Ad could not be loaded.

Claudio Musso

Di graffiti, mostre e arti visive. E di tutto questo e altro a Bologna.

Scritto da Salvatore Papa il 18 ottobre 2017
Aggiornato il 21 novembre 2017

Foto di Jgor Cavallina

Luogo di nascita

Bergamo

Luogo di residenza

Bologna

Attività

Curatore, Professore

Vi ricordate di Frontier? Se vivete a Bologna ci sbattete addosso ogni settimana. Claudio Musso era tra gli ideatori di quel progetto grazie al quale furono realizzati alcuni walls entrati a far parte dell’identità visiva della città. Ma Claudio, classe 1982, è soprattutto uno dei maggiori esperti di arti visive a Bologna, oltre ad essere curatore indipendente, docente all’Accademia di Belle Arti di Bergamo di Teoria della percezione e psicologia della forma e insegnante di Linguaggio della visione a Spazio Labò. Dai tempi del DAMS, mangia arte contemporanea ogni giorno e, da poco, ha deciso di raccogliere in un libro tutti i suoi saggi, articoli, interviste e recensioni realizzati fin qui attorno ai temi dell’arte e della cultura di massa. Dalla strada al computer sarà presentato sabato 21 ottobre alle h 18 da Corraini.
Claudio, invece, eccolo qui.

Dalla strada al computer - cover, disegno di Paper Resistance

Perché sei a Bologna?
Sono arrivato a Bologna nel 2001 attirato dal DAMS e dalla possibilità di vivere in una città dinamica, aperta e internazionale, venivo da una cittadina in provincia di Bergamo. Deve essermi piaciuta perché da allora non me ne sono più andato…

A uno come te che vive così tanto la città non posso non chiedere com’è cambiata e come sta cambiando la città dal punto di vista culturale? Si stava davvero meglio “dieci anni fa”?
Me lo chiedo spesso anch’io, ti rispondo con un’immagine scaturita da un dialogo con una persona che la vede da fuori: Bologna vive in un loop, l’alternarsi di periodi di fermento e apertura ad altri di stasi e chiusura si ripete come un ciclo continuo. Questo da un lato potrebbe spiegare la sua identità indecisa, dall’altro si sposa con la più diffusa etichetta di “laboratorio permanente”.

Ti occupi di tante cose e ne hai viste tante: ma cos’è che riesce ancora a procurarti nuovi stimoli?
La prima cosa che ho imparato tempo fa è che gli stimoli sono sempre dietro l’angolo, a volte letteralmente all’angolo di una strada. Un’altra cosa che ho imparato però e che cerco di raccontare ai miei studenti quando mi trovo a fare il docente, è che gli stimoli da soli non bastano, serve qualcuno che sia in grado di percepirli, se non addirittura di codificarli. Per fare questo oltre allo studio serve una predisposizione allo sguardo ampio. Ultima cosa che ho imparato è che gli stimoli, soprattutto in campo culturale, stanno al di là della frontiera tra alto e basso, tra muro e monitor, tra mainstream e underground.

Casa a Mare (progetto curato da Claudio Musso) - Anteprima, installation view at Blocco24, Bologna - photo Carlo Favero
Casa a Mare (progetto curato da Claudio Musso) – Anteprima, installation view at Blocco24, Bologna – photo Carlo Favero

Strada e tecnologia: quali sono i punti di contatto tra questi due mondi?
Nel libro, strada e tecnologia non sono due linee parallele, molti degli artisti inseriti in un ambiente potrebbero partecipare al discorso dell’altro e viceversa. Strada e tecnologia non si configurano come categorie rigide, piuttosto evocano degli immaginari che oggi credo siano imprescindibili. Nell’introduzione cito il caso di Phonorama ospitato da RAUM la prima volta nel 2004 in cui artisti e attivisti provenienti dalla scena post-graffiti, dalla sperimentazione audiovisiva e dall’ambito performativo si esibivano insieme. Uscendo dalle mura, negli stessi anni si muoveva il Graffiti Research Lab, mentre è del 2002 il progetto Hektor di Jürg Lehni & Uli Franke, in pratica un robot in grado di fare graffiti.

Altra relazione di cui si parla nel tuo libro è quella tra street e pop: la contaminazione con la cultura popular è un bene o un male secondo te? E Bologna è più street o più pop?
Più che di una relazione tra street e pop, in quell’articolo si parla della diffusione dell’immaginario Neo Pop e di un suo aggiornamento avvenuto anche attraverso l’operato di artisti appartenenti al mondo della cosiddetta arte urbana e di altri più inseriti nei circuiti canonici. La contaminazione, in genere, quando si parla di cultura visuale non è buona o cattiva, è semplicemente inevitabile. Bologna, come ogni altra città penso, vive di una tensione tra diversi immaginari in cui quello street e quello pop convivono.

La mostra "Forze della Natura" presso TRA Treviso Ricerca Arte,  curata da Claudio Musso - Opere di 108, Andreco, DEM
La mostra “Forze della Natura” presso TRA Treviso Ricerca Arte, curata da Claudio Musso – Opere di 108, Andreco, DEM

Sei uno che gira tantissimo tra mostre ed eventi: c’è stato nell’ultimo periodo qualcosa che ti ha colpito particolarmente?
Se parliamo di Bologna direi che nell’ultimo fine settimana si presentava in stato di grazia, tra Foto/Industria, MAMBo, Palazzo Magnani e altri spazi, un’offerta ampia e di grande qualità. Segnalerei di certo la personale di Eva Marisaldi, Surround, che ha aperto proprio sabato scorso alla Galleria de’ Foscherari.

Perché nacque e che fine ha fatto Frontier?
Frontier, come recitava il comunicato, è nato con “l’ambizione di produrre un momento di visione e analisi sulla ricerca di un gruppo di artisti internazionali rappresentativi dell’evoluzione degli stili, un’occasione che creava la possibilità di intervenire direttamente sul panorama urbano”. Sempre in quelle righe si precisava che era pensato come “una piattaforma aperta e in evoluzione” e che, aggiungo io, lavorando con una materia ancora in via definizione avrebbe dovuto reagire agli stimoli che si fossero presentati. Il sogno era che potesse “dissolversi” in un centro di ricerca disseminato sul territorio. Chissà…

Mirko Reisser (DAIM) | "DEIM - corner to corner" | 20 x 12 m | Bologna, Italy | 2012 | For "Frontier - the line of style"
Mirko Reisser (DAIM) | “DEIM – corner to corner” | 20 x 12 m | Bologna, Italy | 2012 | For “Frontier – the line of style”

Per quello che ne so, almeno in città, siete stati i primi ad avanzare una riflessione seria sul rapporto tra street art e degrado. Poi mi sembra sia successo tutto molto in fretta dalla stigmatizzazione politica e mediatica siamo giunti ad alcune forme di istituzionalizzazione totale della materia…
Le riflessioni che abbiamo voluto proporre nascevano da una ricerca in ambito storico-artistico, la presentazione al pubblico ha poi preso la forma di interventi urbani e momenti di approfondimento. Si può scegliere di operare in modo inclusivo, partecipativo, coinvolgente e trasparente oppure di utilizzare modalità selettive, autoriali, imprevedibili e opache, quando si riceve un mandato però (che sia un artista, un curatore, un amministratore, pubblico o privato) è necessario esserne consapevoli e dichiarare la propria scelta.

Nel libro c’è anche un testo sui “graffiti puliti”…
Quell’espressione era ironica, veniva dalla traduzione di un titolo di un giornale inglese che riferendosi alle opere di reverse graffiti dell’artista Moose le etichettava come “clean graffiti”. Nel testo spiego che la mia attenzione andava semmai al processo inverso che dall’addizione di materia (il colore delle bombolette spray, per esempio) passava alla rimozione (di polveri e smog nel caso specifico).

Ultimamente si è tornati a parlare tanto di Francesca Alinovi. È chiara la sua influenza odierna, basti citare l’importantissima mostra Arte di frontiera. New York Graffiti o la Settimana internazionale della performance. Ecco, dall’Alinovi parte una linea culturale in città lunga 40 anni ormai. Chi sono oggi gli attori principali di quest’evoluzione?
Poco tempo fa mi è stato chiesto di scrivere un breve testo sul ‘77 proprio perché quest’anno si celebra il quarantesimo anniversario. Eventi come quelli che hai citato sono stati avvolti nel tempo da un’aura mitica. Penso che sia difficile per chi non li ha vissuti comprenderne la portata e contestualizzarli, siamo necessariamente portati ad osservarli alla luce di ciò che vediamo oggi. Per fare un esempio potrei dirti che io sono entrato in contatto con l’immaginario dei graffiti attraverso i muri della New York delle Tartarughe Ninja prima ancora di averli visti per strada. Non credo che questo aspetto sia da sottovalutare. L’evoluzione di cui parli è parte di un processo capillare di penetrazione nell’immaginario collettivo per cui oggi appare strano pensare a un mondo, reale o virtuale che sia, senza graffiti.

Tartarughe Ninja
Tartarughe Ninja

Chi sono gli artisti in città che secondo te dovremmo tener d’occhio?
Non porrei l’attenzione su una lista di nomi, semmai su alcuni spazi che mi pare fungano da aggregatori. Gelateria Sogni di Ghiaccio, Tripla, Collegio Venturoli, LOCALEDUE, Euphorbia: l’impressione è che ci sia una forte necessità di operare con atteggiamento critico sui formati (mostra, evento, concerto) cercando relazioni intergenerazionali e (ri)letture alternative.

Dove ti piace andare quando esci?
Non sono un abitudinario, ma quando posso mi piace fare colazione al bar e il mio preferito è l’Omnia. Sono affezionato a L’ora d’aria, sia per l’ambiente che per i cocktail, li conosco da quando erano a Der Standard, in più per me è sotto casa. Ultimamente un amico mi porta spesso a manigiare da Maichan dove la sfoglia bolognese incontra il dim sum.

Progetti per il futuro?
In questo periodo sto lavorando ad una sfida sia scientifica che curatoriale: una mostra antologica e un libro su un artista romagnolo poco conosciuto scomparso di recente.