Ogni luogo ha i suoi Santi Patroni, figure che si sono immolate per cause, che hanno predicato e che non hanno avuto paura di mettersi in prima linea. Personaggi a metà strada tra mito e leggenda, tra verità e finzione. Calvairate non ha santi, non ha madonne ma ha una protettrice. Controversa, istrionica, mai silenziosa. Un’artista che ha fatto delle sue canzoni un manifesto. Un cuore pulsante a ritmo della sua musica, quella di Serena Spadavecchia in arte, e per la “sua gente” Comagatte.
«Le ragazze di Calvairate sono quelle ragazze cresciute in un ambiente poco confortevole, che si sono rimboccate le maniche mettendo tutti i propri traumi in spalla.»
Da Molfetta, tua terra d’origine, a Calvairate, patria attuale, sono circa 900 km. Cosa porti con te delle tue origini pugliesi?
La fame. Giù c’è un sacco di fame ma quasi nessuno sa saziarsi. Le cose girano diversamente al sud, c’è chi si coccola e chi come me, ha fatto le valigie e si è svegliato. Arrivo in un quartiere che non è Missori, ma sto bene. D’altronde Calvairate è per pochi. Io sono del sud Italia ma sono comunque emigrata come la mia famiglia marocchina, tunisina, colombiana che ho in piazzale Cuoco.
Il mercato discografico di oggi è un grande contaminazione di generi, suoni e influenze. Come ne pensi del panorama italiano e come definiresti la tua musica, in termini di genere?
Più che definire la mia musica rischiando di renderla facilmente etichettabile in un genere, preferirei definirmi il mio essere un’artista. Mi ritengo eclettica. In Italia ci sono quattro artisti per genere, con diversi stili musicali e altrettante personalità. Io riesco a fare miei tutti i generi e a scrivere la musica per ogni tipo di artista che è in top list. Non possono parlare della mia musica. Parlo di me: sono l’unica donna di quartiere che ancora parla di quest’ultimo, in chiave ironica, su cassa dritta. Le persone, gli ascoltatori, devono capire da dove vengo e chi sono prima di parlare del genere della mia musica.
Sappiamo che il nome d’arte Comagatte deriva da una favola che ti raccontava la nonna da piccola. Quale è stato il ruolo della tua famiglia nel tuo percorso artistico?
Io sono la pecora nera, e ho capito con il tempo che nessuno ha mai creduto in me. Il supporto in famiglia per certi versi c’è stato, ma è una carezza rispetto a un genitore che accompagna mentalmente e fisicamente un figlio in un percorso difficile come quello artistico. Devo dire che però mia nonna mi ha indirizzata alla perfezione della scrittura. Scrivevamo poesie e preghiere su fogli e le leggevamo rispettando la punteggiatura. Mia nonna è la mia anima, io sono lei, per davvero, non porto solo il suo nome.
A proposito di percorso artistico, quali sono le tue 3 canzoni che più rappresentano l’evoluzione di Comagatte?
Il percorso di Comagatte è in continuo divenire ma potrei riassumerlo in tre canzoni che ne rappresentano l’evoluzione. I tre brani sono: “LA LA LA”, “Stronza”, “Le ragazze di Calvairate”.
Le ragazze di Calvairate è diventato di fatto il manifesto del quartiere in cui abiti. Quali sono i tratti distintivi di queste “ragazze”?
Le ragazze di Calvairate sono quelle ragazze cresciute in un ambiente poco confortevole, che si sono rimboccate le maniche per costruirsi un futuro migliore mettendo tutti i propri traumi in spalla. Le ragazze di quartiere hanno uno sguardo diverso, le riconosco. Questo non toglie nulla ad altre ragazze, ognuno è cresciuto a modo suo. Io sto dalla parte della giungla, siamo selvagge ma sappiamo stare al gioco, siamo “figlie di puttana”.
Una canzone, ma anche una denuncia, uno status, e un impegno sul territorio. Sappiamo che da tempo segui un progetto dedicato alle donne nella realtà di Macao. Di cosa si tratta?
In questo periodo Macao sta affrontando una situazione difficile e tutti i ragazzi di quel magnifico posto hanno il mio supporto, la mia voce. Il progetto è seguito da donne competenti che offrono un servizio indirizzando alle ragazze di ogni età in difficoltà in un percorso contro le violenze, offrendo cure mediche o semplicemente parlando e tenendosi compagnia. Credo sia molto importante. A tal proposito nei primi giorni del mese di ottobre si terrà un dibattito per affrontare insieme le incurie di questo quartiere.
Hai un profilo social molto attivo e nei tuoi contenuti ti mostri ironica e divertente. Spesso utilizzi questi linguaggi per parlare di temi importanti come il rispetto per le donne e la body positivity. Quale messaggio vuoi che arrivi al tuo pubblico?
Il messaggio è ‘non normalizzare il normale’. Basta strumentalizzare le paure e le debolezze imposte da tutti i media che ci circondano. Io sono bella perché mi sento bella, non perché me lo dici “tu”. Nel momento in cui dovessi sentirmi “brutta” cercherei attraverso un percorso personale di andare a fondo della questione.
Accettarsi e fare del bene a sé stessi è la prima regola per sentirsi belli. Al contrario, se l’aspetto fisico è vissuto con malessere, il primo passo è guardarsi dentro e allontanarsi dai modelli proposti.
Sì, perché per qualcuno il “brutto” è semplicemente un paragone all’immagine stereotipata che ci propongono tv, social ecc.
Nonostante questo periodo non sia stato favorevole al settore discografico, il tuo, agli occhi degli esterni e fruitori della tua musica, è stato un anno pieno di highlights. Parliamo di progetti, di recente sei uscita con un nuovo singolo e un video pazzesco. Cosa bolle in pentola?
Al momento ho fatto uscire due freestyle, poi il singolo. Credo che dopo questo progetto mi godrò le uscite e magari mi farò una grande pausa. Lavorerò in “back office”.
Immaginando che tu abbia la possibilità di organizzare un maxi concerto in piazzale Cuoco, con chi ti piacerebbe dividere il palco?
Se dovessi immaginarmi un momento musicale a due passi da casa, in Piazzale Cuoco, da regalare al nostro pubblico, l’unico artista che sceglierei e che mi piace è emanuelinoz4. Pachuco!