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Andrea Perini

Terzo Paesaggio: un sistema di luoghi per piccole utopie situate

quartiere Corvetto

Scritto da Piergiorgio Caserini il 11 ottobre 2023
Aggiornato il 13 ottobre 2023

La città cambia, e negli ultimi anni si vede. Cambia nei termini in cui la si pensa e in cui la si agisce. A Chiaravalle, piccolo quartiere di Milano nel Parco della Vettabbia, da dieci anni Terzo Paesaggio prova a ripensare le maniere di vivere i bordi urbani come spazio di relazione tra città e campagna. Le maniere di abitare un paesaggio, facendo di esso un ragionamento e un esercizio continuo, che mescola pratiche artistiche, architettoniche, pedagogiche, del cibo e rituali. Andrea Perini ci racconta della nascita, del rapporto importantissimo con Chiaravalle, e di che cosa sia diventato negli anni l’orizzonte dell’organizzazione Terzo Paesaggio.

«Ci siamo resi conto, nel tempo, come Chiaravalle fosse un paesaggio manifesto, capace di informare tutta la nostra progettualità, cercando un forte radicamento.»

 

Gli esordi: quando nasce Terzo Paesaggio?

Terzo Paesaggio nasce nella sua prima forma dieci anni fa, nel 2013 nelle vesti di un progetto che avrebbe dovuto accompagnare la mia uscita dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano (dove ho fatto la classica gavetta: maschera, direttore di sala, amministratore di compagnia, tour manager…). Allora coinvolsi un manipolo di compagnie teatrali, con l’idea di creare un “territorio-rifugio” dove queste progettualità artistiche potessero trovare luogo. Mi feci un tour in Italia con un camper per cercare di mappare questi “spazi indecisi” – che ho imparato poi a chiamare “spazi ibridi” –, che potessero accogliere queste istanze creative. Il progetto naufragò dopo un anno, per ovvie difficoltà a sostenersi.

Quando arriva invece Chiaravalle?

È successo mentre cercavo di distribuire spettacoli (che nessuno voleva comprare), quando ho incontrato Daniela Rocco, un’abitante di Chiaravalle. Cominciò a parlarmi del desiderio condiviso di fare un luogo in quartiere capace di corrispondere a istanze creative e culturali, così individuammo un giardino privato, un vuoto urbano messo temporaneamente nella disponibilità pubblica da una persona magnifica, Matilde Ippolito. Con Daniela capiamo immediatamente che quella può diventare la piazza che Chiaravalle non aveva. Nel frattempo avevo incontrato Marta Bertani, la mia futura compagna, che da architetto e paesaggista (intenta anche lei a cercare delle fuoriuscite dal mondo formale dell’architettura) riuscì a caricare tutto il progetto di un senso nuovo. Quello è insomma stato il momento in cui abbiamo realizzato che Terzo Paesaggio potesse essere uno di questi spazi indecisi che stavamo cercando.

Qual è stato l’avviamento del progetto?

Per prima cosa realizzammo in auto-costruzione gli arredi della nuova piazza, assieme agli studenti del Politecnico di Milano. Ma una volta ultimati gli arredi abbiamo compreso come la questione centrale stava nel come abitare il luogo. Con Alessandro Di Donna (che ai tempi cercava un progetto di innovazione agricola) abbattiamo uno dei portali e lo trasformiamo in un’architettura informale per mangiare le angurie, nasce l’Anguriera di Chiaravalle (con una splendida insegna di Arianna Vairo che conserviamo ancora). Le storie delle anguriere, nella pianura lombarda,   ci parlano di biografie di poveruomini, che affittavano qualche pezzetto di terra, per seminare un pugno di semi e all’arrivo dell’estate divenire magnifici osti di luoghi magici, inondati dagli insetti. Per certi aspetti, le anguriere sono piccole utopie dell’abitare, tra informalità, autoproduzione e autocostruzione.

Capitarono poi due eventi che in qualche modo ci aiutarono a convincerci che eravamo su una strada interessante. Marta, un giorno, in libreria, aprendo una pagina a caso di La piuma blu: abecedario dei luoghi silenti, trovò una paginetta dal titolo: “anguriera,” che l’autore Marco Ermentini descrive come «Un tempio gioioso dell’ipoconsumo». Molto colpiti chiamammo subito Marco, ci parlammo e diventammo amici. Con lui capimmo più chiaramente quel che stavamo facendo. L’altro evento accadde spulciando l’archivio di famiglia di mia nonna Maria, quando scoprii che suo fratello aprì quell’ultima anguriera della Paullese che, proprio pochi mesi prima, aveva chiuso per sempre. Ecco, gli esordi di Terzo Paesaggio sono stati così: poetici! Poi sono arrivati gli incontri con gli artisti, Isabella Bordoni su tutti. Ma come non citare Phoebe Zeitgeist, i Dom… Ma anche il ruolo dei sostenitori, come Fondazione Cariplo è stato importante.

Tutto il lavoro di Terzo Paesaggio s’impegna a costruire “con” i luoghi, specialmente nell’articolazione degli spazi di soglia, tra campagna e città. Tra il pane con Longoni, le camminate nei campi, le residenze artistiche e gli incontri pubblici, tutte sembrano progettualità volte a immaginare modi di abitare i luoghi – o di immaginare i luoghi stessi. Che ruolo ha avuto Chiaravalle in questo?

Chiaravalle cominciò a informare diversi aspetti di tutto il pensiero del progetto, fin dall’Anguriera. C’era innanzitutto la volontà di evitare di cadere nelle semplificazioni più canoniche, quelle del bucolico o del paesaggio come cartolina da guardare. Dell’abbazia che diventa buona per lo spot televisivo. Oltretutto questo “bordo” è estremamente urbano e complesso: aria pessima, acque non sempre così salubri, terreni desertificati o abbandonati e quando si coltiva si fa perlopiù foraggio e agricoltura convenzionale. Insomma non è affatto la cartolina patinata della campagna. Chiaravalle poneva delle urgenze, era un borgo in fase di trasformazione, usciva da una condizione di assoluta cesura nel rapporto tra borgo e abbazia, per la presenza del colatore fognario, poi depurato, che vi passava accanto, della ferrovia Milano-Genova (frequentatissima), poi dismessa.

È stata anche “terra di nessuno”, tra discariche, spaccio e tentativi di speculazione. La frequentazione di Chiaravalle, in questa particolare fase di apertura, ci ha portato ad avere un approccio sempre più rivolto alla visione territoriale.

Dovevamo osservare e capire le relazioni tra Corvetto e Chiaravalle, e più in piccolo tra Chiaravalle e Abbazia. Comprendere il significato, le opportunità, i limiti della rete di cascine in trasformazione, del reticolo idrico minore in abbandono, dei campi agricoli da rigenerare, dei servizi, degli spazi di attivazione culturale.

Ci siamo così resi conto, nel tempo, come Chiaravalle fosse un paesaggio manifesto, capace di informare tutta la nostra progettualità, cercando un forte radicamento.

Chiaravalle, nella sua reciproca relazione con Corvetto e la città, con tutto il portato problematico e conflittuale di una periferia urbana (dall’emergenza abitativa, all’agricoltura da reinventare, all’aria inquinata, alla scarsità di servizi) diventa un’aula a cielo aperto, un laboratorio progettuale sull’idea di città del futuro.

Quando è arrivata invece l’idea di far uscire Terzo Paesaggio da Chiaravalle? Di ampliare i temi che avevano avuto luogo nel borgo e trovare modi d’applicazione, un metodo, altrove?

C’è stato un momento in cui ci sentivamo isolati, subendo un po’ le fatiche del caso. Poi abbiamo iniziato a incontrare molte esperienze come la nostra (e poi è nato Lo Stato dei Luoghi. La rete nazionale di attivatori di spazi rigenerati).

Chiaravalle non era un “borgo”, ma quasi un’area interna di Milano. C’è stata anche una fase di disinnamoramento: Chiaravalle ci sembrava stretta a tratti persino respingente. Ci chiedevamo, in tutta la complessità del caso, cosa potesse trasformare un centro culturale, in una città già satura di pratiche come quella di Milano. Avevamo certo desiderio di un luogo corrispondente: ma era la soluzione aprire l’ennesimo spazio, l’ennesima associazione, l’ennesimo progetto?

La pratica del meshwork, dell’intreccio, dell’assemblaggio di spazi, discipline, ambiti è diventata prevalente.

Abbiamo iniziato a desiderare uno spazio culturale che non fosse collocato in un unico luogo (pensa che l’insegna l’abbiamo messa un anno fa, solo perché costretti), perché l’importante per noi era ed è l’ecosistema di spazi e luoghi attivabili. Una rete di spazi e iniziative (anche non promosse da noi), assemblate tra i bordi della città e della campagna, che messe assieme potessero restituire una visione di territorio complessa, un paesaggio contemporaneo.

Terzo Paesaggio nasce da e con Chiaravalle e oggi è disponibile per farsi attraversare da altri luoghi.

A Rivolta d’Adda questo inizio settembre, nell’ambito di Come Fiume che Scorre, grazie all’impegno di Ortofficine Creative, abbiamo potuto sperimentare un workshop intensivo particolarmente significativo, cercando di esplorare la relazione con il fiume Adda che ci ha portato a vivere insieme nella prospettiva utopica del mondo  fantastico e politico di Ursula K. Le Guin e a costruire una zattera cinema galleggiante. Un momento progettuale che credo sia stato un passaggio per noi, soprattutto rispetto al tema del landscape learning.

Particolarmente importante poi, in questo senso, fu il tema del pane (d’altronde noi nasciamo con le angurie!). Conoscemmo Davide Longoni nel 2014, quando arrivò con la sua prima bottega a Milano, che da subito diventò un amico dell’Anguriera, fornendoci il pane. Con lui iniziò un’alleanza che aveva all’orizzonte un sogno comune: una bottega del pane che fosse sia uno spazio culturale che un luogo di produzione e vendita, una bottega in grado di entrare in relazione profonda con il tessuto sociale e culturale dei luoghi.

La Scuola del Pane, Madre Project, è una vostra iniziativa molto recente ma che sembra, come dici tu, particolarmente indicativa del vostro orizzonte progettuale. Qual è l’importanza del rapporto tra grano, panificazione e territorio?

Cominciammo a immaginare il pane come un tema di relazione con la trasformazione della città, come un medium. Il pane è semplice, ma parla a tutte le culture ed è profondamente legato alla terra. Penso che l’incontro con il tema del pane ci abbia aiutato a definire meglio le pratiche di Terzo Paesaggio: non tanto l’animazione territoriale, ma la capacità di generare delle piccole utopie situate. Apparecchiare contesti dove attivare pratiche di rigenerazione urbana che mettano al centro la negoziazione tra umano e non umano.

Con questi presupposti ci siamo aperti a una serie di collaborazioni con il mondo artigiano (ad esempio con i vignaioli), per sviluppare progetti culturali oltre il food.

Il lavoro con Davide comincia prendendo in gestione sei ettari di terreno dal Comune di Milano (grazie al progetto OpenAgri) e facendo nascere un’azienda agricola. Lì si coltiva, si fa innovazione e sperimentazione con la collaborazione di Soulfood Forestfarms e le università Politecnico di Milano e La Statale di Milano, e il campo agricolo diventa anche il luogo dove far accadere il public program.

Da lì nasce l’idea della scuola, Madre Project, che inaugura adesso dopo quasi 2 anni di coprogettazione e una serie di test con le studentesse e gli studenti.

Nasce dal Crowdfunding Civico di Comune di Milano, con 360 donatori e dalla collaborazione con Davide Longoni, Avanzi e dall’impegno di sponsor privati (Tagliavini, Volvo…), ma soprattutto una rete di artigiani, artisti e pensatori che sono interessati a pensare con il pane per reincantare il mondo.

Abbiamo parlato di “landscape learning”, di “luoghi sensati”, di “micro-comunità temporanee”: quanto è centrale l’idea di apprendimento collettivo, d’esperienza diretta e d’esercizio, nel vostro modo di intere il progetto e gli spazi?

A Madre siamo ossessionati dal progetto degli spazi di apprendimento, per attivare contesti per imparare a imparare, per far fare, per liberare le capacità di aspirare dei partecipanti.

Madre è nata da un progetto, da un intreccio di  bandi che Terzo Paesaggio ha intercettato e saputo mettere a sistema.

Alcuni analisti rilevano, giustamente, che spesso c’è un gap di accesso alle risorse e alle energie circolanti nel sistema dei bandi e progetti che pure insistono nelle periferie, dove le persone fragili rimangono escluse dalla possibilità del cambiamento. Questo è un tema che non si può ignorare, tuttavia necessità di analisi molto complesse.

Terzo Paesaggio si muove sempre di più nel disegnare paesaggi dell’apprendimento. Con Madre Project abbiamo attivato una relazione, che intendiamo stabile, con tutte le scuole del territorio Corvetto-Vettabbia-Chiaravalle, coinvolgendo mille bambine e bambini in un ponte tra dentro e fuori le scuole del territorio, in un percorso di relazione con il pane che può realmente aprire una prospettiva di cambiamento. Da un lato per quanto riguarda la percezione del proprio territorio, anche solo in termini di cura e uso degli spazi. Dall’altro in termini di comportamento e attività. Ci piace pensare che tra questi bambini e bambine, tra queste famiglie, ci sia chi, magari proprio grazie al public program di Madre, desideri riconnettersi con la terra e riesca a fare più facilmente un pezzo di questa trasformazione.

Madre è un mix di funzioni: c’è la scuola di alta formazione con il percorso Master per aspiranti imprenditori del pane, c’è il public program aperto al quartiere e alla città, c’è l’impegno sulla transizione ambientale con un progetto di agroforestazione dei campi di cereali.

Seguendo questa linea siamo arrivati all’idea di realizzare un ecosistema di spazi, con nuove appendici mobili e temporanee con l’obiettivo di aumentare la possibilità di accogliere artiste e artisti (come fai a invitare comunità temporanee, artisti o persone se una camera ti costa ormai duecento euro a notte? Non rimane allora che inventarsi un modo alternativo.

Quali sono quindi i temi e gli orizzonti con cui si potrebbe descrivere Terzo Paesaggio?

Se Terzo Paesaggio oggi ha una linea che è quella di formazione e capacity in partenza (Madre Project) ha una parte in fase di prototipazione: quest’idea di workshop residenziali (a Chiaravalle come in altri luoghi), dove queste micro-comunità temporanee possono corrispondere con il luogo, accogliere input esterni e sviluppare temi site specific, lavorare su un immaginario e attraversare così i linguaggi fino a trasformarsi. Una specie di micro-scuola, ma anche il nuovo progetto sul paesaggio rivolto ai bimbi (e tutto dedicato a Sofia, la nostra bimba!).

Poi c’è il tema del progetto degli spazi, dell’atelier. Da un lato continuiamo nel progetto di riqualificazione del Padiglione Chiaravalle, rigenerando lo spazio della ex-palestra, ma oggi siamo sempre più convinti che la misura effimera e nomade (quella che già coltivavamo all’inizio con l’Anguriera) sia la nostra strada e la nostra storia.

Ora per esempio, dopo l’esperienza della progettazione architettonica del Laboratorio Mobile di Panificazione di Davide Longoni (realizzato da Marta e Egidio Giurdanella, altra anima di Terzo Paesaggio), siamo molto affascinati dai dispostivi mobili.

Troppo spesso gli investimenti strutturali su un edificio da rigenerare hanno portato via energie al progetto più ampio che poi rischia di perdere in radicalità.   Per questo stiamo ragionando su un progetto di “villaggio temporaneo”, un dispositivo flessibile e riconfigurabile che pur costruendo una relazione con il luogo, è capace di evolvere.

Vediamo cosa accadrà in questa ritrovata dimensione effimera, sperando di continuare a fare ricerca e non perdere in radicalità.