Roberto De Pinto è un artista pugliese che fonda la sua ricerca nel rapporto con la materia e la resa visiva delle sensazioni tattili e olfattive. Quiete e calore mediterraneo scandiscono le tele su cui essere umano e natura coabitano con intimità e sensualità. Roberto si racconta e ci racconta della sua esperienza da artista emergente a Milano (e non solo). E ci porta in giro per i suoi punti preferiti del quartiere Sempione.
La pelle, ad esempio, la uso come una cartina tornasole per cercare di capire la resa delle diverse vibrazioni in pittura.
I tuoi dipinti vertono su questo personaggio che ti assomiglia. Quale tipo di ricerca spinge la tua pratica artistica?
Le figure sono sempre degli autoritratti, degli alter ego. Dipingo a encausto, mescolando cera e pigmenti direttamente sulla tela, intervengo poi con pastelli di pigmento pressato per i punti più carichi di colore o con degli oli per ombre e chiaroscuri. I personaggi che dipingo hanno le mie caratteristiche fisionomiche da mediterraneo, appunto. Figure paonazze, scottate dal sole, con i capelli nero corvino, baffi: tutti miei caratteri salienti. C’è una forte materialità nei miei lavori che non passa in secondo piano rispetto ai soggetti che tratto. Rosso sanguigna e nero carboncino sono i materiali primordiali con cui l’uomo si è interfacciato. Sono colori ricorrenti nella cultura greco-romana, mio importante riferimento: ad esempio le figure dei vasi greci hanno il rosso e il nero, che riporto anche nei miei quadri. Inoltre il soggetto ricorrente dei miei lavori è declinato in maniera più o meno erotica, sensuale. Il pelo ad esempio è un elemento sia erotico che sensibile legato a una certa tipologia di tatto. Sto giocando molto con delle figure naturali legate al mio ambiente natale – il sud Italia – e anche gli elementi naturali che vado a inserire sono sempre ricercati per suggestionare sensazioni tattili o olfattive, come quelle più istintive e legate alla memoria. La pelle, ad esempio, la uso come una cartina tornasole per cercare di capire la resa delle diverse vibrazioni in pittura.
C’è stato un momento particolare in cui hai deciso di perseguire la carriera d’artista?
Non c’è mai stato un momento in cui ho scelto di essere artista. Nella mia vita, sin da bambino, si è delineato un percorso preciso, su cui non avevo dubbi. Non so come rispondere quando mi chiedono cosa ha scatenato questa mia passione e di conseguenza il fatto di voler essere un artista. C’è sempre stato qualcosa di innato.
Certo, l’hai sempre avuta dentro questa esigenza comunicativa che ha trovato sfogo nel mezzo pittorico. Avere uno studio ha inciso in qualche modo sul tuo praticare come artista?
Avere uno studio a disposizione ha cambiato tutto. Appena ho preso questo studio la prima cosa che ho smesso di fare è stata togliere le tele dal telaio e arrotolarle per conservarle. Ho iniziato ad appenderle, a poggiare quelle intelaiate al muro: tutti i lavori che faccio adesso sono sotto i miei occhi. Ho una visione d’insieme del lavoro che, col tempo, mi ha permesso, e tuttora mi permette, di capire gli elementi da tenere o quelli da scartare, favorendo l’evoluzione e la crescita dei miei quadri. Trovo che avere un ampio spazio sia fondamentale soprattutto per l’atto della pittura: come un attore su un palco, mentre dipingo mi muovo ripetutamente avanti e indietro, dalla tela al mio banco da lavoro dove poggio pastelli e pennelli, dove ogni volta posso guardare a distanza il quadro che sto dipingendo, capendo se sto facendo bene, se sto facendo male. Inoltre, avere un luogo predisposto alla pittura da dover raggiungere, ha fatto sì che l’atto di dipingere diventasse qualcosa di quotidiano, con orari ben precisi e scanditi all’interno della giornata. Per riassumere, direi che avere uno studio ha reso professionale la mia pratica un tempo naif.
Sicuramente avere uno spazio così ampio a disposizione ti può aiutare a meglio formalizzare il passaggio tra lo studio e la mostra, momento di condivisione con il pubblico più ampio per un artista. Come è stato il tuo primo alle mostre? E’ avvenuto tramite spazi indipendenti o gallerie?
La prima mostra a cui ho partecipato è stata una collettiva dal titolo Giardino all’italiana alla Galerija Vžigalica di Lubiana, chiamato da Antonio Grulli, un anno fa. Sempre curata da Grulli è stata la mostra nella galleria ArtNoble, dove ho esposto insieme a Martina Cassatella ed Emilio Gola, gli artisti con cui condivido lo studio e le giornate. È stato il nostro esordio milanese. Tutti e tre infatti eravamo dei novizi della realtà artistica milanese e italiana. Pensandoci posso dire che tutte le mostre a cui ho fatto parte sono state segnate e hanno avuto il primo germe da un felice incontro (in studio): con altri artisti, con un curatore, con un gallerista…
Direi che è stato un inizio promettente! Come percepisci il mondo artistico milanese e italiano in generale a livello di opportunità per artistə emergenti?
Non so dirti se è facile o difficile affacciarsi al mondo dell’arte per noi artistə emergenti italianə. Dipende da numerosi e differenti fattori: lo vedo tra i miei coetanei e l’ho vissuto sulla mia pelle. Per alcunə può essere un percorso meno difficoltoso e più organico. C’è chi ci mette di più e chi di meno “a uscire dal nido”. Trovo comunque che in questo momento ci sia molta attenzione nei confronti di noi giovani. La cosa importante per iniziare è mostrare il proprio lavoro a più persone possibili. Ad esempio, quando non avevo uno studio, nonostante avessi un lavoro già delineato, avevo sempre una posizione laterale: più da osservatore che da partecipante del mondo dell’arte. Trovo che questo fosse sintomo del fatto che i miei quadri erano visti soltanto in ambito accademico. Una volta sbloccata questa condizione tutto è venuto da sé: il percorso espositivo e di promozione del lavoro stesso oltre che le relazioni personali.
A cosa era adibito prima lo spazio del tuo studio condiviso? E come ti trovi nel quartiere di Sempione?
Trovo che il nostro quartiere sia molto vivo, animato dal giorno alla sera. La strada del nostro studio, via Piero della Francesca, è piena di locali, alcuni molto ricercati. Si respira una bella atmosfera nel nostro quartiere, di una vita calma e per nulla frenetica. In un minuto a piedi sono immerso tra le bancarelle del mercato di via Fauchè. A 5 minuti di pedalata sono già nel Parco Sempione, circondato da cani che si rincorrono e scoiattoli funamboli. 10 minuti, sempre pedalando, sono in Brera, a comprare dei pastelli o degli olii da Crespi o Pellegrini. L’essere così centrale non la rende una zona piena di studi d’artisti. Conosco colleghi che lavorano un po’ più lontano dove corso Sempione si trasforma in viale Certosa, e arriviamo a Portello. Avere e trovare uno studio qui in zona è stata una fortuna che non capita spesso: pensa che lo spazio dove io, Martina ed Emilio lavoriamo, tempo fa era già un atelier di artisti milanesi. Non posso poi non segnalare come grande punto di riferimento del quartiere: la Triennale.