Luwei è una DJ nata in Cina, nel Sichuan. Si destreggia tra panda e techno e conosce i segreti della club culture a cavallo tra l’Europa e la Repubblica Popolare Cinese. I suoi set tech-house elettronici riprendono la musica underground dell’adolescenza cinese, in una ricerca sonora territoriale che disegna paesaggi e futuri mescolandoli ai toni dei ricordi di un’adolescenza lontana.
«I locali cinesi classici sono quelli un po’ trash, tirati che trovi anche qui col tavolo e il tipo che dice “su le maniii” sparando i petardi mentre bevi champagne.»
Ciao! Abiti qui in zona da tre anni, giusto?
Sì, mi son trasferita qui in Chinatown da tre anni, ho sempre bazzicato a Sud di Milano. Finché non ho trovato questa casa super cute e mi son trasferita qui. L’ho sempre vissuta Chinatown, anche quando non abitavo qua, essendo immigrata cinese. Sono arrivata in Italia nel 2011, a vent’anni. Finito il liceo in Cina sono venuta qui per frequentare Nuove Tecnologie dell’Arte all’accademia di Brera. Ho iniziato a frequentare il quartiere fin da subito perché sapevo che esisteva e ai tempi era strutturato in maniera completamente differente. Per noi cinesi è super importante ritrovare il nostro cibo ovunque andiamo, e sapevo che lì c’erano i supermercati col cibo di casa. Venire qui significava fare spese enormi di cibi e salse e andare al ristorante: un rituale settimanale. E in questi anni, davanti ai miei occhi, la città si evoluta moltissimo, anche durante il lockdown. Qui in Sarpi non c’era l’esplosione di localini di street food che c’è oggi e poi ho l’impressione forte che adesso sia un luogo di culto, che i turisti vengono appositamente a visitare, e non era affatto così quando venivo a fare i miei pellegrinaggi per riempire il frigo.
E adesso eccoti qui, resident dj per Radio Raheem. Come si è evoluta la tua carriera dopo gli studi?
Durante gli studi di Nuove Tecnologie mi sono specializzata in videomaking, per poi continuare a lavorare come videomaker. Ho iniziato a fare la dj circa 3 anni fa, ovviamente per ora non mi dà da magnà! Quindi faccio ancora la videomaker oltre a produrre musica. Tutta la mia famiglia è in Cina, io sono venuta qui da sola, come tanti dei miei amici connazionali, perché non volevo continuare a studiare in Cina. E son ben tre anni che non posso fare ritorno a casa per la situazione pandemica: il lockdown cinese inoltre è veramente severo e spero in un momento futuro di farcela.
Qual è la tua città di provenienza?
Ah, il famoso pepe di Sichuan…
Sì, brava! Quel pepe particolare super speziato che adesso usano perfino nei cocktail qua a Milano, come ho notato di recente. Ma di veramente famoso, abbiamo i panda. È proprio il loro territorio di provenienza, ci sono molte aree protette dove se ne prendono cura, appena nati sono grandi come topi, è pazzesco. La gestazione della mamma panda è qualcosa di estenuante, dura tipo due anni, è difficile farli accoppiare. Mangiano bambù e dormono e stop.
È stata dura qui?
La barriera linguistica all’inizio è tosta. Avevo studiato sia inglese che italiano ma qui era dura, ascoltare, sentire, capire. E poi, la scuola: proiettata direttamente dalla Cina ad una università tutta in italiano, da questo punto di vista sì, è stato difficile. A parte questo non ho trovato grandi difficoltà, forse perché qui c’è una comunità grande e quando avevo difficoltà c’era sempre qualche altro ragazzo cinese che poteva aiutarmi condividendo la sua esperienza. È una comunità molto coesa, ci si aiuta a vicenda. Qui c’è un buon mix italo-cinese.
Come va con il djing?
Il 13 di questo mese farò un set per Radio Raheem! All’inizio di quest’anno sono diventata resident, gestisco uno slot al mese, di un’ora. I miei primi dj set erano abbastanza classici, adesso la mia produzione si è spostata sulla ricerca musicale territoriale e ho iniziato con la musica che conosco meglio, quella cinese: sto facendo 4 EP, dal rock all’elettronica alla tecno.
Faccio ricerca sulla etichette cinesi di diversi generi, tutti artisti cinesi.
Quali sono le sonorità cinesi che utilizzi nella costruzione dei tuoi pezzi?
Nel lockdown ho fatto tantissima ricerca, e questo mi aiutata ad aprirmi a riflessioni diverse dal solito. Per come suono io, avevo iniziato con i soliti generi: house, deep house. Categorie facili da approcciare. Approfondendo questa ricerca, sono tornata alle canzoni della mia adolescenza, quelle che ascoltavo nella cameretta, quelle che mi facevano dire “sono diversa dagli altri, sta musica strana la ascolto solo io”. Cercavo le band underground della mia città e li andavo a sentire. E in questo ripescare nella memoria, mi son resa conto che la musica che ascolti da adolescente ti forma tantissimo, è sempre lì nel retro del tuo cranio, qualsiasi cosa fai negli anni a venire. E ora ho reintrodotto questi suoni ripescati dall’adolescenza ai dj set di oggi, in una specie di sintesi tra passato e futuro.
Quando ti sei spostata dal video al sonoro?
Ho iniziato a suonare nel 2018. Quando tornavo in Cina, nella mia città, Chengdu, c’era una scena musicale molto ricca e vivace. Alcuni miei amici sono stati i primi a portare il modello di club europeo in Cina, introducendolo nel tessuto culturale. Tecno, elettronica… e di questi locali ce ne sono tanti, il più vecchio si chiama appunto “Panda” in cinese. Un’altra amica ha aperto un club, ormai 7 anni fa, che è diventata la mecca del clubbing cinese: il TAG (To Another Galaxy), creando format interessanti e ospitando artisti pazzeschi. In Cina non c’era era ancora una vera e proprio cultura di questi generi e di questo tipo di serata: hanno svolto un grande lavoro di educazione delle persone. I locali cinesi classici sono quelli un po’ trash, tirati che trovi anche qui col tavolo e il tipo che dice “su le maniii” sparando i petardi mentre bevi champagne. Non esisteva nemmeno il concetto di dancefloor, questi amici che hanno creato questi club hanno introdotto la formula europea della serata con biglietto e niente più tavoli strapagati.
Quel posto è stato aperto in un palazzo PolyCenter. E prima di essere chiuso era diventato un centro importantissimo della scena underground, quando tornavo era tappa fissa. Potevi salire al 21simo piano al club e andare al Tag per poi scendere al 16mo e ti ritrovavi ad un’altra festa, era bellissimo. Quei due anni sono stati stupendi. Con questa operazione sono riusciti ad accrescere il mercato ma anche a creare interesse e a far avvicinare le persone alla produzione musicale. Soprattutto, tantissime ragazze, tutte le ragazze volevano far musica. Forse perchè è stata proprio una ragazza ad aprire il primo club. E anche io ho avuto quella spinta, la mia prima serata è stata proprio lì a Chengdu.
E qui ti sei beccata il lockdown.
Si, esatto, avevo appena firmato con una specie di agenzia di Booking. Una sfiga assurda. In Italia non avevo ancora suonato live, solo una serata al Cox18. Di solito suonavo sempre in situazioni tranquille, eventi, come sottofondo all’aperitivo o in situazione più classy. Finalmente mi ritrovavo nella situazione in cui potevo far ballare la gente, ed è stato stupendo… speriamo per il futuro.
Ti manca?
È stato davvero troppo lungo. Per il settore musicale è stato pazzesco e ancora non sappiamo nulla del futuro.
Sei contenta che il destino ti abbia portata qui?
Molto, ormai un terzo della mia vita è trascorso qui, e sono i dieci anni più significativi, quelli formativi, che definiscono la tua identità. Dieci anni da sola in un ambiente culturale completamente diverso: che figo, a ripensarci. Se avessi un’opportunità di ri-scegliere, probabilmente sceglierei di nuovo Milano. Tutto ciò che è parte della città è parte anche di me. Col lavoro che svolgo, Milano è l’unica che mi fa sentire rappresentata e poi è bella.
Devo chiedertelo: quando vago nei locali e nei parrucchieri della zona, sento sempre queste canzoni cinesi, una specie di rock melodico che canticchiano tutti..che è?
Sono le canzoni pop famose in Cina, quelle di tipo un decennio fa. Che ti fanno sentire sempre un po’ a casa.