Se fossi Raymond Queneau potrei scrivere una nuova edizione di Esercizi di stile sulla storia di Roberto Marone, Luca Noviello e Marco Trinca Colonel, tre amici intellettuali che aprono un bar, (oTTo). Prima versione filogovernativa, alla Wired: «La nuova Silicon Valley è a Milano, in Paolo Sarpi. Tre giovani nerd si riuniscono in un seminterrato della Chinatown e partoriscono un’innovativa idea di bar che è allo stesso tempo coworking, luogo di incontro, di riunioni informali, dove si può lavorare bevendo una tisana o una birra, o mangiando un’insalata o una zuppa. Nel giro di un anno si è trasformato in una fucina di eventi e di idee creative che ha smartificato l’intera zona». Versione Smetto quando voglio: «Tre intellettuali precari sfavati decidono di reagire alla sfiga e di buttarsi nel business: un grande bar. Per un anno gli va bene, anzi benissimo, troppo bene. Poi vengono travolti dal successo e i traffici illeciti, il giro di donne e sostanze li trascina in un turbine di follia». Versione engagée: «Il lavoro culturale è morto: tre giovani di grande intelligenza, apprezzati e stimati ognuno nel proprio campo, ma impossibilitati a vivere delle proprie competenze, sono costretti ad aprire un bar-ristorante per potere organizzare nei suoi spazi attività e incontri culturali di grande interesse e qualità, finanziati però dal consumo di drink anziché, come sarebbe auspicabile, da un’economia della cultura. Effetti collaterali: tre nuovi soldati al servizio del capitale». Mi fermo qua, ma leggetevi l’intervista e regalatemi nuovi esercizi di stile.
Che facevate prima di Otto? Continuate a farlo?
Roberto: prima design, poi il giornalista, nel frattempo un po’ di web
Luca: producer TV
Marco: Artista, e sì lo continuo a fare, ma con molte meno ansie.
A chi è venuto in mente per primo di aprire un bar, e come mai? e in base a che criterio gli altri due? soprattutto, perché non me? (aha scherzo)
Diciamo che a innescare il meccanismo è stato Roberto…perchè poi Marco e Luca? Il primo per una collaudata complicità/empatia nel pensare le cose, il secondo perché era da una vita che mi diceva “voglio aprire un bar”!
Quanto ha contato la location, per dirla in milanese? il fatto che ci fosse questo posto li vuoto? il primo pensiero è sempre stato un bar o qualcos’altro?
Il posto l’abbiamo trovato dopo aver deciso di fare la cosa. Ce n’erano altri in ballo, ma lui è stato amore a prima vista.
Il primo pensiero, da subito, era di aprire un bar che fosse un posto di aggregazione, un punto di riferimento, una casa, come volevamo chiamarlo (volevamo chiamarlo HAUS). Il fatto che si venda da bere, è perchè da bere è la cosa che crea socialità. E’ un rito collettivo da secoli, si chiacchiera davanti a un drink. La chiacchiera non si vende, il drink si. Ma il punto è la chiacchiera, lo scambio.
Cosa avete fatto per acquisire le informazioni necessarie a scegliere: la tipologia del bar, la linea, etc? viaggi? ricognizioni tra i locali milanesi? o applicazione di un modello astratto?
Una cosa che dal primo momento viaggia PRIMA di tutto, ma davvero prima di ogni cosa, è il modello di business. Non facciamo mai scelte che non siano dettate da questo. È pieno il paese di “voglio fare il locale delle birre artigianali”, “voglio fare le mostre di digital art”, voglio fare quel tipo di cibo. Ma in Italia, problema culturale serissimo, non si ragiona mai in termini di modelli economici e imprenditoriali.
Quindi ogni scelta di oTTo, dal non avere servizio al tavolo, ai taglieri, al non happy hour, agli orari di apertura, personale, eccetera, è stato dettato da ragioni di impresa.
Cosa tu fai per guadagnare, aggregare pubblico, e come lo fai, è quello per cui le persone vengono e ti desiderano, ed è quindi quello che tu sei.
Tutto il resto lascia il tempo che trova.
Qual è il peggiore errore che avete commesso?
Il peggior errore commesso, ma consapevoli di averlo commesso, è che lo spazio per come è, pieno di finestre e vetrine, ha un sacco di spazio per le persone, ma zero spazio di lavoro, per cui siamo una specie di disastro logistico perpetuo!
e la più grande soddisfazione?
Quando ci dicono quello che volevamo essere. Quello è davvero bellissimo. Quando ci dicono “è una casa”, e noi non abbiamo mai comunicato, ne scritto, di esserlo. In nessun claim, o sottotitolo, comunicato stampa. Ecco, far passare i messaggi senza dirli, è il più grande successo di un brand.
Avevate in mente già da prima di farci anche attività culturali, però a un certo punto la cosa vi a preso la mano, siete quasi un centro culturale. Mi raccontate questa evoluzione, dalla vetrina d’artista alle serate ormai strapiene? Cosa avete in programma nei prossimi mesi (o settimane, forse)?
Dal primo momento. Un po’ per formazione nostra, sicuramente, c’era un pezzo di indole. E anche un po’ perché, come dicevamo prima, la socialità (il bar è socialità), contiene la cultura. La cultura non in senso dogmatico, nel senso che lo scambio sociale passa per uno scambio anche di contenuti, di identità, e anche di pezzi di società simili. I contenuti agglomerano simili, creano un pubblico, e quindi identità.
E poi anche una ragione economica: le persone sono stufe che la cultura sia nelle istituzioni culturali, si divertono se il teatro si fa al bar, la mostra nella vetrina di un bar. È una società che chiede, proprio come domanda di mercato, di mischiare le carte. E di farlo proprio in ambito culturale.
Come funziona, avete delle persone che curano questi eventi o fate tutto voi? Più in generale, come vi ripartite i compiti? tutti fanno tutto?
No, ognuno fa le sue cose. Decidiamo le linee generali insieme, poi ognuno segue le sue aree.
Per gli eventi ora facciamo tutto noi, (ma tante proposte vengono dalle persone che frequentano il locale, sono talmente tante che non riusciamo a stare dietro a tutte, passando spesso per maleducati. Sono davvero tantissime e perdonate se non rispondiamo a tutti, ma quelle quattro ore di sonno al giorno le dobbiamo pur proteggere.)
Il piano è comunque di allargare e creare uno staff per gli eventi. Ci stiamo lavorando!
Che gente ci viene? sono quelli che avevate pensato? Cosa bevono di più?
Viene di tutto. Bambini, anziani, studenti, 30enni cool, 40enni meno cool (che è un complimento). È una cosa di cui siamo molto fieri, e che volevamo molto, non avere un target di pubblico preciso. (cosa bevono di più, vino, sicuramente)
Come avete scelto il barman? Qual è il suo drink preferito? e il vostro, tra quelli suoi migliori?
La storia di Stefano Aiesi (il nostro barman) è piuttosto strana e bella. Vale la pena raccontarla. Lo ha conosciuto Roberto in metropolitana, durante uno sciopero, sono rimasti bloccati a Cadorna. La metro si è fermata lì, e ci siamo guardati tipo “e mò?”. Ce la siamo fatta praticamente a piedi fino a Porta Genova, ed è nata una amicizia/conoscenza.
Quando poi un anno dopo è partito otto, è partito il messaggio su fb “Ste, tu ci sei?”
Da quel momento è stato con noi, da molto prima che aprissimo, e credendoci forse persino più di noi! Il suo cocktail preferito è il Tecla, ed è anche il best seller.
Che ghiaccio usate?
Per tutto questo primo anno abbiamo usato il ghiaccio di tutta via Paolo Sarpi. Ogni bar, ogni locale, e perfino dei ristoranti nel corso di questo anno ci hanno visto entrare e chiedere se ci vendevano del ghiaccio.
E dobbiamo dire che sono stati tutti molto carini, e sorridendo ce lo davano.
Il problema ghiaccio è una barzelletta di oTTo, ma i numeri sono cresciuti troppo velocemente. Ora abbiamo acquistato la terza macchina del ghiaccio, quella più figa di tutti, la Hishozaki. Una macchina che richiede la cura di un bambino di due mesi, e costa più o meno come una Panda!
Come vi siete evoluti sul fronte del cibo? avete cambiato politiche nel tempo?
Si, le cambiamo di continuo, è la cosa più difficile di tutte. E con tutta onestà, non abbiamo ancora trovato una quadra. Quindi le cambieremo ancora.
Quali sono le cose più interessanti che avete imparato in un anno?
Che fare le imprese (una cosa che non avevamo mai fatto) è una cosa complicata ma divertente e fighissima. Per chi lo fa, per chi ci lavora, per chi le “usa”. Il concetto di impresa, cioè di una cosa che nasce, va in una direzione, e porta con se le risorse, è una continua scommessa, devi correre più veloce che puoi senza guardare con troppa attenzione dove appoggi i piedi, ma poi ti trovi a sorridere quando raggiungi quello che ti eri proposto, incredulo su come tu abbia fatto ad arrivare là.
Se questa idea entrasse nel sistema sanguigno del paese, che le imprese sono una cosa bellissima, il nostro paese sarebbe un paese migliore.
E la cosa più folle che vi è successa?
Avere a che fare con lo stato italiano. Punto. In ogni sua piccola emanazione. È una follia: quotidiana, perpetua, incessante, delirante, sfiancante, avvilente.
Non c’è una cosa, che sia una, che ha una logica comprensibile. È semplicemente una follia.
Nessuna cosa assurda (e ne succedono di ogni) è assurda quanto le assurdità quotidiane a cui sei obbligato a ottemperare. Non c’è niente di più folle e malato. Niente. Niente al mondo.
Si balla pure?
Not yet! :)
Ci stiamo lavorando!
Perché le scritte libere nel bagno? il vostro modello era il Roxy Bar? quali sono le scritte che preferite? (una a testa)
È un’idea di Marco. In genere, queste idee totalmente folli sono le sue. Ne prendiamo una ogni 10, è una forma di tutela!
Scritta preferita di Roberto: Sono indeciso fra «Marone è un pervertito» e «Marone si crede un intellettuale». Sono molto onorato che qualcuno mi abbia dedicato ben DUE scritte!
Luca: «Situazioni croccanti».
Marco: «in Africa ogni trenta secondi passano due minuti, perché i negri non sanno contare» È troppo politicamente scorretta, per non sorriderne.
Parliamo del rapporto con le donne: come è cambiato da quando siete dietro al bancone?
Un disastro! Un vero disastro!
oTTo è pieno di donne, è pieno di donne belle, il 75% dei fan su facebook è donna!
Insomma ci sono donne dappertutto.
Poi diciamolo: le donne hanno un enorme problema di fascinazione per gli uomini sul “palco” (qualunque palco sia). Sommato a un irresistibile fascino per il danaro.
Tradotto in ecominics: se c’è un eccesso di offerta, la domanda cala.
Per un maschietto è meglio andare a caccia, e desiderare molto. Fare dei lunghi ramadan, anelare le cose, e aspettare che accadano.
Molto molto più sano.
Quindi non aprite un oTTo, sconsigliamo vivamente di farlo, rimanete a casa, guardate le foto su facebook…
Pensate di aprire altri locali? Se si dove? e di che tipo?
Ci appelliamo al quinto emendamento!
Quando siete fuori turno dove andate a mangiare? e a bere?
A casa! si beve da dio a casa, in silenzio!