La quotidianità che viviamo in quanto esseri umani a contatto costante con la tecnologia del XXI secolo, è stata frequente oggetto di indagine nell’arte, specialmente a partire dall’inizio del decennio passato. Questa “condizione”, definita anche post-internet, è uno degli assi portanti della ricerca di Riccardo Benassi, artista visivo di origini lombarde che ha fatto di Berlino la sua casa. Per noi è uno di quegli artisti che possiede la capacità di saper raccontare le increspature della quotidianità con uno sguardo inedito, critico ma allo stesso tempo smaliziato, senza il timore di attingere a piene mani dal presente per farne suoi i meccanismi e restituirli sotto forma di installazioni dall’aura familiare.
In questi giorni ritorna a Milano la mostra personale Morestalgia da Fondazione ICA (dal 25.01 al 18.03 2023) e non ci siamo fatti scappare l’occasione per parlare un po’ di sentimenti in realtà aumentata e altre pulsioni che abitano le vite onlife.
«C’è un paradosso secondo il quale la sovrapposizione tra tecnologie avanzate e sentimenti è al contempo normativa e liberatoria.»
Sei nato negli anni ‘80, come il personal computer. Come hai vissuto i cambiamenti tecnologici durante la tua vita?
Credo che il fulcro di ogni cambiamento tecnologico sia la distribuzione di massa a basso costo di una specifica tecnologia rispetto alla sua invenzione, perché solo con la diffusione capillare all’interno della società crea un cambio sostanziale di paradigma, una ricaduta sulla conoscenza sensoriale. Per questo motivo il mio riferimento sono gli anni ’90, dove il passaggio da analogico a digitale è risultato effettivo e l’ingresso di internet nelle nostre esistenze le ha radicalmente modificate per sempre. Oggi ho l’impressione che siano i cambiamenti tecnologici che stanno vivendo me.
C’è un altro elemento che scivola nel tuo lavoro e emerge nella tua ricerca: il suono. Come sei entrato a contatto con la musica e con la componente sonora nel tuo percorso?
Ho vissuto una fanciullezza nella quale ballare era una componente fondamentale del gioco, e in effetti è rimasta tale nell’adolescenza – dove ho iniziato a comporre con il computer – e oltre, al punto che oggi sono abbastanza convinto che sia uno dei metodi più efficaci per raggiungere la felicità terrena.
Sei nato a Cremona, vivi a Berlino, le tue opere sono spesso a Milano. Com’è cambiato il tuo legame nel tempo con questi luoghi?
Li attraverso e li ascolto, cerco – pur sapendo di non trovarle – delle tracce di persone che non esistono più e di persone che non esistono ancora, così come di vecchie e nuove versioni di me.
E a proposito di Milano: sei da ICA con un tuo progetto personale. Ci racconti il tuo punto di vista? Che tipo di percorso ci fa compiere questa mostra all’interno della tua produzione?
Sono estremamente felice del risultato e convinto che le opere in mostra creino un flusso techno-poetico liquido che non ha bisogno di (altre) mie parole. È così spalancata sul divenire che mi piace pensare che sarà il pubblico a dirmi che percorso ha compiuto al suo interno. Forse ogni opera d’arte è già, di per sé, un consiglio sussurrato alle orecchie che la attraversano.
Un aspetto che si ritrova spesso nel tuo lavoro è la relazione con lo spazio, sia esso privato o pubblico: la dimensione domestica, ad esempio, è spesso presente all’interno delle tue opere, mentre altre intrattengono una relazione con lo spazio pubblico, come Daily Desiderio, il display installato nel parco CityLife. Perché?
La tensione tra coppie binarie come spazio pubblico / privato e domestico / di lavoro non mi è mai suonata adatta a descrivere l’esistenza che ci siamo trovati ad abitare. Forse l’unico motivo per il quale continuiamo ad usare questi termini è che non ne abbiamo ancora trovati di più calzanti. In compenso è ormai chiaro che viviamo contemporaneamente e perennemente sia online che offline.
Insieme alle tue mostre/opere, di frequente c’è anche uno scritto pubblicato che accompagna il lavoro, come con Morestalgia, a cui si accosta l’omonima pubblicazione su NERO Editions. Come ti relazioni con le parole e il linguaggio nella loro unione con l’opera d’arte? Le ritieni un accompagnamento o un completamento di essa?
Né un accompagnamento né un completamento, ma una traduzione su carta – seppur parziale e piegata alla linearità – che mira ad ampliare una minoranza: può essere attivata / letta indipendentemente dalle possibilità fisiche, economiche, geografiche, temporali, di raggiungere la mostra sulle proprie gambe. Oppure, come nel caso delle feste ben riuscite, si ha il desiderio che non finisca mai, e allora dopo avere visitato la mostra il libro diventa uno strumento per continuare l’esperienza altrove (after party). Rispetto al linguaggio, credo che le mie parole, la mia voce, siano tutto quel che ho.
Il modo in cui le tecnologie digitali agiscono sull’essere umano è qualcosa che torna in maniera ricorrente nel tuo lavoro, in opere come Morestalgia il tema della memoria umana si connette a quello dell’archivio digitale, Internet. Potresti spiegarci la relazione tra queste due componenti? E visto che ne stiamo parlando, cosa intendi con il termine Morestalgia?
Mi ha sempre affascinato il paradosso secondo il quale la sovrapposizione tra tecnologie avanzate e sentimenti è al contempo normativa e liberatoria, tracimando così nel campo sociale e politico. Morestalgia è un sentimento post-internet: così come esiste la realtà aumentata, esiste la nostalgia aumentata. La percezione di una dolorosa mancanza, che però ognuno di noi interpreta come perdita, il cui diretto riferimento sono altri esseri umani e le loro esperienze condivise online. Gli esseri umani morestalgici sono coloro i quali hanno il desiderio di vivere un’esperienza che hanno precedentemente intuito essere plausibile, ma invece che richiamarla dal proprio passato la sostituiscono con l’immersione online. Questo passato non è stato vissuto nella realtà sensibile dalle persone che sentono di averlo perduto, ma è archiviato e a disposizione per essere richiamato alla memoria in un istante.
Davanti ai tuoi lavori mi sembra spesso di trovare una prospettiva inedita su elementi del quotidiano che sembrano ovvi, ma su cui le tue opere è come se andassero a toccare dei fili scoperti, offrendo una prospettiva inedita. Credi che, nel rapporto con le tecnologie, tendiamo a sottovalutare dei processi che sono sotto gli occhi di tutti?
Vedo e sento ciò che voglio, ciò che desidero, e solo Tiktokasionalmente mi accorgo che sto pensando.