baumhaus è il network di progetti culturali e sociali che dal 2008 si è posto l’obiettivo di aprire spazi di autonomia nelle periferie partendo dai desideri delle nuove generazioni. Tutto parte nella Bolognina, dal nuovo quartier generale che si trova nel DLF, al primo piano del civico 25/2, sopra il Kinotto. Lì si organizzano eventi – come il festival Baum – e laboratori non formali di formazione che comprendono le arti urbane e molte altre discipline.
Ecco cosa ci ha raccontato una delle sue fondatrici, Anna Romani.
Raccontaci di Baumhaus e del vostro lavoro nel quartiere?
baumhaus si occupa di nuove generazioni e formazione culturale a Bologna, e in particolare in Bolognina. Siamo nati qui nel 2008 come gruppo informale, dal 2019 abbiamo fatto “il grande salto” e siamo diventati una cooperativa sociale. Siamo partiti con i laboratori hip hop a XM24 dedicati ad adolescenti del quartiere che ci hanno permesso di capire che le culture e sottoculture urbane costituivano uno strumento potente di creazione di nuovi immaginari e narrazioni per le nuove generazioni. Nel corso di questi anni abbiamo fatto laboratori con un sacco di realtà e persone fighissime che portano bellezza e rivendicabilità ai percorsi formativi che portiamo avanti, penso a Checkpoint Charly, CHEAP, SMK Videofactory, Undervilla Productions, Michele Lapini, Kilowatt e a tant* altr*.
Quali sono le caratteristiche principali del tessuto sociale con cui vi confrontate?
Storicamente in Quartiere noi lavoriamo con quelle fasce considerate “difficili”, ragazzi/e che a scuola ci vanno poco volentieri e che molto spesso hanno una creatività, un’energia e dei tempi di apprendimento che non vengono “letti” dall’Istituzione scolastica. Ci troviamo a interagire con le loro famiglie, a entrare a far parte delle loro vite, alcuni li seguiamo da tanto tempo e sono diventati parte della grande famiglia baumhaus, altri li accompagniamo per un pezzo di strada. Invece, attraverso il Festival BAUM e gli eventi culturali, ci interfacciamo con un target completamente diverso, fatto da giovani e non, che magari sono interessati alla nostra proposta in generale, senza conoscere necessariamente tutto il resto. A volte è strano tenere insieme due dimensioni così diverse, ma è anche quello che ci piace: mescolare le carte, ibridare i modelli.
Com’è cambiata la Bolognina da quando siete arrivati e quanto è cambiata grazie a voi?
La Bolognina è cambiata a singhiozzo, alcuni angoli di Quartiere sono sparati verso un futuro da brochure patinata e altri rimangono (per fortuna) un po’ più “real”, nel bene e nel male. Quello su cui mi auguro che abbiamo avuto un’influenza positiva è la sperimentazione in ambito formativo: nel corso del tempo abbiamo avuto occasione di lavorare con professionisti illuminati, dalle educatrici dei Servizi Scolastici del Quartiere, ai/alle prof delle scuole che ci hanno lasciato sperimentare pratiche e percorsi un po’ pazzi: credo e spero che questa libertà abbia generato valore soprattutto per i/le ragazz* e le scuole del Quartiere.
Ora siete nel DLF, che progetti ci sono lì?
Il DLF è uno strano angolo di mondo, che sfugge alle logiche del resto della città. Da un po’ stiamo lavorando a un progetto di rigenerazione del parco che parte dalla segnaletica per arrivare agli spazi: abbiamo anche rivisto completamente la nostra terrazza grazie alle sapienti mani di Federico Manzone e Gianfranco Mazza. Forse uno dei progetti più importanti che stiamo portando avanti – grazie a un finanziamento del Comune di Bologna e insieme a CIOFS e Kilowatt – è Freewear Academy. Da un anno, lavoriamo insieme a 35 adolescenti delle scuole del Quartiere e della città per progettare e creare una linea di moda streetwear ispirata alla Bolognina. Se tutto va bene a settembre parte il crowdfunding e a ottobre dovremmo presentarla alla città, proprio con un evento all’interno del Parco del DLF.
Com’è invece la tua vita nel quartiere e quali sono i tuoi posti preferiti?
Io sono abitudinaria, se non fosse che lavoro fuori dalla Bolognina non attraverserei mai il ponte. Per quanto riguarda gli spazi pubblici ovviamente penso a Piazza dell’Unità, a Villa Angeletti o al DLF, ma anche alle corti interne di alcune case popolari in via Albani. Rispetto ai bar invece ti dico Fermento perché è praticamente una seconda casa e parte integrante della mia famiglia allargata, ma anche il Barnaut o il Pollaio, dove è sempre bello passare a fare due chiacchiere. Infine, ma non meno importante, il Cinema Galliera: il cinema più underground e underchurch che ci sia, capitanato dalla fantastica Marta che da un po’ di anni porta in quartiere una programmazione pazzesca. Noi di baumhaus la amiamo alla follia.
Qual è secondo te l’anima vera della Bolognina?
Io non so cosa voglia dire “vero”, però ti posso dire che quello che mi fa scegliere ogni giorno di continuare a vivere qui sono i regaz che giocano a calcio nelle corti delle case, le scuole dove si parlano 50 lingue diverse, i “tipi da bar” che popolano il Quartiere. Quella mescolanza umana e di vite diversissime che ti fa sentire a casa.
E i simboli?
Eh, il Ponte, appunto, che per me da 8 anni segna il “ritorno a casa” e poi il Sacro Cuore, che con la luce della sera ti trasporta in un’altra dimensione. Infine, purtroppo, lo spazio vuoto dell’XM24 che, con i suoi muri che ancora parlano, rappresenta le cose che sono andate storte nell’eterna telenovela del governo della città.
C’è una storia della Bolognina alla quale sei affezionata?
Mi ricordo ancora l’ultima sera di BAUM 2016, quando ci dovevano essere i concerti di Lapingra, C+C=Maxigross e Giovanni Truppi al Parco della Zucca, ma aveva diluviato e quindi abbiamo dovuto spostarli al teatro del Centro Montanari. Adesso finalmente possiamo rivelare che abbiamo iniziato con un’ora di ritardo perché i frequentatori del Centro dovevano assolutamente finire la tombola della domenica e non sarebbero sicuramente bastate 400 persone in attesa a farli desistere! Però da allora con il Montanari è iniziata una bellissima collaborazione che prosegue ancora oggi, nel post COVID ci hanno salvati ospitando noi e 30 adolescenti per la Summer School di Freewear che non saremmo mai riusciti a fare al DLF.