Oscar Quagliarini (Roma, 1978) è prima di tutto un bartender fuoriclasse: lo seguiamo dai tempi del Juleps e del Lacerba e ogni volta che lo andiamo a trovare è una festa. Il suo entusiasmo e la sua conoscenza per la miscelazione e i liquori sono contagiosi, anche per il modo in cui ti racconta le cose: senza tirarsela e senza peli sulla lingua.
L’abbiamo risentito in occasione dell’uscita a giugno di Herbarium, il suo nuovo libro illustrato, il primo volume di una triologia tascabile sul modello di un erbario vecchio stile, e ci ha anche raccontato della nuova linea di liquori Q Bitter e di profumi Q Parfumes.
La parola al “bad boy” della miscelazione italiana in esilio a Parigi.
Cominciamo dalle novità. Puoi parlarci del tuo nuovo libro Herbarium?
Herbarium è in realtà una trilogia illustrata tascabile. Il primo volume esce i primi di giugno e presenterà 19 drink con 26 piante trattate dal punto di vista erboristico e/o profumiero. Una sorta di erbario vecchio stile.
Nell’introduzione racconterò il principio della profumeria attraverso un breve focus sul Kyphi, prima essenza misteriosa usata già ai tempi degli Egizi.
Dopodiché tratterò il concetto di respirazione ortonasale e retroattiva partendo da Anthelme Brillat-Savarin, fino al nuovo studio della neurogastronomia.
Poi inizia la parte drink così composta: citazione sul profumo, nome del drink, ingredienti, metodo di preparazione, guarnizione, piante in analisi (quindi le piante coinvolte nel drink, spiegate con delle curiosità e illustrate).
Il secondo volume – Herbarium Vol. 2 Voyage Immeuble – uscirà per ottobre: un incontro con 12 nasi della profumeria, la loro storia e le rispettive 12 fragranze che hanno reso loro re del settore, con curiosità annesse.
Diptyque, Chanel, Hermes, Guerlain, Dior, YSL, Knize, Olivia Giacobetti, L’Artisan Parfumeur, Goutal, Serge Lutens, Villoresi: 12 drink, uno per fragranza, con l’obiettivo di creare un cocktail che in qualche maniera ti riporti al profumo in questione, partendo dallo studio degli ingredienti.
Il terzo volume (Herbarium Vol. 3 La Route du thè), in uscita a dicembre, ripercorre la strada del tè, le sue origini, il servizio e le tipologie, per poi creare 12 drink per 12 tè differenti che coinvolgono l’utilizzo di spezie e frutta al loro interno. I tè sono utilizzati in maniera differente, in alcuni casi come bitter, in altri come sciroppi o come macerazioni all’interno di un alcol di base.
Presenterò i primi 2 volumi partendo da Milano fino alla Sicilia da novembre.
Dove stai lavorando ora?
Ho ripreso a lavorare dietro il banco bar di Grazie a Parigi, mi mancava troppo. È una città che riesce a rendermi creativo
e dopo l’esperienza negativissima con Bove’s ho deciso di non lavorare più a Milano.
Faccio i cocktail dietro il banco 12 giorni al mese, in più lavoro alle carte drink e controllo costi e gestione fornitori.
A partire da giugno lavorerò per l’apertura del bar del nuovo Hotel National Arts Et Metiers a Parigi, che ho chiamato HER BAR IUM. È un progetto veramente enorme che mi impegnerà i prossimi 4 mesi per 20 sere al mese.
Puoi parlarci dei tuoi liquori Q?
Q Bitter è nato dopo un parto di 3 anni per arrivare a una formula coerente, un alternativa al bitter che tutti conosciamo, e che io per cause strane non riuscivo più a digerire.
Poi c’è la linea completa di Q Vermouth, l’ho fatta anche per poter togliere il dubbio che OSCAR.697 fosse il mio vermut, cosa che non è vera. Ora sono in uscita una sorta di Aperol premium, due amari e un bitter bianco, tutto in collaborazione agli amici e colleghi di Tek Bar.
Puoi parlarci del nuovo progetto Q Parfumes?
La forte passione per la profumeria che inseguo in maniera autodidatta da circa sei anni mi ha portato a estendere il marchio Q a una linea di profumi da corpo, che comunque hanno una stretta connessione con il mondo dei bar e della mixology. La linea sarà così composta:
Technoverilla – Fragranza dedicata al nuovo mondo dei club che, nonostante la loro natura, vogliono tenere uno standard di miscelazione alto. La musica techno è quella che come ricordo lego più alle nottate passate in queste location e Technoverilla è un altalenarsi in 4/4 a 180 bpm di vetiver e vaniglia bourbon. Il ricordo nella profumeria è essenziale, e il club per me è sinonimo di techno.
Spksy – Nessuna freschezza né agrumi, Spksy si concentra sulle note di fondo, il boiseè del legno di sandalo e cedro, accompagnate da cuoio, un lieve sentore di tabacco dell’elicriso e una nota morbida gourmande di cacao e vaniglia.
Seduti su un Chesterfield a sorseggiare un Old Fashioned con bourboun whiskey, fumo, un pianoforte e una voce vestita in velluto blu: rende l’idea?
Eau du Gin – È un profumo con una bella struttura, un passaggio continuo: si apre con note di testa prettamente agrumate di neroli e bergamotto, e leggermente aromatiche/verdi – prima del cardamomo che tende ancora verso la testa della fragranza, e poi del ginepro, che ci fa spostare invece verso il cuore. Prosegue in sordina con un erbaceo canforato della lavanda, per chiudersi con un’esplosione sul finale del caldo/legnoso rizoma di iris leggermente offuscato, quasi impolverato dalla tonka.
Contraste: il segreto – È la mia ultima creazione: un profumo per il personale di sala del ristorante Contraste di Matias Perdomo, amico e visionario.
Di seguito l’intervista del 2014.
Ciao Oscar, cosa ci prepari da bere?
“La Rivoluzione“: 2 cl Ardbeg ten e spuma nera di Baladin servito on the rocks in un highball glass con scorza di arancia come guarnizione. E poi “tutti amari per mary”: una linea di bloody mary serviti con a scelta dei bitter fatti in casa al gusto di panzanella, caponata e puttanesca. Il cliente davanti al suo bloody decide come trasformarlo.
Tu, invece, cosa bevi?
Tanqueray tonic con spicchio di lime e il Furioso, un martini cocktail con Tanqueray, senza vermut senza oliva senza limone… Fondamentalmente del gin ghiacciato in coppetta.
Puoi parlarci del nuovo libro?
Non si tratta di una bar guide, ma solo di un breve viaggio/odissea nella mia testa. Un volume che non insegna nulla di cui non siete già a conoscenza, ma bensì delle ricette che possono darvi degli spunti, che possano ispirarvi. 33 signatury drinks, divisi in 3 categorie. Interpretati dall’artista Sergio Gerasi. L’incontro di 2 visionari. In ogni capitolo provo a raccontarvi in breve quello che è stato il mio viaggio, senza dilungarmi per evitare il problema che spesso incontro nei libri che trattano l’argomento cocktails and spirits.
E il tuo locale? Il progetto di cui ci hai parlato confidenzialmente è molto figo, mi sa che te lo copiamo se non ti sbrighi a farlo… Ci sono novità?
Siamo ancora indecisi, siamo perché lo aprirò con Giorgia Malpassi, la mia metà, barmaid anche lei. Forse a Parigi, magari a Barcellona. Milano la evito per mancanza di meritocrazia. Il locale sarà una bomba che ancora non c’è, per questo motivo preferisco non dire nulla.
Pensi che i barman in Italia stiano prendendo una deriva sbagliata?
Penso che i baristi italiani siano troppo incentrati sull’estetica e sulla tecnica del drink. Io sono più attento alla ricerca del gusto e alle novità, a qualcosa che stupisca nel momento in cui la si assaggia, non nel momento in cui lo si vede preparare o arrivare al tavolo. Gli altri sono concentrati sulle competition, io sul cliente. Credo stiano perdendo questo punto di vista, che alla fine è quello che dà da mangiare al nostro capo e a noi.
Barman is the new chef?
Purtroppo sembra di sì, e questa cosa mi fa paura. L’ho riscontrata all’evento Identità Golose: chef che si fanno fotografare, che autografano libri, che si sentono delle divinità. Finché non moltiplicate cibo o trasformate l’acqua in vino non sentitevi tali! State facendo da mangiare e mia madre – come le vostre – lo faceva meglio.
Eppure la qualità dei cocktail bar milanesi è in ascesa: solo negli ultimi mesi hanno aperto locali come il Pinch e la Segheria, che si vanno ad aggiungere a una lista che si sta facendo consistente. Non trovi?
Apprezzo molto i bar che hai citato, proprio perché ci lavorano dei barman che fanno da bere in grande stile ma non hanno queste manie di grandezza. Dai quali posso andare e chiedere un Furioso o un gin tonic e non mi sbuffano in faccia o mi propongono la loro alternativa alla mia richiesta. Persone che sorridono nonostante la fatica che facciamo e che non sono alla ricerca di celebrità, che non fanno competition ma che hanno capito quali sono la nostra missione e il nostro lavoro.
Puoi raccontarci come sei diventato barman?
Ho iniziato perché studiavo all’università e avevo bisogno di liquidi per comprarmi un pianoforte e un sintetizzatore (la musica è stata la mia prima passione), e il fumo. Ho iniziato al Dopolavoro a Cassano d’Adda da Backy, dopo un anno ho fatto un corso base di cockteleria perché questo lavoro iniziava a piacermi. Poi mi sono spostato a Milano dove ho passato 11 anni tra un bar e l’altro: prima dove imparavo cose nuove, poi alla ricerca di locali che mi permettevano di sperimentare le mie formule.
Chi è il tuo Maestro?
Frog: lui mi ha iniziato allo studio, all’attenzione sul cliente, alla velocità di esecuzione del drink, all’utilizzo di prodotti di qualità e di frutta spremuta al momento, alla passione per questo lavoro.
Qual è l’oggetto al quale non rinunceresti mai mentre lavori?
Le pinzette e lo shaker parisienne.
So che sei un grande appassionato di libri (non solo sui cocktail). Ce ne consiglieresti tre fondamentali sulla miscelazione e tre invece non direttamente legati al mondo dei cocktail ma in cui il protagonista/scrittore è un forte bevitore?
“American Bar” di Charles Schumann, “The Joy of Mixology “ di Gary Regan, “Gothic” di Tony Conigliaro. Per gli altri tre consiglio “Tra Mosca e Petuski” di Eroféev Venedíkt, “Ed è subito Martini“ di Lowell Edmunds, “Storie nel bicchiere” di Jackson Michael. E anche “Journal d’une parfumeur” di Jean-Claude Ellena, anche se non so se l’autore sia un forte bevitore.
Qual è il rimedio per riprendersi da una sbronza?
Mio malgrado sono due: Hair of the dog, ovvero riprendi a bere: viene chiamato così perché una volta il rimedio contro la rabbia era strappare una ciocca di peli al cane che ti aveva morso e medicarsi con quella la ferita. E Coca-Cola con due gocce di angostura, perché in realtà l’hangover spesso è dato dalla non digestione completa dell’alcol.