino allo stremo da famiglie e suppellettili, inaugurando per la prima volta il concetto di “villeggiatura”. Aveva il sapore di qualcosa che ormai si fa fatica a immaginare: il futuro. Il piacere del futuro, del tutto connaturato nella serenità del presente. Anche quando i primi nuovi nuvoloni iniziavano ad addensarsi all’orizzonte.

Parliamo dell’estate. O meglio, dell’estate italiana, quella a cavallo tra secondo dopoguerra e gli anni di piombo. Anni Cinquanta, Sessanta, Settanta fino agli Ottanta: decenni in cui la Dolce Vita ha conquistato il mondo e ha lasciato che il mondo la conquistasse. La colonna sonora di quegli anni è composta dai compositori di quel cinema che ha fatto scuola: Morricone, Umiliani, Trovajoli, Piccioni Bacalov; ma anche da una “pop music” per la prima volta veramente di massa, tutta intenta a lasciarsi ispirare dai suoni d’oltreoceano.

Oggi due compilation in vinile ripercorrono un lato meno noto dell’estate italiana e della sua musica. “Tropicale”, edita dalla storica CAM Sugar, è una raccolta di brani rari e inediti provenienti dall’archivio dell’etichetta. Un progetto che approfondisce le relazioni incendiarie tra la musica da film e la cultura tropicale negli anni Sessanta attraverso bossa nova, samba, latin jazz, esotica, calypso, mambo e altri ritmi tropicali. “Operazione Sole” invece nasce nelle notti sudate di Maledetta Discoteca, etichetta indipendente e party tutto romano. Musica pop di autori misconosciuti provenienti da tutta la Penisola, accumunati da una fortissima influenza reggae e giamaicana.

Due raccolte piene di differenze ma dal dna assolutamente simile. A un’italianità preponderante che si sprigiona da melodie e testi si uniscono ritmi e suoni che vengono da lontano. L’approccio è quello di Emilio Salgari: immaginare mondi anche senza averli veramente visitati, ma lasciarsi ispirare da suggestioni che finiscono per creare un ibrido immaginifico, una fantasia in technicolor dai toni pastello cui diventa veramente impossibile resistere. Vi raccontiamo, attraverso parole nostre e dei curatori, queste due gemme musicali, per un estato fuori, dentro e attraverso la timeline nazionalpopolare.

 

TROPICALE

«Percussioni afro-cubane stanno infuocando la stanza sudatissima di un locale romano, scandite dal beat frenetico e improvvisato di un ensemble jazz che incornicia una scena felliniana. Un gruppo di signori distinti, in completo scuro e con teste impomatate fresche di barbiere, ha steso i blazer a comporre un tappeto, sovvertendo il tradizionale uso del capo. Una donna ci sta ballando sopra convulsamente, come posseduta, con grazia ed enigma mediorientale. Seduti sul pavimento, gli uomini la osservano rapiti, mascherando il loro voyeurismo con pudica galanteria. Intorno a loro le mogli, altrettanto affascinate da quella scena. La ballerina, intanto, si spoglia fino alla biancheria, facendo roteare ogni pezzo con malizia incurante. All’anagrafe risponde al nome di Kiash Nanà, meglio nota come Aïche Nanà, spogliarellista nata in Libano che aveva trovato una sua carriera a Roma. È il 5 novembre 1958 e il teatro di questa scena dai tratti surreali è il ristorante Rugantino».

Questa scena, raccontata dal journal di CAM Sugar, ha rappresentato uno dei momenti più iconici della Dolce Vita romana, al punto che Fellini la citò nel film omonimo. A possedere il corpo di Kiash Nanà fu l’ebrezza di quegli anni: «l’Italia del Boom, rinvigorita nelle sue economie e nei consumi, si scopre esuberante, maliziosa e desiderosa di frivolezze» Nel concreto però, sono le percussioni e i fiati che si insinuano e fanno vibrare di piacere ogni cosa. La Seconda Roman New Orleans Jazz Band quella sera suona un jazz dixie sguaiato, una musica nata per essere eseguita in spazi chiusi e intrisi di umori, con fumi dell’alcol a rendere tutto più fluido. «Come travolto dalla frenesia dell’estate, il più austero e maturo jazz incontra sfumature esotiche e generi quali samba, bossa nova, calypso, mambo e cha cha cha. La Dolce Vita scopre così una sua nuova faccia musicale, un manifesto sonoro estivo che per tutti gli anni Sessanta farà ballare e sognare gli italiani.»

Ovviamente il genio dei compositori italiani di allora non poteva rimanervi immune. I vari Ennio Morricone, Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Piero Umiliani, Luis Bacalov e via dicendo, lungo il corso della loro carriera ebbero la duplice capacità magica di modellare attraverso il suono il mondo che li circondava e, contemporaneamente, di lasciarsi modellare dal mondo stesso. «Nella raccolta si trovano calypso per commedie e mambo per spy movie all’italiana, cha cha cha per cinema d’autore e danze voodoo per thriller erotici. Scopriamo Pier Paolo Pasolini e Michelangelo Antonioni sedotti dai ritmi tropicali, così come tutta una produzione minore di chicche del cinema italiano che CAM Sugar sta contribuendo a riportare alla luce».

Tra le ventisei tracce bisogna per forza citare un paio di gemme incredibili. “Bianco e nero” di Morricone è un pezzo geniale. Parte da quello che ha tutta l’aria di essere il ticchettio di un bicchiere di vetro colpito da una posata , per poi esplodere in un’orgia tropicale cullata con dolcezza da una di quelle melodie inimitabili che il Maestro era capace di materializzare dal nulla. Si sviluppa in modo così moderno da sembrare quasi un pezzo hip-hop, per approccio e struttura. “Consuelo” di Bacalov è fuori di testa: parte da gorgheggi vagamente mediorientali, passa per un afro-jazz squisito e modernissimo, gioca a perdersi per un po’ nei suoni della marimba e poi si conclude con un virtuosismo blues-jazz puro. In tre minuti traccia una linea rossa diasporica tra Africa, Stati Uniti e Caraibi che è meglio di un saggio post-coloniale. “Mamma Roma” di Carlo Rustichelli invece è un cha cha cha dolcissimo. Riesce a farci visualizzare i nostri nonni vestiti di tutto punto nei locali della Capitale. Son lì ad asciugarsi il sudore dalla fronte con un fazzoletto di stoffa, prontamente infilato nel taschino della giacca una volta che l’orchestra riattacca a suonare. E allora via di nuovo a cingersi la vita a vicenda per tornare a saggiare la tenuta delle scarpe di pelle, lucidate prima di uscire di casa.

«Tra cha cha cha, latin jazz, mambo, bossa e samba, “Tropicale” sembra poterci tanto cullare sotto l’ombrellone, quanto trascinarci in pista. A ricordarci che c’è stato un periodo quando bastava far scivolare un gettone nel juke-box per sognare di trasportare le spiagge caraibiche e basiliane sulla riviera italiana. Atmosfere inseguite anche nell’artwork a cura di Riccardo Corda – già al lavoro con Nu Genea e Mauskovic Dance Band, tra gli altri – che rilegge l’escapismo e lo charme del Mediterraneo mid-century”.»

OPERAZIONE SOLE

«Operazione Sole nasce come risultato della nostra famelica ricerca di vinili oscuri e rarità a 33 e 45 giri. Da quando abbiamo dato vita a Maledetta Discoteca nel 2019 questa ricerca si è focalizzata molto sulle produzioni italiane. Un paio di anni fa, mentre eravamo in ascolto degli ultimi ritrovamenti, abbiamo notato che c’erano diversi brani con il ritmo in levare. Non stiamo parlando di artisti conosciuti che già sapevamo aver composto brani di matrice reggae – Loredana Bertè, Mattia Bazar, Rino Gaetano, Mario Lavezzi, Lucio Dalla, Battisti, Fossati, etc. – ma di artisti o gruppi meno noti ai più – in qualche caso possiamo dire totalmente sconosciuti – ma non per questo meno validi dal punto di vista dell’arrangiamento e dell’esecuzione. Quel giorno ci è venuta la malsana idea di scavare ulteriormente l’influenza del reggae nel pop italiano e di farci una compilation. Abbiamo parlato del progetto a Luca Sorrentini, enfant prodige del digging italiano – all’epoca aveva 14 anni ma già un background di conoscenze e una collezione di vinili da far paura – che si è subito entusiasmato all’idea e da lì abbiamo iniziato a lavorarci su seriamente. Quindi per rispondere alla domanda, diciamo che nasce prima la volontà di indagare in profondità il genere. Visto il tema poi, la compilation non potevamo che farla uscire in estate.

La scelta del titolo ha avuto una una lunga gestazione che ci ha visto mettere sul piatto diverse opzioni prima di arrivare a una conclusione. Ci serviva qualcosa che richiamasse l’estate, il mare, il caldo, il Belpaese, la spensieratezza di un’epoca senza essere però troppo espliciti nel citare la parola Reggae che non volevamo inserire nel titolo. Non riuscivamo però a trovare qualcosa che soddisfacesse tutti. A un certo punto è uscito fuori “Operazione Sole“, come il brano del 1967 di Peppino Di Capri, considerato dai più come il primo pezzo ska in Italia, o almeno il primo che parlasse esplicitamente di Giamaica e ritmi in levare. In quel momento è arrivata l’illuminazione e abbiamo realizzato di avere un titolo perfetto che da una parte evocava l’estate, il caldo, la spiaggia, il mare e che al contempo avesse anche un legame diretto con l’influenza della musica giamaicana nella produzione musicale italiana. Quando poi il grafico ha iniziato a lavorare alla copertina ci siamo resi subito conto che l’abbinamento di “Operazione Sole” con la foto era straordinario e a quel punto abbiamo capito che miglior titolo non poteva essere scelto. Per la foto di copertina dobbiamo ancora ringraziare il Chiosco Bar ai Lidi di Jesolo che ha un archivio fantastico.

Il progetto Maledetta Discoteca già di suo si focalizza molto, anche se non esclusivamente, sul periodo che va dalla seconda metà degli anni Settanta e arriva fino alla fine degli Ottanta, un’epoca in cui in Italia proliferavano musicisti, arrangiatori, autori, compositori e artisti di altissimo livello. È stato quasi naturale quindi aver preso in considerazione brani di quel periodo. Non volevamo andare oltre gli anni Ottanta perché ci interessava mettere a fuoco proprio un tipo di pop contaminato dalla musica reggae tipico di quel periodo. Già dalla seconda metà degli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta sono emersi gruppi in Italia che facevamo propriamente reggae con un immaginario specificatamente giamaicano. Parliamo dei vari Africa Unite, Pitura Freska, Otto Ohm, Sud Sound System, ma non era il mondo che ci interessava. Noi volevamo portare a galla brani pop oscuri e b-side dimenticati che avevano come influenza il ritmo reggae, ma che non erano composti da cantanti o band propriamente reggae. Si tratta di un periodo chiave anche per altri due motivi: da una parte il reggae si è affermato come evoluzione dello ska e del rocksteady proprio agli inizi degli anni Settanta, quindi per aspettare la sua diffusione a livello mondiale c’è voluto qualche anno, dall’altra c’è stata l’esplosione del fenomeno Bob Marley che con il suo leggendario concerto allo stadio San Siro di Milano il 27 giugno del 1980 si è imposto definitivamente anche al pubblico italiano generando così la curiosità e la voglia di confrontarsi con questo genere da parte di molti artisti nostrani dell’epoca.

Prima di scegliere le nove canzoni che compongono la tracklist abbiamo tirato giù una lista di oltre quaranta brani: un’enormità se si pensa che, come detto in precedenza, non sono stati inclusi quelli di artisti noti. Abbiamo scavato parecchio e probabilmente c’è ancora da scavare. Sono stati lasciati fuori brani che adoriamo, ma nel complesso abbiamo cercato di inserire i nove che ci convincevano maggiormente e che dessero alla compilation una maggiore fluidità. Detto, questo non escludiamo di realizzare anche un secondo volume in futuro, anzi. L’impatto che questo primo volume sta avendo è andato oltre le aspettative: abbiamo venduto alcune copie in Giappone, negli Stati Uniti, Dubai, Messico e anche in Malesia.

Raggiungere i vari artisti che hanno partecipato al disco è stato un percorso molto faticoso da una parte, ma ricco di soddisfazioni dall’altra. Siamo riusciti a contattare direttamente quasi tutti tranne (fanno eccezione Stefano Fani e Gino Santercole che purtroppo ci hanno lasciato). Nel caso di Santercole siamo però riusciti a entrare in contatto con Melù Valente, sua moglie nonché autrice del brano “Ancora Noi” presente nella compilation. Sono stati tutti disponibili da subito, spesso rimanevano sorpresi del fatto che avessimo scelto di inserire proprio quel brano nella tracklist. Un aneddoto divertente riguarda uno dei brani che alla fine non è stato inserito in questo volume: quando riuscimmo a contattare l’autore per chiedere la licenza, quest’ultimo neanche si ricordava di aver composto quel brano e fu molto contento che glielo avessimo ricordato. Abbiamo incontrato personalmente Fiammetta Tombolato (“Azzurre Stelle”) che vive a Roma, è ancora attiva nel mondo musicale, insegna canto e gestisce un negozio di strumenti musicali a Centocelle. È stato fantastico conoscerla di persona e sentire alcuni racconti legati alla sua lunga carriera, dagli esordi con il Clan di Celentano fino all’esperienza televisiva di “Bandiera Gialla” di Arbore/Boncompagni, passando per la sua carriera di attrice e di interprete di sigle di cartoni animati (fra cui spicca quella di “Carletto il Principe dei Mostri”). Lei era molto amica di Gino Santercole e di sua moglie Melù Valente. Quando ha scoperto che c’era anche un suo brano nella compilation è scoppiata dalla felicità. Siamo così riusciti involontariamente a riavvicinare anche due amiche di lunga data.

Per approfondire il discorso e capire meglio l’influenza del reggae nella musica italiana consiglio di leggere le note di copertina sul retro della compilation stilate dal nostro caro amico Francesco Piddu Arnaudo, uno dei massimi esperti di musica e cultura giamaicana in circolazione a livello mondiale. Ecco un estratto: “Il disco che avete in mano vuole essere una testimonianza di quanto i suoni nati a Kingston fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta abbiano non poco influenzato il pop nostrano. Con la prima esplosione del reggae in Inghilterra fra il 1968 ed il 1970, nonché con l’assurgere di Bob Marley a fenomeno di culto mondiale, parallelo al fenomeno tutto inglese della Two Tone e del revival ska, l’Italia, sempre attratta dalle nuove tendenze non solo inglesi, non poteva certo stare alla finestra. Pertanto queste innovative e sconosciute sonorità in levare, derivate dal blues degli anni Cinquanta e rimescolate in salsa caraibica, hanno preso piede anche nel Belpaese. Si inizia già nel 1959 con il brano “Nessuno” di Mina, considerabile a tutti gli effetti uno shuffle giamaicano, per arrivare in pochi anni al blue-beat (I 4 di Lucca, Claudio Casavecchi) e allo ska (Margherita, Peppino Di Capri, Silvano Silvi, Renzo e Virginia) ed essere proiettati al primo reggae, ad esempio Jo Fedeli e la sua versione italiana di “Israelites” di Desmond Dekker. Si giunge così rapidamente alla fine del decennio del boom economico: cambiano la cultura, gli stili, i riferimenti e tutto diventa più impegnato, a livello culturale, artistico e politico) Dopo una fase di stallo durata più di un lustro, ecco che il reggae di Bob Marley (considerato una sorta di nuovo Messia) conquistare il pianeta, Italia compresa. I produttori e gli artisti, anche ad alto livello, per qualche anno non rimangono affatto indifferenti a questa novità e decidono di introdurre il “levare”, in primis il reggae, nei vari repertori pop: nomi conosciutissimi come Loredana Bertè, Mario Lavezzi, Rino Gaetano, Ivano Fossati, Ilona Staller, Adriano Celentano, Edoardo Bennato (giusto per elencarne alcuni) si buttano a capofitto in nuove avventure sonore, in maniera sì pionieristica, ma spesso con ottimi risultati.​ La raccolta “Operazione Sole” vuole prendersi il merito, invece, di proporre e far scoprire artisti meno conosciuti, spesso delle vere e proprie meteore nel panorama musicale italiano, che hanno cercato di ottenere (o raggiungere nuovamente) il successo adattando il pop tanto in voga in quegli anni ai nuovi suoni black imperanti in occidente».